"There won’t be an active citizenship if young people don’t have a job"
(Pierre Mairesse, DG Educazione e Cultura, Commissione europea)
Con un po’ di ritardo (quattro mesi) la Garanzia Giovani (GG) è ufficialmente ai nastri di partenza anche in Italia. La data prescelta è simbolica: il 1 maggio, la Festa del Lavoro. Non tutte le regioni – pare – sono ancora pronte. Solo in cinque hanno già sottoscritto (o sono in procinto di farlo) le rispettive convenzioni con il Ministero del Lavoro (Emilia Romagna, Valle d’Aosta, Sardegna, Toscana e Veneto), anche se molte altre hanno già elaborato i loro piani operativi per fronteggiare il problema della disoccupazione giovanile. Per ora, a livello nazionale, la GG sarà innanzitutto un portale al quale potranno iscriversi le persone di età compresa tra i 15 e i 29 anni in cerca di qualche chance in più.
La GG è comunque solo l’ultima di una lunga serie di azioni promosse a livello europeo. Lo sviluppo delle politiche comunitarie orientate all’inserimento dei giovani nel mercato del lavoro non è infatti una novità di questi ultimi anni, né una semplice risposta alla crisi economica scoppiata nel 2008. Ad ogni modo, è la prima volta che una proposta indirizzata espressamente al problema della disoccupazione giovanile entra nell’agenda europea dalla porta d’ingresso. In questo risiede forse la principale novità e forza della GG, anche se alcuni punti di debolezza sembrano accompagnare fin dall’origine tale iniziativa.
Un po’ di storia
Proviamo a ripercorrere brevemente le principali tappe che hanno portato all’adozione della GG. Il tentativo di promuovere una strategia sovranazionale di contrasto alla disoccupazione giovanile può essere fatto risalire agli ultimi anni Novanta, anche se i primi programmi volti alla promozione della mobilità delle giovani generazioni in Europa (Youth for Europe) vennero lanciati già alla fine degli anni Ottanta.
Nell’ambito della Strategia europea per l’occupazione furono identificati quattro macro-obiettivi che avrebbero dovuto informare le iniziative di policy implementate a livello nazionale e locale. Tra questi macro-obiettivi, due in particolare – quello sull’occupabilità e quello sull’adattabilità – sostenevano l’importanza di adottare misure per favorire l’inserimento nel mercato del lavoro delle giovani generazioni.
Un piccolo passo in avanti verso una maggiore consapevolezza della disoccupazione giovanile come "problema europeo" si ebbe con l’inclusione di alcuni indicatori relativi alla disoccupazione giovanile fra le misure volte a monitorare, nell’ambito dell’attuazione del Metodo Aperto di Coordinamento, le performance dei mercati del lavoro nazionali. Allo stesso tempo, gli interventi a favore dei giovani vennero ri-concettualizzati sia nel Libro bianco sulla Gioventù del 2001, sia nel Patto europeo per la gioventù del 2005 come una dimensione trasversale (di mainstreaming) del policy-making comunitario.
Con le linee-guida per l’occupazione relative al periodo 2005-2008 fu invece fissato un primo obiettivo comune a livello europeo: la necessità di garantire un’offerta occupazionale o formativa a tutti i giovani disoccupati entro sei mesi dalla fine della scuola o dalla perdita del precedente lavoro. Tale orientamento europeo si ispirava non solo all’esperienza di alcuni Paesi che già da anni avevano avviato specifici servizi rivolti a questo scopo (Finlandia, Svezia, Austria), ma appariva anche compatibile con alcune previsioni normative nazionali già in vigore (come nel caso dell’Italia, con il Decreto legislativo 297 del 2002). Con l’adozione delle linee-guida per il 2008-2010, il periodo di "pronto soccorso" venne ridotto a 4 mesi, diventando il punto focale della successiva Garanzia Giovani.
Le iniziative più recenti
La crisi economica ha visto i giovani lavoratori tra le principali vittime della recessione (ILO, Global Employment Trends 2014). Dal 2008 ad oggi, nei paesi europei il tasso di disoccupazione giovanile è cresciuto di quasi sette punti percentuali arrivando a toccare in media il 18,7% (EU 28) con punte del quasi 49% in Grecia, mentre i Neet hanno raggiunto quasi quota 16% con valori superiore al 25% in Italia, Grecia e Bulgaria (Fonte: Eurostat). Il dibattito sulla promozione dell’occupazione giovanile a livello sovranazionale viene rilanciato nel 2009 dalla comunicazione della Commissione europea "Una strategia europea per i giovani – Investimento e Empowerment" e da una risoluzione del Parlamento europeo in cui viene richiesta l’adozione di una Garanzia Giovani.
Con il varo nel 2010 della strategia Europa 2020 prende avvio una nuova fase delle politiche per l’occupazione giovanile. Dopo i modesti risultati conseguiti dall’agenda di Lisbona, occorreva dare un segnale più chiaro e forte in direzione di un maggiore investimento nei confronti degli interventi rivolti alle giovani generazioni, in particolare di quelli che avrebbero potuto contribuire al raggiungimento di alcuni degli obiettivi prioritari della nuova strategia quali l’innalzamento del tasso di occupazione delle persone tra i 20 e i 64 anni al 75%, la riduzione dei tassi di abbandono scolastico precoce del 10%, l’aumento al 40% delle persone tra i 30 e i 40 anni con un’istruzione universitaria e la riduzione del numero di persone in stato di povertà o esclusione sociale.
A tal fine, sempre nell’ambito della strategia Europa 2020, la Commissione lancia nel 2010 l’iniziativa "Giovani in movimento" (Youth on the move), ovvero un pacchetto di azioni rivolte allo studio, al lavoro e alla formazione professionale. Seguiranno altre iniziative quali "Opportunità per i giovani" (Youth Opportunities), adottata nel 2011 e rivolta essenzialmente a contrastare la disoccupazione giovanile, e il progetto pilota "Il tuo primo lavoro Eures" (Your First Eures Job), con l’obiettivo di favorire la ricerca di un impiego o stage in un altro stato membro.
All’inizio del 2012, la Commissione europea promuove in otto paesi europei, tra cui l’Italia, un altro progetto pilota chiamato "Gruppi d’intervento per l’occupazione giovanile" (Youth Employment Action Teams). Tali Action teams sono formati da rappresentanti dei governi nazionali e della Commissione europea allo scopo di assicurare l’utilizzo di fondi strutturali della programmazione 2007-2013 per il finanziamento di specifiche iniziative a supporto dei giovani. In Italia sono ad esempio ri-allocati 1,4 miliardi di euro a favore del piano per l’occupazione giovanile in Sicilia e altre iniziative volte al contrasto della dispersione scolastica e del fenomeno dei Neet.
Un significativo passo in avanti è compiuto nel dicembre 2012 con l’adozione del "Pacchetto Occupazione Giovani" (Youth Employment Package) che comprende la proposta di istituire una Garanzia Giovani. Lo stesso Pacchetto prevede anche la promozione di un’"Alleanza europea per l’Apprendistato" (European Alliance for Apprenticeships) che riunisce i rappresentanti dei governi nazionali, le parti sociali, la Commissione e altri stakeholders, al fine di contribuire alla promozione dell’apprendistato come porta d’ingresso per i giovani nel mercato del lavoro. Nel febbraio 2013 il Consiglio adotta infine l’"Iniziativa a favore dell’Occupazione giovanile" (Youth Employment Initiative) con la quale sono stanziati 6 miliardi di euro dedicati in particolare all’attuazione della Garanzia Giovani che viene ufficialmente avviata con una Raccomandazione del Consiglio nell’aprile 2013.
Verso una nuova politica europea per l’occupazione giovanile?
Gli interventi adottati a partire dall’inizio della crisi economica sembrano suggerire l’avvio di un nuovo approccio a livello europeo relativo alle politiche di promozione dell’occupazione giovanile. Una chiara novità è sicuramente rappresentata dall’accelerazione e concentrazione delle iniziative promosse negli ultimi anni. D’altra parte, la coincidenza tra la fase di rinnovo del quadro di programmazione settennale dei fondi strutturali e la messa a punto di interventi per contrastare le conseguenze sociali della recessione ha favorito una certa rifocalizzazione delle iniziative a favore delle giovani generazioni. Ciò nonostante, una serie di punti deboli sembrano accompagnare fin dagli esordi il "nuovo" indirizzo di policy comunitario.
Innanzitutto, come ha riconosciuto lo stesso Commissario László Andor, l’ammontare dei fondi dedicati alla lotta alla disoccupazione giovanile nella programmazione 2014-2020 risulta inferiore alla precedente programmazione 2007-2013, anche prendendo in considerazione gli investimenti relativi alle nuove iniziative. Uno studio condotto dall’ILO ha sostenuto che al fine di poter implementare effettivamente in Europa una Garanzia Giovani sarebbero necessari 21 miliardi di Euro (contro i circa 6 stanziati). Si tratta di una cifra tutto sommato non stratosferica, pari a meno dello 0,5% della spesa pubblica complessiva dei Paesi dell’area Euro, sopratutto se valutata a fronte dei 153 miliardi di euro che, secondo una stima prodotta dalla Eurofoundation, sono stati spesi nel 2011 per coprire i costi diretti e indiretti derivanti dai Neet.
Un secondo aspetto critico concerne la limitata portata innovativa degli interventi messi in campo negli ultimi anni. Secondo Lahusen, Schulz e Graziano, le più recenti politiche europee di promozione dell’occupazione giovanile mostrano considerevoli elementi di continuità rispetto al passato. Da un lato, gli autori sostengono che le misure adottate rispondano ancora a una logica frammentata ed incrementale. Dall’altro, le nuove iniziative rimangono incentrate sulle politiche dell’offerta e sull’approccio della flessicurezza, promosso dalla Commissione nel 2007 e successivamente caduto in rovina, perlomeno sul piano della comunicazione istituzionale. L’enfasi viene dunque posta prioritariamente sull’adattabilità dei giovani ai mercati del lavoro e la condizionalità dei benefici. Al contrario, i temi del precariato, della sicurezza sociale, degli impedimenti strutturali alla mobilità e della qualità del lavoro rimangono sullo sfondo.
Un ultimo punto debole riguarda la sostenibilità delle iniziative programmate nell’ambito della Garanzia Giovani, ovvero la capacità che possano essere mantenute nel tempo o che producano risultati anche nel medio-lungo periodo. Il rischio è infatti che vengano finanziate principalmente le iniziative più visibili, grazie alle quali i policy-makers possano dimostrare di "aver fatto qualcosa" o, nel migliore dei casi, di aver ridotto solo temporaneamente il numero di giovani disoccupati o di Neet. Ma spesso queste iniziative si rivelano anche di corto respiro, ovvero non sono in grado di produrre effetti o cambiamenti duraturi e di sopravvivere al di là dei finanziamenti stanziati all’uopo.
In conclusione, la Garanzia Giovani è stata accolta positivamente dalla maggior parte degli attori coinvolti nella programmazione e gestione delle politiche del lavoro. Gli interventi messi in campo appaiono ancora timidi, sopratutto a fronte del clamore mediatico intorno ai dati allarmanti della disoccupazione giovanile e alla necessità di venire in soccorso delle giovani generazioni "sfregiate" (scarred) dal loro tardo ingresso nel mondo del lavoro. Numerosi dubbi rimangono dunque sulla possibilità che la Garanzia Giovani possa non tanto "fare la differenza" (obiettivo troppo ambizioso), ma almeno incentivare buone e durature riforme e/o prassi in grado di portare a maturazione i loro frutti negli anni a venire.
Ad ogni modo, la Garanzia Giovani rappresenta la prima sistematica iniziativa, coordinata a livello europeo, contro la disoccupazione giovanile. Purtroppo la quasi assenza di specifiche competenze previste dai Trattati in tale ambito e sopratutto il ridotto budget messo a disposizione rivelano da parte dei governi nazionali una mancanza di ambizione e di seria volontà di investire su questo fronte a livello sovranazionale.
Dati questi limiti, l’avvio della Garanzia Giovani sembra orientata almeno verso un altro obiettivo, di certo non secondario per le istituzioni europee: contribuire alla promozione dell’idea di "Europa sociale", ovvero di un’Europa che si prende cura dei propri cittadini. In questo senso, la Garanzia Giovani rappresenta anche un tassello di una più ampia strategia comunicativa volta a porre un piccolo argine alla crescente disaffezione dei cittadini nei confronti del processo d’integrazione comunitaria. La partita della Garanzia Giovani si gioca dunque, almeno in parte, anche sul piano della politica simbolica; se mal giocata (sopratutto a livello nazionale), il rischio è di fare ancora una volta, dopo il fallimento della campagna sulla flessicurezza, un buco nell’acqua, alimentando i già forti venti dell’euroscetticismo.
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