L’azienda e la presenza in Italia
Nestlé, leader mondiale nel campo dell’alimentazione, impiega 280.000 collaboratori provenienti da più di 100 diverse nazionalità. Oltre un terzo della forza lavoro è localizzata in Europa (33,9%), il 38% nelle due Americhe e il 28,1% in Asia, Oceania e Africa. Il gruppo è attivo in Italia dal 1875, dove è oggi la prima azienda alimentare con marchi conosciutissimi come San Pellegrino, Perugina, Buitoni, Motta e tanti altri. Il nostro paese è infatti per il gruppo Nestlé l’ottavo mercato mondiale in termini di fatturato, con circa 5.400 dipendenti e 18 stabilimenti produttivi sparsi su tutto il territorio nazionale. Tra questi, realtà importanti come Sanpellegrino – Nestlé Waters, Nestlé Purina Petcare, Nestlé Professional, Nestlé Nutrition, Nestlé Helth Science, CPW (Cereal Partner Worldwide) e Nespresso. Per alimentare la cultura aziendale e creare Valore Condiviso – il principio alla base delle attività del gruppo è proprio il Creating Shared Value (CSV) – Nestlé promuove lo sviluppo sostenibile lungo tutto il processo produttivo, e investe ormai da tempo nel benessere dei propri collaboratori e nella sensibilizzazione sul territorio.
La conciliazione famiglia-lavoro
In Italia Nestlé è impegnata nel promuovere una politica di work-life balance attraverso iniziative come il Progetto 90 Giorni – che ospita in aree dedicate i figli dei collaboratori durante i periodi di vacanza e di chiusura delle scuole – i due asili nido aziendali, l’accordo sindacale per la flessibilità degli orari e il telelavoro, e la sottoscrizione volontaria della Carta per le Pari Opportunità promossa da Ministero del Lavoro, Ministero delle Pari Opportunità e Sodalitas. Il Progetto 90 Giorni, con il quale l’azienda ha vinto nel 2011 il Premio Famiglia Lavoro della Regione Lombardia, prevede la realizzazione di “Junior Camp” nelle sedi di Milano e San Sisto (Perugia) per accogliere, sotto la guida di educatori specializzati, i bambini tra i 3 ed i 14 anni durante i periodi di chiusura delle scuole. Inaugurato nel 2004, l’asilo nido Les Galipettes di Milano ospita i figli dei dipendenti Nestlé ed è aperto agli abitanti della zona, con una retta equiparata a quella richiesta dalle strutture comunali. L’asilo nido aziendale di Perugia, aperto invece nel 2008, è il risultato della sinergia tra l’azienda e un’impresa sociale per offrire un sostegno alle famiglie del territorio. La struttura garantisce infatti una copertura fino a 12 ore giornaliere anche di sabato, con 15 posti riservati ai dipendenti Nestlé e 66 messi a disposizione della comunità.I servizi offerti dall’azienda ai dipendenti e ai loro familiari si completano con convenzioni e iniziative wellness, campagne di prevenzione e programmi di corretta nutrizione.
Intervista a Gianluigi Toia, Head of Employee Relations, ed Elisabetta Dalla Valle, responsabile welfare di Nestlé Italia
Come nascono le iniziative di welfare aziendale di Nestlé?
Alla base della strategia sono le priorità che il gruppo Nestlè stabilisce per l’Europa nell’ambito delle risorse umane, primi tra tutti gender balance, employee branding e social compliance. Il welfare aziendale è quindi lo strumento concreto che l’azienda utilizza per il raggiungimento di obiettivi strategici come il miglioramento delle condizioni di lavoro delle dipendenti donne, l’immagine del brand ma anche l’attrattività per i lavoratori.
Le rappresentanze sindacali sono coinvolte?
La spinta di carattere sindacale verso i temi del welfare è dimostrata dal fatto che all’interno dell’integrativo è stata inserita esplicitamente la volontà di lavorare sulla conciliazione famiglia-lavoro. L’accordo integrativo di gruppo, che riguarda Nestlè italiana e San Pellegrino, impegna l’azienda a costruire un ambiente family-friendly e flessibile, attento alle esigenze dei lavoratori. All’interno degli accordi sindacali sono state stabilite iniziative importanti, come recentemente il congedo di paternità. Non soltanto un aiuto di welfare, ma anche un importante tentativo di dare una risposta alle necessità di gender balance attraverso un lavoro sulla cultura aziendale per riequilibrare i ruoli all’interno della famiglia e fornire quindi alle donne nuove possibilità di sviluppo di carriera.
Gli ultimi accordi disciplinano anche la flessibilità di orario, il part-time e il telelavoro. Si tratta di un impegno di lungo termine nella promozione di nuovi modelli di gender balance rispetto al quale l’azienda vuole costituire un esempio virtuoso. L’investimento concreto sul welfare è uno degli argomenti principali delle relazioni industriali del gruppo, e i sindacati dimostrano da sempre un forte interesse a partecipare allo studio delle iniziative.
Quando è iniziato il lavoro delle Risorse Umane sul work-life balance?
A seguito di alcune esperienze significative come il Progetto 90 Giorni, da circa un anno ci siamo impegnati a sistematizzare le nostre iniziative per la conciliazione famiglia-lavoro. Benché le iniziative di welfare aziendale siano iniziate già da un paio d’anni, la strategia vera e propria è stata studiata a partire dall’inizio di quest’anno, stimolata proprio dalla “maturazione” di esperienze interessanti, che hanno dato stimoli concreti allo sviluppo dell’area del work-life balance.
Perché avete deciso di investire proprio sul work-life balance?
La scelta di sviluppare questo tipo di iniziative è nata proprio dalla comprensione che esse abbracciano molti settori diversi dell’organizzazione aziendale, e hanno molteplici ricadute.
In seguito non solo ai questionari, ma anche e soprattutto a una serie di incontri informali con i lavoratori, abbiamo individuato questa area come particolarmente sensibile. Stiamo realizzando un blog che si occupa del tema della conciliazione, per far emergere le esigenze grazie a un nuovo strumento di comunicazione interna – indirizzato soprattutto alla fascia di dipendenti più giovane e informatizzata – ma anche per fornire informazioni circa le diverse possibilità.
In cosa consiste la nuova strategia rispetto a welfare e conciliazione?
Abbiamo innanzitutto identificato le aree di lavoro: flessibilità di tempo e di location, gender balance, mobilità sostenibile, budget personale, family care e salute e benessere. Per ognuna di queste abbiamo poi scelto le possibili iniziative, che di volta in volta testiamo attraverso gli strumenti di ascolto per capire se e dove implementarle. Un esempio è l’accordo sindacale che disciplina il telelavoro, che sarà integrato nelle prossime settimane da un nuovo accordo per il “lavoro agile”, una forma di telelavoro ancor più destrutturato che non richiede una postazione fissa. E’ importante sottolineare che a latere dell’accordo sul telelavoro abbiamo realizzato un modulo di formazione rivolto non solo al telelavoratore e al suo superiore ma anche ai colleghi, così da sgomberare il campo da pregiudizi grazie a una corretta informazione sulla condizione del dipendente e al monitoraggio della sua performance. Proprio a questo scopo cerchiamo di definire dei KPIs – Key Performance Indicators per valutare l’effettiva prestazione dei circa 50 telelavoratori italiani, che costituiscono il 7-8% delle posizioni tele-lavorabili.
Quali strumenti utilizzate per lo studio delle iniziative?
La strategia prevede un’analisi delle necessità delle persone lungo il ciclo di vita per individuare i diversi bisogni in base all’età, al luogo in cui vivono e alle condizioni personali e familiari. Sono stati inoltre implementati sistemi di ascolto, come il Pranzo Primavera. Si tratta di un momento di confronto e dialogo con i dipendenti nato in maniera più destrutturata, cui sono seguiti questionari ad hoc distribuiti in collaborazione con le RSU nei siti produttivi per rilevare i bisogni. Questo ha favorito la diffusione dell’idea di un’attenzione alle persone che non viene “dall’alto” ma si basa sulla reale volontà di individuare le esigenze della collettività. Il successo è stato dimostrato dalla redemption altissima – intorno al 75% – del primo questionario.
Quali sono i progetti che costituiscono la “punta di diamante” del family care?
Oltre al Progetto 90 Giorni, con il quale abbiamo vinto nel 2011 il Premio Famiglia Lavoro della Regione Lombardia, abbiamo la straordinaria esperienza dei nostri asili nido. Le due strutture, nate a Milano e Perugia per volontà dell’azienda, sono oggi aperte anche al territorio e coprono una fascia oraria che va dalle 7.30 del mattino alle 19.30 di sera, anche sei giorni a settimana se necessario, e per 12 mesi all’anno. E la retta è equiparata a quella delle strutture comunali. Quando poi le scuole chiudono, il Progetto 90 Giorni accoglie i bambini nelle strutture aziendali dedicate. I genitori pagano solamente il servizio educativo fornito dalla società specializzata, mentre l’azienda offre gli spazi e i pasti.
Si è parlato sulla stampa della vostra proposta di job-sharing familiare. In che cosa consiste?
La proposta è nata per la sede di Perugia a partire dall’esigenza tecnica, legata alla produzione del cioccolato, di concentrare l’attività in determinati periodi dell’anno. Abbiamo quindi pensato di concedere ai lavoratori più anziani, che si trovano in alcuni periodi a dover sostenere una turnistica impegnativa, di proporre l’ingresso in azienda dei figli. Rinunciando al 25% del proprio tempo di lavoro il genitore vedrebbe il figlio impiegato al 75%, con un 50% in più per il budget familiare. Per l’azienda significherebbe avere più lavoratori part-time nei periodi di concentrazione della produzione, anziché un numero fisso di lavoratori durante tutto l’arco dell’anno. Ci sono state obiezioni da parte dei sindacati e l’iniziativa non è stata ancora implementata, anche se confido nel fatto che l’idea riesca a “maturare”.
Quali idee per il futuro?
Continueremo sicuramente a lavorare sul work-life balance. Stiamo iniziando proprio ora a studiare un programma di reinserimento e formazione al rientro dalla maternità, attraverso un sistema di mentoring e coaching che consenta a chi torna al lavoro dopo un lungo congedo di riprendere serenamente non solo le proprie mansioni ma anche la propria carriera con successo. Stanno partendo inoltre diversi progetti di mobilità sostenibile, dal più tradizionale contributo per l’abbonamento ai mezzi pubblici, al car pooling e fino a una nuova iniziativa per incentivare l’utilizzo della bicicletta.
Una novità è poi il progetto dedicato ai figli dei dipendenti che si accingono a entrare nel mondo del lavoro, che mette a disposizione gli esperti di selezione dell’azienda non solo per insegnare ai giovani a sostenere un colloquio e scrivere un curriculum vitae completo ed efficace, ma anche per indirizzarli alla scelta di una professione in base a competenze e attitudini.
Ultima iniziativa allo studio riguarda l’estensione dell’assistenza sanitaria integrativa, di cui già beneficiano quadri e dirigenti attraverso due casse aziendali, a tutti i dipendenti. Si tratterebbe di un plus rispetto all’assistenza sanitaria prevista dal contratto nazionale del settore alimentare (il FASA, Fondo Assistenza Sanitaria Alimentaristi) per programmi di prevenzione e per integrare il costo di quelle prestazioni che rimangono “scoperte”, come le lenti e l’odontoiatria. Una volta concluso lo studio interno presenteremo l’idea alle rappresentanze sindacali.
Per quanto riguarda infine gli anziani, stiamo iniziando a chiederci cosa possiamo fare. Partendo dalla nutrizione, che è la nostra più grande competenza, fino ad arrivare all’offerta di servizi e consulenza.
Riferimenti
Padri divisi nella fabbrica di cioccolato "Lascio il posto a mio figlio, anzi no"
Jenner Meletti, la Repubblica, 25 luglio 2012
Welfare aziendale secondo la Nestlé due settimane di congedo per i neo-papà
Luca Pagni, la Repubblica, 14 marzo 2012
L’intervista a Gianluigi Toia, Head of Employee Relations di Nestlé, sul sito di Repubblica, 25 luglio 2012