Nel Primo Rapporto sul secondo welfare in Italia sono affrontate numerose realtà, esperienze e dinamiche che caratterizzano il secondo welfare nel nostro Paese. Nella prima parte del Rapporto sono individuati e descritti i protagonisti del secondo welfare operanti nel nostro Paese ed è posta particolare attenzione alle iniziative di welfare sviluppate dalle aziende, dal settore delle assicurazioni, dalle fondazioni di origine bancaria, dalle fondazioni di comunità e dai Comuni. Nella seconda sono invece affrontate le dinamiche evolutive in corso in alcuni ambiti ritenuti particolarmente significativi per il futuro del secondo welfare, quali la finanza sociale, l’housing sociale, i servizi per l’infanzia e la conciliazione dei tempi di vita e lavoro.
Di seguito vi proponiamo delle brevi sintesi sui contenuti dei singoli capitoli, a cui affianchiamo anche i riferimenti ad alcuni contributi pubblicati in questi due anni di ricerca sul nostro sito, che rappresentano in un certo senso il prodromo di quello che è poi diventato il Primo rapporto sul secondo welfare in Italia. I capitoli sono sacricabili direttamente dal presente articolo o accedendo all’apposita sezione dedicata.
Il contesto
Nel primo capitolo del Rapporto sul secondo welfare in Italia Franca Maino, direttrice del progetto Percorsi di secondo welfare, analizza la situazione in cui si trova il welfare state italiano, stretto tra vincoli di bilancio e l’emergere di tanti nuovi rischi e bisogni a carattere sociale. In un contesto sicuramente non semplice, sia per ragioni riconducibili alla crisi ma anche per problemi struttrali propri del nostro sistema sociale, si registra tuttavia l’emergere di esperienze e dinamiche innovative che cercano di contrastare varie problematiche che gli enti pubblici appaiono incapaci di affrontare efficiacemente. Inizia così l’analisi delle diverse declinazioni del secondo welfare nel nostro Paese, ovvero di quel mix di protezioni e investimenti sociali a finanziamento non pubblico forniti da una vasta gamma di attori economici e operanti a livello locale, ma aperti anche ad attività trans-locali, nazionali e, dove possibile, anche di raggio europeo.
Sono quindi indicati tanti esempi concreti di governance, organizzazione e sviluppo di strumenti d’intervento innovativi che hanno coinvolto diversi attori che hanno scelto di mettersi insieme per rispondere più coerentemente ai bisogni emergenti a causa della crisi. Si descrive, ad esempio, come alcuni istituti bancari abbiano avviato promettenti iniziative di finanza sociale – come social bonds, cofinanziamento e credito agevolato ai soggetti del Terzo settore – o come le Fondazioni di origine bancaria stiano realizzando numerose «azioni dimostrative» autonome per rispondere ai bisogni in modo innovativo, promuovendo modelli inediti di partnership fra attori pubblici e privati, istituzionali e non profit, locali e nazionali. O ancora come le aziende, specialmente quelle di grandi dimensioni, siano sempre più impegnate nella realizzazione di servizi di welfare da dedicare ai propri dipendenti, oppure come il settore assicurativo si stia impegnando per offrire prodotti adeguati alle nuove richieste di protezione dal rischio avanzate dagli italiani. Nel testo è sottolineata a più riprese anche l’intraprendenza di molti enti locali e alcune Regioni che, a fronte dei vincoli di bilancio imposti da Roma, hanno avviato percorsi virtuosi di riduzione degli sprechi, incremento dell’efficienza, sviluppo di nuove partnership con privati e Terzo settore per rispondere efficacemente ai bisogni vecchi e nuovi dei propri cittadini.
I protagonisti
Un ruolo importante tra i protagonisti del secondo welfare è certamente occupato dal mondo delle imprese, che hanno le possibilità economiche e organizzative per implementare quelle politiche aziendali a favore della sostenibilità, sia sociale che ambientale, che rientrano oggi nell’ampio concetto di Corporate Social Responsibility. Il welfare aziendale, come spiega Giulia Mallone nel capitolo che se ne occupa, è ormai al centro del dibattito pubblico, politico e accademico, ma spesso risulta difficile valutare la reale rilevanza sociale di tale fenomeno. Alle storie ormai conosciute delle grandi imprese, si affiancano infatti soluzioni nuove proveniente dalle parti sociali, dai territori, dagli attori locali e dalle istituzioni che elaborano e diffondono strategie innovative, sviluppate in base ai bisogni locali. Un fenomeno nato come prettamente “aziendale” si arricchisce così di nuovi protagonisti, primi tra tutti i lavoratori e i loro rappresentanti, e acquisisce un ventaglio di competenze e strumenti in grado di ampliarne la portata originaria. Nel capitolo sono dunque affrontati casi di imprese di grandi e medie dimensioni che hanno sviluppato politiche di welfare aziendale – Azienda Trasporti Milanesi (ATM), Luxottica, Colorificio San Marco, Nestlè Italia, SEA Aeroporti Milano,Tetra Pak, UBI Banca, Unipol Assicurazioni – e analizzati alcuni strumenti – come contratti di rete, patti per lo sviluppo, contrattazione di secondo livello e bandi regionali – che potenzialmente potrebbero allargare i servizi anche alle imprese di più piccole dimensione.
Un altro ambito di cui si occupa ampiamente il Rapporto è quello delle assicurazioni. Nel terzo capitolo, curato da Giulia Mallone, Franca Maino e Lorenzo Bandera, si sottolinea come sin dalla fase genetica del welfare il legame tra protezione sociale e settore assicurativo è stato forte e imprescindibile. Le politiche sociali sono infatti state introdotte nell’ottica di una protezione sociale contro i rischi da infortunio sul lavoro, vecchiaia, malattia e perdita dell’occupazione. Ancora oggi, di fronte alla crisi, il settore assicurativo può aiutare a ridurre le pressioni sul sistema pubblico, offrendo una protezione sociale complementare o supplementare. Il settore è però scarsamente sviluppato e diffuso in Italia rispetto agli altri principali paesi europei. Il coraggio di “ripensare” il welfare, aggiornandone i contenuti alle necessità di oggi, non può che passare attraverso un grande cambiamento culturale. Non solo nelle abitudini dei singoli cittadini, ma anche in un nuovo modo di gestire il pubblico ed elaborare le politiche. Nel capitolo dedicato emerge come sia necessario che il mondo assicurativo, in collaborazione non solo con le associazioni dei consumatori ma anche con i numerosi soggetti pubblici e privati che operano nell’ambito del welfare, passi dalla fase di analisi e constatazione dei problemi a quella di elaborazione e proposta di un nuovo welfare mix.
Parlando di secondo welfare non ci si può esimere dal parlare delle Fondazioni di origine bancaria, realtà di cui si occupa Lorenzo Bandera nel quarto capitolo del Rapporto. Questi enti posseggono competenze, strutture organizzative e disponibilità economico-finanziarie adeguate a integrare le misure di welfare garantite dal settore pubblico che, soprattutto a causa della crisi, sempre più spesso risulta incapace o impossibilitato a rispondere a nuovi rischi e bisogni emergenti in ambito sociale. Nel solo 2012 le Fondazioni hanno promosso oltre 22.000 interventi per un valore complessivo di circa 965 milioni di euro, e quasi la metà di queste erogazioni è stata diretta verso interventi a carattere sociale. Al di là delle significative risorse economiche garantite, appare altrettanto importante la crescente capacità delle Fondazioni di monitorare e valutare correttamente i diversi bisogni presenti all’interno della società e la conseguente attitudine a sviluppare misure e strumenti innovativi per rispondervi. Negli ultimi anni si è infatti assistito a un’evoluzione del ruolo delle Fondazioni in un’ottica maggiormente proattiva, che le vede sempre più propense alla creazioni di reti, sia sul proprio territorio di riferimento che a livello nazionale, in cui sono attivamente coinvolti stakeholders diversi – pubblici e privati, profit e non profit – per sviluppare iniziative orientate al bene comune.
Sul fronte filantropico appare particolarmente interessante anche il ruolo assunto negli ultimi anni dalle Fondazioni di comunità (di cui si occupa sempre Bandera nel capitolo 5), istituzioni nate per favorire la creazione di condizioni che incoraggino la donazione, permettano la democratizzazione della filantropia e consentano il perseguimento del bene comuneall’interno della comunità residente in un dato territorio. A differenza della maggior parte delle altre fondazioni filantropiche, normalmente costituite per volontà di un singolo individuo, istituzione o azienda, le fondazioni di comunità sono l’esito di un processo che coinvolge una vasta gamma di persone fisiche e giuridiche che, tramite donazioni, l’hanno dotata di un patrimonio finalizzato alla realizzazione di interventi destinati al beneficio della propria comunità di appartenenza. Introdotte nel nostro Paese da Fondazione Cariplo una quindicina di anni orsono, oggi esistono 32 fondazioni comunitarie italiane e almeno altre tre sono in via di realizzazione. Nel capitolo ad esse dedicato sono affrontati diversi casi che esemplificano il loro impegno nei confronti dei propri territori in un’ottica di forte innovazione sociale.
Parlando di territorio appare imprescindibile parlare del ruolo che negli ultimi anni sono andati assumendo molti enti locali. Nonostante siano stretti tra l’aumento esponenziale delle richieste di aiuto da parte dei cittadini, effetto della crisi economica, e i drastici tagli alle risorse a loro disposizione – sia finanziarie che umane – molti Comuni anziché indietreggiare hanno intrapreso percorsi di rinnovamento e di rigenerazione. Da una parte ripensando l’oggetto dell’azione pubblica, concentrando gli interventi sulla tutela dei rischi derivanti dalla crisi – quindi sul lavoro e sulle nuove povertà – nel tentativo di mantenere buoni livelli di benessere ed equilibrio sociale, dall’altra mettendo in discussione le modalità di tale azione, ricercando nuove forme di governance e collaborazione con tutti gli attori sociali. Nel capitolo 6 curato da Chiara Lodi Rizzini si tratta così di progetti dove l’ente locale diventa – da unico, o quasi, produttore di servizi – promotore di reti che mettono in relazione tutti gli attori sociali locali, da quelli pubblici a quelli privati, dai cittadini al Terzo Settore, consapevole del fatto che gran parte delle risorse disponibili, sia finanziarie che umane, non sono più gestite dal Comune direttamente. Sono quindi affrontate esperienze concrete sviluppatesi nei grandi comuni, come Milano e Torino, ma anche di quelli di piccole e medie dimensioni, come Novara, Forlì, Udine, Parma, Modena e Pulfero.
Le dinamiche in corso
Nella seconda parte del rapporto si tratta, come detto, di quegli ambiti in cui è possibile verificare dinamiche evolutive particolarmente significative in un’ottica di secondo welfare. Uno dei campi in cui è ravvisabile questa tendenza è sicuramente quello della finanza sociale dove, sia a livello nazionale che internazionale, si stanno sviluppando iniziative che mirano a cambiare i tradizionali rapporti tra finanza, terzo settore, enti pubblici e imprese. UBI Banca, ad esempio, a partire dalla primavera 2012 ha sviluppato con successo titoli obbligazionari che oltre a garantire un ritorno sull’investimento offrono ai sottoscrittori la possibilità di sostenere iniziative di riconosciuto valore sociale. Nello stesso periodo Banca Prossima ha costituto una piattaforma online attraverso cui i privati possono prestare denaro direttamente alle organizzazioni non profit. Fondazione Cariplo e Borsa Italiana da alcuni mesi permettono alle nuove società che si quotano sul mercato azionario di sostenere realtà del mondo non profit concedendo loro parte dell’IPO. Sono solo alcuni degli esempi di finanza sociale che negli ultimi mesi hanno preso piede nel nostro Paese e che sono raccontati all’interno della parte curata da Lorenzo Bandera nel settimo capitolo. In un momento in cui il reperimento di risorse monetarie risulta spesso complicato, soprattutto per realtà non abituate a rapportarsi col settore finanziario, questi strumenti innovativi possono essere una possibilità importante per cambiare le regole del gioco. E se la creatività tutta italiana in questo ambito è sicuramente apprezzabile, nel mondo anglosassone vanno sviluppandosi strumenti finanziari altrettanto innovativi, i Social Impact Bond, a cui è dedicato ampio spazio all’interno del capitolo.
Crisi economica e trasformazioni socio-demografiche stanno compromettendo uno dei capisaldi delle politiche sociali, il diritto di disporre di un’abitazione sicura e di qualità, rendendo impellente la ricerca di nuove soluzioni abitative. Nell’ambito delle politiche abitative, il passaggio dal primo al secondo welfare può essere individuato nel passaggio dall’edilizia residenziale pubblica all’edilizia sociale, principalmente per tre aspetti: il target dei beneficiari, cioè quell’area grigia di outsider, provenienti perlopiù dal cosiddetto “ceto medio impoverito”, che dispongono di redditi troppo alti per accedere all’edilizia popolare ma insufficienti a ricorrere al mercato privato; la tipologia di bisogni coperti, che rispecchiano forme di vulnerabilità sempre più “liquida” e che vanno oltre la mera povertà economica (temporaneità dell’alloggio, disabilità, ecc.); l’introduzione di nuovi modelli di governance in cui l’ente pubblico diventa regolatore e promotore di interventi abitativi, delegando generalmente al mercato privato il finanziamento e la costruzione delle abitazioni e al Terzo Settore la gestione degli aspetti sociali. Nel capitolo ottavo, dedicato all’housing sociale, Chiara Lodi Rizzini affronta il tema raccontando le diverse dinamiche che contraddistinguono questo ambito, oltre a mostrare numerose esperienze positive sviluppatesi negli ultimi anni in varie aree del Paese.
Come detto più sopra, le misure introdotte negli ultimi anni per far rispettare il patto di stabilità interno stanno provocando difficoltà crescenti ai Comuni nel garantire l’erogazione di servizi alla persona, non solo a causa delle restrizioni di carattere finanziario ma anche delle limitazioni riguardanti la possibilità di sostituire il personale e di effettuare nuove assunzioni. In questo quadro, si sta facendo strada una soluzione innovativa che consiste nell’affidamento dei servizi alla persona a soggetti partecipati in tutto o in parte dai Comuni: le Fondazioni di partecipazione. Si tratta di una soluzione che realizza un compromesso politicamente e socialmente accettabile tra la continuazione della gestione diretta, ritenuta impraticabile dagli amministratori locali, e una privatizzazione “sostanziale” mediante affidamento a soggetti del tutto indipendenti dagli enti locali. Oltre a fornite una maggiore autonomia e flessibilità rispetto a quella possibile con la gestione diretta comunale, tali tipologie di fondazione possono essere interessanti anche dal punto di vista tecnico, grazie alla capacità di garantire livelli di efficienza e di qualità elevata del servizio. Il capitolo 9, curato da Stefano Neri, è in particolare dedicato all’analisi di una di queste esperienze, la Fondazione Cresci@MO, fondazione di partecipazione di diritto privato istituita nel 2012 dal Comune di Modena a cui è stata affidata la gestione di quattro – oggi cinque – scuole dell’infanzia comunali.
L’ultimo capitolo, redatto da Franca Maino e Ilaria Madama, è invece dedicato alle politiche di conciliazione, un’area di policy particolarmente interessante data la natura multidimensionale dei bisogni cui si cerca di dare risposta, l’impostazione di rottura rispetto al tradizionale approccio familista del nostro modello di welfare e l’alto grado di innovazione sociale che le contraddistingue. Dopo aver affrontato le evoluzioni seguite dal settore negli ultimi 15 anni, il capitolo concentra l’attenzione sui percorsi di riforma avviati in materia in conciliazione a livello sub-nazionale, prendendo in esame l’esperienza di Regione Lombardia. Le Reti Territoriali di Conciliazione sviluppatesi in questa regione, di cui si è cercato di evidenziare gli esiti del primo anno di attività, rappresentano infatti un positivo esempio per quanto riguarda la costruzione governance multi-livello e multi-attore e in merito alla co-produzione di misure innovative nell’ambito della conciliazione.
Alcuni degli approfondimenti citati nel testo:
Il secondo welfare in Italia, esperienze di welfare aziendale a confronto
Luxottica, siglato il nuovo accordo sul welfare aziendale
Il welfare aziendale è solo per i "grandi"? Storia del colorificio San Marco
Conciliare vita e lavoro: l’esperienza di Nestlè Italia
Tradizione e innovazione nel welfare aziendale di SEA
Il welfare aziendale di Tetra Pak Packaging Solutions
UBI Banca – Banca Popolare di Bergamo: un esempio positivo di integrazione tra welfare pubblico e privato
Mezzo secolo di welfare Unipol
Bilancio Acri 202: meno erogazioni ma concentrare sul welfare
Fondazioni di comunità: uno sguardo d’insieme
Il progetto Fondazioni di Comunità di Cariplo
Il progetto Sicis del Comune di Novara: intervista dell’Assessore Augusto Ferrari
Comuni, come sopravvivere in tempi di crisi? L’esperienza di Forlì
Welfare e famiglia: l’Agenzia per la famiglia del Comune di Udine
L’esperienza di Emporio Parma tra povertà economica e relazionale
A Modena nasce Portobello: un market di comunità contro la povertà alimentare
Welfare confini. Nasce a Pulfero il primo asilo nido transfrontaliero
Risultati e prospettive dei Socil Bond di UBI Banca
Una banca orientata allo sviluppo del bene comune è possibile
IPO Solidale per una nuova sinergia tra imprese e privato sociale
L’esperienza di Social Investiment Bonds nel Regno Unito e negli Stati Uniti
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