Nel corso degli ultimi anni abbiamo ospitato nella nostra testata numerosi contributi che si inseriscono nel dibattito relativo al futuro della filantropia strategica nel nostro Paese. Questi riflessioni, in parte confluite in un capitolo del nostro Quarto Rapporto sul secondo welfare in Italia 2019, sono state ulteriormente sollecitate dall’emergenza Coronavirus e dalle sue conseguenze economiche e sociali. Dopo il contributo di Carola Carazzone, che invitava le Fondazioni a sostenere direttamente gli enti del Terzo Settore piuttosto che i singoli progetti, siamo felici di ospitare questa riflessione originale a cura di Elena Bottasso e Andrea Silvestri della Fondazione CRC. Questo articolo è disponibile anche in inglese.
La crisi Coronavirus che stiamo attraversando sta causando un rallentamento o un’interruzione in molti settori di attività. Eppure, proprio la clausura forzata che stiamo attraversando genera esigenze di intervento ancora più intense di prima. Si pensi, per esempio, alla sfida della coesione sociale, con il rischio concreto, in questo periodo, che proprio chi era solo o in difficoltà rimanga ancora più indietro e isolato (come sottolineato in questa proposta elaborata dal Forum Disuguaglianze e Diversità insieme ad ASviS, NdR). Le Fondazioni, dunque, si stanno tutte impegnando per non interrompere il loro impegno erogativo e progettuale, proprio per non far venir meno il supporto a servizi essenziali in questa fase. Presto, però, ci troveremo a riflettere non solo sulla risposta alle emergenze, ma anche sulla proposta di iniziative di più ampio respiro, finalizzate a sostenere l’impegnativa ripartenza economica e sociale.
Questo periodo, dunque, è anche propizio per una riflessione sulle modalità operative e gli strumenti più efficaci che possono essere adottati dagli enti filantropici, nel loro ruolo di supporto, ma anche di stimolo innovativo al territorio (per approfondire il contributo delle Fondazioni nella promozione di un cambiamento sociale duraturo consulta il capitolo 7 del nostro ultimo Rapporto, NdR). Tra questi vogliamo parlare, nelle righe seguenti, del superamento dello strumento dei bandi tradizionali, o meglio della dicotomia tra bandi e progetti centralizzati e della ricerca di una via alternativa, auspicabilmente capace di valorizzare gli aspetti positivi di entrambi e di ridurne, al contempo, gli “effetti avversi”.
Il bando: uno strumento amato e odiato dalle istituzioni pubbliche o private filantropiche che erogano contributi, e ancor più dai protagonisti del Terzo Settore, ma non solo, che candidano le loro progettualità per ottenere finanziamenti. Alcune recenti sperimentazioni, promosse in provincia di Cuneo da Fondazione CRC, aprono una strada interessante per superare lo strumento tradizionale del bando, tenendo insieme progettualità integrate e singole istanze del territorio.
I pro e i contro dei bandi
I pro e i contro dei bandi sono noti. Partiamo dai primi. I bandi sono una modalità di selezione democratica, trasparente, oggettiva, rispettosa del territorio:
- Democratica perché offre a tutti i soggetti ammissibili la possibilità di partecipare e di avere successo;
- Trasparente perché le regole del gioco, i criteri di ammissibilità e di valutazione sono dichiarati ex-ante;
- Oggettiva perché la presenza di criteri di valutazione, specie se quantitativi (per esempio il numero di alunni coinvolti nel progetto, il numero di posti letto creati, ecc.), consente di premiare le iniziative che più rispondono agli obiettivi dell’ente erogatore;
- Rispettosa del territorio perché lascia ai soggetti operanti sul campo la responsabilità di elaborare la propria proposta progettuale.
I bandi, d’altra parte, presentano alcune controindicazioni, o effetti indesiderati, come si direbbe in campo medico.
In primo luogo, bisogna ammettere che non sempre è possibile adottare criteri di valutazione “quantitativi e oggettivi”, per cui un certo grado di soggettività nelle valutazioni permane. A questo si cerca di ovviare con una valutazione effettuata a più mani, da persone competenti e indipendenti, facendo derivare la valutazione complessiva del progetto dalla media delle singole valutazioni. Ma ciò che ci interessa di più evidenziare sono gli effetti indesiderati legati alla natura competitiva dei bandi e al frazionamento di contributi che generano. La dinamica di gara che si crea tra i partecipanti al bando produce, infatti, una competizione tra soggetti analoghi (associazioni sportive, comuni di un territorio, scuole, ecc.), che spesso l’ente finanziatore vorrebbe veder collaborare tra loro. Talvolta i punteggi di premialità che vengono assegnati a chi si candida in rete possono essere efficaci per attenuare questo effetto, ma in molti casi possono portare a partenariati un po’ posticci, in cui un soggetto leader ottiene una partecipazione formale, e non sempre sostanziale, da parte di altri soggetti.
Il secondo problema ricordato è legato al fatto che gli enti finanziatori sono sottoposti a due tensioni contrapposte: da un lato, l’obiettivo di finanziare progetti di dimensione cospicua, che possano incidere positivamente sulla comunità in cui si realizzano; dall’altro, il desiderio di finanziare il maggior numero di progetti possibile, compatibilmente con il budget a disposizione, per poter raggiungere, beneficiare e attivare il maggior numero di soggetti. Nei casi virtuosi questo dibattito porta a un equilibrio di buon senso, tra numero di progetti finanziati e dimensione degli stessi. Ma resta il fatto che difficilmente, tramite un bando, con le dinamiche sopra ricordate, si potranno selezionare 1 o 2 vere progettualità articolate e integrate per un intero territorio, mentre in molti casi quello che servirebbe è proprio questo.
I progetti a regia centralizzata
L’alternativa ai bandi, per gli enti finanziatori, e in particolare per le fondazioni filantropiche, è la promozione di progetti a regia centralizzata. Questo approccio è efficace quando un certo obiettivo, per essere raggiunto, richiede una massa critica significativa, o una scala territoriale adeguata, per esempio per un’iniziativa di promozione turistica di una provincia, o un cambiamento di sistema diffuso in un certo ambito di servizio. Oppure quando si intende realizzare un’iniziativa sperimentale, sottoposta a una valutazione rigorosa degli effetti.
Spesso i progetti a regia seguono approfondite fasi di analisi e di ricerca, e sono realizzati tramite partenariati con diversi soggetti del territorio, che possono includere enti locali, atenei, associazioni.
Tuttavia, queste progettualità centralizzate, sebbene siano, in genere, seguite con impegno dai soggetti invitati, scontano la debolezza di non essere davvero “nate dal basso”, ma progettate dall’alto e proposte al territorio, o per lo meno di non far sentire sufficientemente protagonisti i partner locali, con conseguenze negative sulle prospettive di sostenibilità successiva alla fase progettuale.
Una terza via: i bandi a regia
Un bel dilemma, dunque, scegliere tra lo strumento del bando e quello del progetto, con entrambe le strade non prive di effetti avversi.
In provincia di Cuneo la Fondazione CRC ha da poco avviato due interessanti sperimentazioni che aprono una “terza via”, dalle prospettive molto promettenti. Potremmo chiamarla “Bando a regia”. Le descriviamo qui di seguito, attraverso i casi concreti di applicazione. Si tratta di due iniziative promosse nell’ambito del welfare, “FamigliARE. Azioni, Relazioni, Esperienze” e “Mondo Ideare. Giovani e associazioni protagonisti del cambiamento”.
FamigliARE, ideata a seguito di una ricerca a scala provinciale che ha interrogato 500 nuclei famigliari (qui sono disponibili i risultati della ricerca, coordinata dal Centro Studi della Fondazione CRC e realizzata con il CISF-Centro Internazionale Studi Famiglia), si è proposta di fornire risposte alle “normali” fragilità delle famiglie, quelle della generazione sandwich, stretta tra lavoro e compiti educativi e di cura verso i figli minori e i genitori anziani, spesso in situazioni di solitudine, stress, frenesia. Il percorso di animazione territoriale e progettazione partecipata previsto in FamigliARE è stato realizzato dalla Fondazione CRC in collaborazione con il partner tecnico Labins.
Mondo Ideare è scaturita dal duplice obiettivo di stimolare la partecipazione attiva delle giovani generazioni nel trovare soluzioni innovative alle sfide sociali dei propri territori, attivando collaborazioni con le associazioni esistenti, anche per favorire un ricambio generazionale nel mondo del volontariato. Il percorso di Mondo Ideare è stato sviluppato dalla Fondazione CRC in collaborazione con il partner tecnico Associ&Rete.
Entrambe le misure sono nate dunque con l’idea di sviluppare azioni di comunità, in grado di:
- consentire il reale protagonismo dei cittadini nell’ideazione e realizzazione – dalla fase di ascolto a quella di co-progettazione fino alla gestione partecipata – di iniziative di risposta a bisogni sociali;
- favorire la creazione o il rafforzamento di alleanze formali e informali, anche con il coinvolgimento di soggetti inediti, e di reti locali e sovralocali;
- sostenere iniziative innovative e trasformative, a integrazione dell’attuale sistema dei servizi.
E veniamo al Bando a regia. Per promuovere processi partecipativi e generativi come quelli auspicati, una prima sfida è quella di intercettare le iniziative già attive sul territorio e coinvolgere i soggetti pubblici e privati che si stanno già occupando del tema in oggetto, inclusi quelli che normalmente non rappresentano diretti interlocutori o beneficiari di una Fondazione/ente finanziatore, come in questo caso giovani e famiglie non necessariamente inseriti in forme associative. Questa fase di “scouting” territoriale, realizzata tramite partner tecnici e operativi, riproduce la logica del bando, e costituisce il primo step del Bando a regia.
Una seconda sfida consiste nel promuovere percorsi di collaborazione e co-progettazione il più possibile inclusivi proprio tra i soggetti intercettati nel primo step, che pongano sullo stesso piano di ascolto e proposta cittadini, enti pubblici, organizzazioni del Terzo Settore, ma anche del privato profit, come imprese. Per rafforzare e rendere stabile la collaborazione tra i soggetti viene promossa la costituzione di vere e proprie partnership o alleanze territoriali.
Infine, l’ambizione è quella di stimolare l’ideazione di proposte integrate, dotate di massa critica e realmente utili, evitando il rischio di replicare azioni in essere o di carattere episodico, non in grado di produrre cambiamenti duraturi nel tessuto sociale. Si tratta dunque della fase di progettazione del Bando a regia, che riproduce, invece, la logica dei progetti promossi centralmente: le idee progettuali – presentate solo da partnership che hanno preso parte ai percorsi iniziali – vengono sviluppate in progetti di dettaglio, a partire da un confronto diretto con la Fondazione e un accompagnamento nella progettazione.
In un percorso ideale di un Bando a regia, da ogni “distretto territoriale” su cui si agisce (per dare un’idea, in provincia di Cuneo abbiamo ripartito l’azione su 4 distretti) emergerà una, o al massimo un paio, di progettualità integrate, che la Fondazione è pronta a sostenere finanziariamente per un periodo congruo, per esempio un triennio. Iniziative con le radici nelle iniziative preesistenti, ma rilanciate su una scala ben diversa in termini di innovazione, dimensioni, coordinamento, capacità di impatto. Può capitare, naturalmente, che un distretto territoriale non concordi su una-due progettualità, ma continui a proporne di più: in questo caso spetterà alla Fondazione finanziatrice un’eventuale selezione. Questi step consentono, tra l’altro, di aprire spazi di confronto tra l’ente finanziatore e i proponenti – anche discostandosi dalla logica valutatori-valutati – al fine di introdurre miglioramenti delle proposte progettuali che si vanno costruendo, ma anche di prevedere modifiche di alcune regole del gioco ipotizzate a inizio percorso. Logica che vale anche per il monitoraggio e la valutazione nel corso della realizzazione e a conclusione dei progetti.
E torniamo alle applicazioni concrete. A inizio 2020 si è conclusa la seconda fase con il finanziamento dei progetti, e la crisi Coronavirus ha introdotto un rallentamento delle attività, per cui è presto per tirare le somme di queste sperimentazioni. Alcune considerazioni però possono essere condivise.
Intanto, ci sembra di poter dire che – superata una fase iniziale di disorientamento – c’è stata un’ampia disponibilità da parte delle comunità locali nel mettersi in gioco in percorsi di progettazione partecipata, pur nell’ampia incertezza sull’esito finale dei finanziamenti. Si sono innescate logiche cooperative piuttosto che competitive, che hanno portato a presentare, alla prima fase del bando, idee progettuali scaturite da ogni ambito territoriale oggetto dei percorsi di accompagnamento, esattamente ciò che mancava allo strumento tradizionale dei bandi.
Da questi primi mesi di attività emergono anche alcuni elementi di attenzione, tra cui:
- la necessità di prevedere tempi adeguati: i processi di coinvolgimento e attivazione sono lunghi, rischiano di perdere energia iniziale, o di succhiare tutta l’energia nella costruzione delle partnership piuttosto che nella definizione di buone idee;
- il rischio che lo stimolo alla coprogettazione faccia perdere qualità e innovatività delle proposte, perché molte energie sono dedicate alla gestione dei processi di confronto e al desiderio di condivisione delle conclusioni;
- l’esigenza di accompagnare i soggetti locali ad acquisire metodi e strumenti adeguati (che prevedano anche cambiamenti organizzativi degli enti e delle organizzazioni del Terzo Settore);
- l’obbligo, come soggetti finanziatori, a essere disponibili ad apprendere dai processi in corso e a cambiare anche in corso d’opera le modalità di gestione e rapporto con le reti territoriali attivate.
Il Bando a regia, dunque, è uno strumento che va sperimentato, con prove ed errori, e migliorato in molti suoi passaggi. È un percorso assai più faticoso di un bando tradizionale e richiede un impegnativo livello di coinvolgimento gestionale, da parte degli enti finanziatori.
Non risponde pienamente all’istanza, proveniente in particolare degli Enti del Terzo Settore, e recentemente rilanciata in alcuni importanti articoli, di assegnare contributi alle organizzazioni e non ai progetti, ma probabilmente è un primo riscontro a questa esigenza. Nelle sue prime sperimentazioni, infatti, sembra dimostrare la capacità di tenere insieme iniziative del territorio, le attività già in corso, e la regia centralizzata alla scala ottimale. Andranno verificati con rigore i risultati generati al termine dei percorsi progettuali, ma questo strumento pare essere quello che offre alle iniziative innovative promosse le migliori chance di trasformarsi in un cambiamento sistemico, diffuso e durevole nel tempo.