Sono quasi tre decenni che molti Paesi europei stanno cercando di riformare i propri sistemi di protezione sociale, ritagliati su strutture economiche, sociali e demografiche ormai superate. La globalizzazione, le trasformazioni del sistema familiare e produttivo, i cambiamenti demografici e il progressivo invecchiamento della popolazione sono i principali fenomeni che hanno spinto molti governi a rimettere in discussione i propri modelli sociali. Negli ultimi anni, a causa dell’emergere di rischi e bisogni sempre più complessi, in gran parte collegati alla crisi economico-finanziaria, questa necessità si è fatta progressivamente più forte.
In quest’ottica i Paesi europei stanno cercando di riformarsi facendo perno su alcuni principi ispiratori comuni, ampiamente promossi dal livello comunitario: sostenibilità ed efficienza, flexicurity, inclusione, protezione sociale come motore di crescita e sviluppo, partnership fra pubblico e privato, priorità agli investimenti a favore di donne e bambini e agli interventi volti a fronteggiare i nuovi rischi.
L’Unione Europea ha inoltre avviato processi che permettano la definizione del concetto di innovazione sociale, un “ombrello” al di sotto del quale possono essere ricondotti molti dei principi sopra ricordati. Recentemente lo ha fatto attraverso la strategia Europa 2020, ma l’impegno dell’Unione in questo senso è riconducibile molto più indietro, in tempi “non sospetti” e non influenzati da quelle che Maurizio Ferrera ha giustamente indicato come le “politiche dell’ansia”. Ripercorriamo brevemente questo percorso, e proviamo a capire come e quanto il concetto di innovazione sociale può rappresentare un’occasione per l’UE.
Innovazione sociale: di cosa parliamo?
In questi ultimi anni, il concetto di innovazione sociale si è imposto come tema centrale all’interno delle strategie comunitarie quale strumento per far fronte alla crisi finanziaria, economica e sociale esplosa dal 2008 in tutti i paesi europei. L’innovazione sociale infatti può costituire una leva per immaginare e valorizzare nuove esperienze e modelli per combattere le povertà e per promuovere – insieme ai cittadini – un nuovo tipo di sviluppo.
Nel documento “Empowering People, Driving Change. Social Innovation in the European Union” il Bureau of European Policy Advisers (BEPA) definisce le innovazioni come sociali “sia nei fini sia nei mezzi”: devono consistere in nuove idee (prodotti, servizi e modelli) che rispondono ai bisogni sociali in modo più efficace delle alternative esistenti e che, allo stesso tempo, creano nuove relazioni sociali e collaborazioni. Il processo sotteso all’innovazione sociale implica trasformazioni tanto di prodotto (i servizi offerti) quanto di processo (chi offre il servizio e con quali risorse), che si distinguono dal resto delle sperimentazioni nel sociale per il fatto di riuscire a migliorare effettivamente e in modo duraturo la qualità della vita dei cittadini.
L’innovazione risiede in particolare nella capacità degli individui di legarsi in reti e di gestire problemi complessi attraverso l’individuazione di soluzioni condivise, a maggior ragione in un momento di riduzione delle risorse pubbliche e di contrazione dei fondi privati. Essa rafforza quindi la capacità di agire e reagire della società.
Da dove viene il concetto di innovazione sociale sviluppato dall’Unione
E’ stato il Consiglio di Lisbona del 2000 ad esplicitare chiaramente la necessità di un cambiamento nella definizione di linee di sviluppo armoniche e convergenti per i welfare state nazionali, dopo i primi passi compiuti dal Trattato di Amsterdam. La cosiddetta “Strategia di Lisbona” prevedeva un insieme di azioni finalizzate a trasformare l’UE, nel decennio successivo, nell’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica al mondo, capace di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale. Questo senza rinunciare al modello sociale europeo, da realizzarsi attraverso una serie di azioni finalizzate alla definizione di un welfare state “capacitante”, centrato sull’idea che l’occupazione costituisse la migliore garanzia contro esclusione sociale e povertà. In quest’ottica, l’innovazione sociale veniva già allora indicata come la via principale per avviare processi di crescita economica capaci di sostenere la strategia.
Pochi mesi dopo il Consiglio di Lisbona la Commissione europea dava il via all’Agenda sociale per il periodo 2000-2005 definendo la politica sociale come un “fattore produttivo” ed evidenziando le potenzialità del welfare di trasformarsi da costo nei bilanci pubblici in motore di crescita e sviluppo economico e sociale, anche alla luce dell’enorme potenziale occupazionale dell’Unione europea in quasi tutti i settori dei servizi. L’Agenda sottolineava inoltre l’esigenza di coinvolgere, nella modernizzazione del modello sociale europeo, istituzioni dell’Unione europea, Stati membri, livelli regionali e locali, parti sociali, società civile e aziende.
Con il processo intermedio di valutazione della Strategia di Lisbona ha preso il via una seconda fase dell’Agenda sociale. A maggio del 2004 la Commissione aveva incaricato un “gruppo ad alto livello”, formato da esperti indipendenti e presieduto dal ex-Primo Ministro olandese Kok, di fornire una valutazione dei risultati fino ad allora raggiunti nell’attuazione degli obiettivi di Lisbona. Il Rapporto Kok, dopo una analisi delle principali debolezze riscontrate nell’attuazione della Strategia, concludeva che senza crescita il modello sociale europeo avrebbe rischiato un forte ridimensionamento ed esortava le istituzioni europee a coordinare, in modo più efficace di quanto fatto fino ad allora, lo sforzo degli Stati membri per colmare il crescente divario di competitività nei confronti degli Stati Uniti e delle emergenti economie asiatiche. Nel Rapporto si raccomandava di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla improrogabile necessità di riformare i sistemi di protezione sociale, in particolare alla luce delle prospettive di invecchiamento della popolazione, confermando la crescente rilevanza attribuita all’idea di coinvolgere la società civile nella ricerca di soluzioni per la sostenibilità futura dei sistemi di protezione sociale. Un nuovo protagonismo, questo, da considerarsi come uno dei tratti distintivi dell’innovazione sociale.
La Strategia di Lisbona “rinnovata” ha così contribuito a tematizzare l’innovazione sociale quale processo principale per la modernizzazione dei sistemi di welfare. Tale orientamento viene confermato dalla Commissione europea tra il 2006 e il 2007 con le Comunicazioni “Mettere in pratica la conoscenza: un’ampia strategia dell’innovazione per l’UE” e “Opportunità, accesso e solidarietà: verso una nuova visione sociale per l’Europa del XXI secolo” e nel 2008 dal Comitato economico e sociale europeo con il parere “Investire nella conoscenza e nell’innovazione”. In particolare, nel secondo documento viene posta una forte enfasi sull’esigenza di rafforzare – per riformare i sistemi di protezione sociale – il capitale sociale e su una concezione del welfare in termini di investimento più che di spesa.
La strategia Europa 2020
I documenti ufficiali successivi all’inizio della crisi economico-finanziaria del 2008 riflettono un orientamento ancora più deciso delle istituzioni europee verso l’adozione dell’innovazione come strategia chiave. In particolare, a febbraio 2010, allo scadere del termine per il raggiungimento degli obiettivi di Lisbona, la Commissione propone un bilancio della Strategia, indicandone punti di forza e criticità. Si tratta di un bilancio propedeutico al lancio di una nuova strategia di crescita che tenga conto del contesto internazionale e delle incerte previsioni di crescita dell’area Euro.
Ed è così che vede la luce la strategia “Europa 2020”. Nella Comunicazione – che costituisce la cornice di riferimento per le iniziative comunitarie nel campo delle politiche sociali per il prossimo decennio – l’innovazione viene individuata tra i principali strumenti per perseguire una serie di obiettivi economici e sociali, nell’ambito di sette “iniziative faro”. L’innovazione è al centro dell’iniziativa “Unione dell’innovazione” – il cui obiettivo è ri-orientare la politica di R&S e innovazione in funzione di nuove sfide – e di quella denominata “Piattaforma europea contro la povertà”, all’interno della quale la modernizzazione del welfare è espressamente messa in relazione con l’innovazione sociale. La Commissione europea viene invitata ad operare per elaborare e attuare programmi volti a promuovere l’innovazione sociale per le categorie più vulnerabili, offrendo soluzioni innovative nel campo dell’istruzione, della formazione e dell’occupazione alle comunità svantaggiate, a combattere qualsiasi forma di discriminazione, a definire una nuova agenda per l’integrazione dei migranti affinché possano sfruttare le loro potenzialità, a valutare l’adeguatezza e la sostenibilità dei regimi pensionistici e di protezione sociale e a riflettere su come migliorare l’accesso ai sistemi sanitari.
Europa 2020 invita anche tutti i soggetti interessati – dai Parlamenti nazionali alle autorità regionali e locali, dalle parti sociali alla società civile – a fornire un contributo all’attuazione della nuova strategia, lavorando in partenariato e adottando iniziative condivise nei settori di cui sono responsabili. Sembra così consolidarsi, a livello europeo, un’idea di welfare “abilitante” che sprona istituzioni e cittadini, sindacati ed imprese, fondazioni e organizzazioni del Terzo settore a sperimentare nuovi processi e servizi in grado di rispondere in modo più efficiente ed efficace ai bisogni della società di quanto, oggi, riescano a fare welfare state nazionali in forte crisi.
Primi effetti di Europa 2020
Negli ultimi tre anni, le prospettive aperte dalla strategia “Europa 2020” hanno favorito un insieme di sviluppi interessanti e promettenti. Cruciale sembra essere il ruolo innovativo riconosciuto dall’UE alle sperimentazioni nel campo della responsabilità sociale d’impresa. La CSR rappresenta il fondamento degli obiettivi in materia di crescita intelligente, sostenibile e solidale, compreso l’obiettivo di un tasso di occupazione pari al 75%, e individua una serie di valori sui quali fondare una società più coesa e gettare le basi per la transizione verso un sistema economico sostenibile. Contribuire a ridurre le conseguenze sociali dell’attuale crisi economica, inclusa la perdita di occupazione, fa parte della responsabilità sociale d’impresa e assume particolare rilievo quando sono soggetti privati a fornire servizi pubblici.
Alla CSR va affiancata la più recente “Social Business Initiative”, che mira a creare un ambiente favorevole all’impresa sociale perchè capace più di altre realtà di produrre innovazione, promuovendo una economia sociale di mercato altamente competitiva. Attraverso misure volte a migliorare la visibilità di tali imprese, il loro accesso ai finanziamenti e il contesto regolativo in cui operano, la Commissione ha manifestato il proprio sostegno ad un fenomeno in rapida crescita e ha aperto la strada per riconoscere a queste imprese un ruolo chiave nei processi di innovazione sociale. Anche il Comitato economico e sociale europeo ha sottolineato le potenzialità delle imprese sociali per la realizzazione di nuovi servizi e interventi volti al miglioramento della qualità della vita delle persone e al soddisfacimento di nuovi bisogni della società, ricordando anche il ruolo che in questo contesto può rivestire il mutualismo come strumento di protezione sociale per il mantenimento di un sistema di welfare inclusivo.
L’impegno delle istituzioni comunitarie sul fronte dell’innovazione sociale è anche confermato dallo stanziamento di consistenti risorse: i fondi per il finanziamento di processi di innovazione sociale sono stati triplicati passando da 4 miliardi di euro del 2011 ai 12,5 previsti per il 2013. Si segnala inoltre il nuovo “Programma per il cambiamento sociale e l’innovazione”, che riunirà in un unico quadro di finanziamento tre programmi attualmente attivi (“Progress”, per l’occupazione e la solidarietà sociale; “Eures”, la rete di servizi per l’impiego e la mobilità professionale; “Microfinance Facility and Social Entrepreneurship”, la rete per l’imprenditoria sociale e la micro-finanza), ponendo al centro proprio l’innovazione.
Merita anche menzione una recente iniziativa, il “Premio europeo per l’innovazione sociale”, lanciato nell’ottobre del 2012 con l’obiettivo di promuovere idee innovative in grado di aiutare determinati target groups (disoccupati di lunga durata, persone emarginate, i Neet, anziani che intendono proseguire l’attività lavorativa oltre il pensionamento) a entrare nel mercato del lavoro, contribuendo a definire nuove professioni e ad inaugurare nuove imprese.
Da ultimo il nuovo programma di finanziamenti per l’innovazione occupazionale e sociale (Employment and Social Innovation, EaSI) servirà a promuovere l’innovazione e le imprese sociali, oltre a favorirne la sperimentazione su grande scala mediante il nuovo Fondo sociale europeo 2014-2020, uno dei cinque Fondi strutturali e di investimento europei (ESIF). Dal 2014, gli ESIF operano all’interno di un quadro comune e perseguono obiettivi complementari. Questi fondi rappresentano la principale fonte di investimenti a livello comunitario per aiutare gli Stati membri a incrementare la crescita e assicurare una ripresa foriera di occupazione, garantendo al contempo lo sviluppo sostenibile, in linea con gli obiettivi di Europa 2020. Tra le principali novità del FSE 2014-2020 troviamo il fatto che verrà assicurato maggiore sostegno all’innovazione sociale, ovvero alla sperimentazione (e alla successiva diffusione su scala più ampia) di soluzioni innovative mirate a soddisfare esigenze sociali, occupazionali e formative.
La riforma del welfare: rischi e opportunità derivanti dall’innovazione sociale
Il livello comunitario ha svolto quindi un ruolo propulsivo e di sostegno importantissimo in materia di innovazione sociale: l’UE, dal Consiglio di Lisbona ad Europa 2020 – passando per il Rapporto Kok e l’Agenda sociale rinnovata -, ha promosso una strategia di modernizzazione dello stato sociale centrata sull’innovazione sociale. Oggi, in un contesto di crisi, innovare è diventata una necessità. Ma è anche una sfida difficile da superare, che richiede alle istituzioni e agli stakeholder qualità che in passato non erano considerate cruciali e che ora, in un contesto di risorse scarse e nella prospettiva del secondo welfare, diventano invece decisive: dinamismo, visione strategica e capacità di fare rete. È tuttavia chiaro ai soggetti coinvolti che l’innovazione sociale, se non viene supportata da azioni mirate ed efficaci, rischia di rimanere una parola d’ordine, dietro la quale si nasconde l’incapacità di costruire nuove forme di protezione sociale in grado di sostituire quelle “vecchie”, quando queste ultime si rivelano inefficaci o insostenibili.
Tuttavia, se quella dell’innovazione sociale sembra essere una strada promettente per continuare a garantire ai cittadini europei politiche sociali inclusive, permangono elementi di criticità che vanno attentamente compresi e valutati per gli effetti che potrebbero produrre: una conoscenza – da parte dei diversi stakeholder e da parte delle istituzioni – ancora insufficiente dei bisogni dei soggetti in difficoltà e degli utenti; la frammentazione e dispersione di iniziative e risorse; la scarsa diffusione delle buone pratiche; la capacità di trovare risorse adeguate per finanziare le misure di innovazione; la definizione degli strumenti di governance della rete degli stakeholder; l’individuazione delle capacità necessarie affinché gli attori partecipino efficacemente al processo di innovazione; l’elaborazione di strumenti di valutazione e monitoraggio di attività, policy ed esiti innovativi. Tutti fronti su cui è necessario intervenire.
L’Europa è ricca di esperienze consolidate di innovazione sociale ma anche di esperienze micro che rischiano di rimanere isolate. Si segnalano diverse sperimentazioni che testimoniano i processi di innovazione in atto, finalizzati alla definizione di nuove forme di governance multi-stakeholder e multi-livello e ad un più consistente coinvolgimento di soggetti del privato for profit e del Terzo settore nel finanziamento e nell’erogazione di servizi e prestazioni. Attori che, se coinvolti e valorizzati ciascuno nel proprio ruolo, sono in grado di elaborare risposte appropriate ed economicamente sostenibili ai differenti bisogni, mobilitando a questo scopo risorse e competenze private e producendo valore per la società nel suo complesso e non solo per i singoli individui. Per i diversi stakeholder, che tradizionalmente hanno operato quasi in isolamento, la sfida è comprendere e sfruttare il potenziale che la rete può costituire. E’ indispensabile quindi che l’Unione Europea presidi l’innovazione sociale: da un lato approfondendone finalità e strumenti, dall’altro sostenendo gli innovatori sociali attivi nei territori e promuovendo, a tal fine, una “piattaforma” permanente di scambio, collaborazione e apprendimento.
Riferimenti
Empowering People, Driving Change. Social Innovation in the European Union
Employment and Social Innovation, EaSI
Gli approfondimenti di #SpecialeEuropa
L’Europa deve andare oltre la politica dell’ansia
Quei meccanismi europei che favoriscono l’inclusione sociale
Studio e lavoro: le opportunità offerte dalla UE
Unione Europea: perché conta investire nei bambini
Le politiche europee per l’occupazione giovanile
Investimento e innovazione sociale per rilanciare Europa2020