Riceviamo e riprendiamo volentieri questa riflessione di Carola Carazzone, Segretario Generale di Assifero (Associazione italiana delle fondazioni ed enti della filantropia istituzionale), sul ruolo che le fondazioni filantropiche possono giocare nell’attuale situazione di emergenza. L’articolo è stato pubblicato anche da Vita e da Corriere Buone Notizie.
Alcune volte gli incubi prendono forma e futuri distopici immaginati solo in romanzi e film diventano realtà. I riflettori oggi sono tutti puntati sulle vittime e sulla crisi sanitaria. Il coraggio, la professionalità e la dedizione dei medici e personale paramedico italiani impegnati in prima linea contro il coronavirus ci rassicurano e ci riempiono di ammirazione e di sano orgoglio nazionale. Anche gli stanziamenti aggiuntivi da parte di tante fondazioni filantropiche italiane per far fronte alla crisi sanitaria sono encomiabili. Sappiamo già, però, che la pandemia avrà enormi conseguenze, ancora poco prevedibili, su tutti gli ambiti della vita del nostro Paese, con impatti profondi a livello economico, educativo, culturale e sociale. Siamo di fronte ad una crisi sistemica per affrontare la quale ognuno di noi, all’interno del sistema, deve fare il massimo di quanto in suo potere, “per evitare – come scriveva Mauro Magatti sul sito dell’Alleanza per la generatività sociale – che l’epidemia virale si trasformi in macelleria sociale”.
Per riuscire a fare questo il nostro Paese ha un enorme bisogno di Organizzazioni del Terzo Settore sempre più diffuse, forti, capaci, resilienti e le fondazioni filantropiche italiane possono e devono prendere l’iniziativa per dare un contributo a questo sviluppo, innanzitutto modificando da subito le modalità di finanziamento e rendicontazione con cui sostengono gli enti del Terzo Settore. Il Terzo Settore ci interessa tutti perché si occupa delle grandi cause che ci stanno a cuore, dell’umanità, del pianeta, delle persone più fragili che amiamo. Il Terzo Settore interessa ciascuno di noi perché fa la differenza per un mondo migliore, perché ha la capacità di immaginare l’impossibile e di riunire centinaia, migliaia, milioni di persone per una causa: perché si prende cura degli anziani come preziose risorse, perché vede le persone con disabilità mentale come persone prima e sopra di tutto, perché combatte il razzismo, perché ci educa a proteggere l’ambiente, perché valorizza l’interculturalità dei nuovi cittadini insegnandoci che viviamo in un mondo interconnesso. Il Terzo Settore non fa solo attività di supplenza, a basso costo, di ciò che il welfare non riesce ad offrire, non tappa solo i buchi (o le voragini) di un sistema statale obsoleto e inefficiente. Le organizzazioni del Terzo Settore sono capaci di trasformare la società, innescando processi che producono valore non solo nel raggiungimento del risultato finale ma anche nel percorso, talvolta lungo e accidentato, per raggiungerlo: il valore di una società aperta e inclusiva in cui i diritti umani e le libertà fondamentali di tutti sono al centro. Una lezione che troppo spesso abbiamo dimenticato e forse solo questa pandemia riuscirà a farci apprendere davvero. Purtroppo, alcuni miti, alcuni muri ideologici che caratterizzano non solo gli interventi di sostegno delle Pubbliche amministrazioni, ma anche degli enti filantropici- la riduzione all’osso dei costi di struttura, il fare tanto con poco, il devolvere tutto alle attività e ai beneficiari e poco, o niente, al rafforzamento strutturale delle organizzazioni, all’ampliamento delle loro capacità, alla digitalizzazione, e, forse soprattutto, il lavorare solo per cicli di progetti – di fatto continuano ad impedire al Terzo Settore di cambiare il mondo e lo mantengono sotto schiaffo, in una situazione di sudditanza e dipendenza. Il meccanismo dei bandi ha prodotto organizzazioni deboli, in starvation cycle e in concorrenza vitale tra loro e un effetto di adattamento, di isomorfismo delle organizzazioni del Terzo Settore come progettifici.
Ora, di fronte a questa crisi, ciascuno di noi si chiede che cosa può fare, individualmente e collettivamente. La mia domanda è alle fondazioni filantropiche. Quale è la differenza che vogliamo e possiamo fare? L’unicità del valore delle fondazioni filantropiche sta nella totale autonomia e creatività con cui la ricchezza privata di cui dispongono può essere messa a disposizione del bene comune: dunque nelle modalità e nella qualità dei loro contributi, più ancora che nella quantità. Aumentare i finanziamenti per la ricerca medica e le risposte all’emergenza Coronavirus – emergenza economica ed educativa, oltre che sanitaria – è fondamentale, ma è solo una parte delle necessità del nostro Paese. Le fondazioni filantropiche hanno per natura una enorme libertà strategica e una ampia flessibilità e agilità di azione. Le organizzazioni del Terzo Settore in una situazione di crisi come questa rischiano il collasso. Il sistema dei progetti come modalità quasi esclusiva di finanziamento le tiene permanentemente entro il ciclo della fame, la maggior parte di loro ha una liquidità di cassa che non va oltre i tre mesi. Oggi che tutti i loro eventi di raccolta fondi sono annullati, e sospese tante delle attività previste dai progetti approvati, il Terzo Settore è terribilmente a rischio. Le organizzazioni del Terzo Settore non hanno potuto accantonare, patrimonializzare, risparmiare. E’ proprio in un momento di crisi come questo che le fondazioni possono avere l’umiltà e il coraggio di usare la loro libertà e la loro flessibilità. Innanzitutto, ascoltando gli enti beneficiari che sostengono e dando loro fiducia. Sono gli enti del Terzo Settore stessi i più autorevoli nel sapere di che cosa hanno bisogno per fronteggiare la crisi. A differenza di altri donatori, poi, le fondazioni filantropiche hanno la libertà e flessibilità di agire sulle modalità di finanziamento e rendicontazione da cui discende un impatto enorme sulla creatività, capacità e resilienza delle organizzazioni del Terzo Settore.