Lo scorso dicembre, si è conclusa la seconda edizione del progetto ProWelfare. Facendo seguito alla prima ricerca (realizzata nel 2013), la Commissione Europea ha infatti finanziato il progetto “Unemployment and Pensions Protection in Europe: The Changing Role of Social Partners” (ProWelfare 2014-2016). Le ricerche svolte in questo ambito si sono concentrate su due settori di policy (pensioni e disoccupazione), tre settori economici (manifatturiero, pubblico impiego e servizi privati) e nove paesi: Austria, Belgio, Germania, Italia, Paesi Bassi, Polonia, Spagna, Svezia e Regno Unito.
Per discutere dei principali risultati del progetto, con particolare riferimento all’Italia, abbiamo intervistato David Natali che, oltre ad essere docente presso la Scuola Universitaria Superiore Sant’Anna di Pisa, ha coordinato il progetto per conto dell’Osservatorio Sociale Europeo (OSE).
Quali sono stati gli obiettivi di ProWelfare?
L’obiettivo di ProWelfare è stato fornire, agli stakeholder dei paesi coinvolti e agli analisti, informazioni aggiornate sullo stato del welfare occupazionale. Lo studio quindi ha voluto mappare l’offerta di Welfare Occupazionale (WO, Occupational Welfare), ovvero l’insieme di benefici e servizi di welfare forniti ai lavoratori dalle parti sociali (sindacati e/o imprenditori) sulla base di un contratto di lavoro.
A differenza della precedente edizione – che ha trattato interventi in materia di sanità, conciliazione tra vita professionale e vita privata e formazione professionale – ProWelfare 2014-2016 ha analizzato due settori di policy specifici: 1) il sistema pensionistico, e in modo particolare i fondi pensionistici complementari; 2) e le politiche legate al rischio di disoccupazione.
Quanto sono diffusi in Italia i fondi pensionistici complementari?
Il sistema pensionistico complementare è il pilastro più importante del welfare occupazionale italiano, sia in termini di spesa sia di estensione. Secondo i dati raccolti dalla ricerca ProWelfare (Emmanuele Pavolini e Ugo Ascoli hanno prodotto il rapporto italiano coordinando un team di ricerca comprendente esperti dell’Università La Sapienza di Roma e della Fondazione di Vittorio), alla fine del 2014 i fondi pensione operativi in Italia erano 496. I più numerosi sono quelli istituiti prima della riforma degli anni ’90: questi sono 323 ma contano, in totale, il numero più basso di membri, 650 mila circa. Molto diffusi sono anche i piani pensionistici individuali (PIP) – 78 secondo i dati prodotti da ProWelfare – i quali contano il numero maggiore di iscritti (quasi due milioni e mezzo). Infine, abbiamo i fondi pensione aperti (56) – cioè quelli dedicati a tutti i lavoratori, dipendenti e autonomi, senza limitazioni – e quelli chiusi (38) – ovvero istituiti attraverso accordi tra le parti sociali e rivolti esclusivamente ai lavoratori dipendenti di uno specifico settore produttivo. I fondi pensioni aperti e chiusi nel complesso contano circa tre milioni di iscritti.
In generale, i fondi pensionistici integrativi interessano circa sei milioni e mezzo di persone su un totale di 23 milioni di lavoratori italiani. Si tratta quindi di poco più del 25% dei lavoratori.
Che caratteristiche ha assunto la diffusione del sistema pensionistico complementare?
Il processo di espansione dei fondi pensione complementari, avviatosi agli inizi del 2000, ha seguito percorsi diversi a seconda del tipo di fondo. I fondi chiusi sono cresciuti rapidamente tra il 2006 e il 2007 (+65,1% degli iscritti), ma da allora il numero di iscritti è leggermente diminuito (-2,2% dal 2007 al 2014). I fondi pensione aperti invece hanno continuato a crescere nel corso di tutti e 15 gli anni, facendo registrare un picco di iscrizioni tra il 2006 e il 2007 (+69,6%). Il numero dei PIP invece è aumentato in maniera costante dal 2000 a oggi.
Come si può notare, tra il 2006 e il 2007 i fondi integrativi hanno conosciuto una rapida diffusione. Questo fenomeno è una conseguenza della riforma pensionistica del 2004 (Legge delega n. 243 del 2004) la quale ha dato il via alla realizzazione di un sistema multipilastro, cioè una struttura costituita da una combinazione di pensioni pubbliche (primo pilastro), da pensioni complementari derivanti da accordi collettivi a livello nazionale o risultanti dalla legislazione nazionale (secondo pilastro), e dal risparmio privato (terzo pilastro).
Tuttavia dobbiamo considerare anche che dal 2009 in poi è progressivamente aumentato il numero di coloro che, a causa dalla crisi economica, non riescono a pagare le quote di iscrizione ai fondi pensione. ProWelfare ha evidenziato che nel 2014 gli insolventi in Italia sono circa il 24% del totale.
Qual è invece la situazione del welfare occupazionale in materia di sostegno alla disoccupazione?
Una debolezza storica del welfare italiano riguarda il regime assicurativo di contrasto alla disoccupazione. Con il tempo, gli interventi pubblici hanno prodotto un sistema frammentato e incoerente che, a sua volta, ha generato disuguaglianze profonde tra i lavoratori. In Italia il tipo e il livello di protezione per la disoccupazione è fortemente legato ad alcune caratteristiche del rapporto di lavoro, come ad esempio: la natura del contratto di lavoro, la dimensione della società, il settore economico dell’impresa, l’età del beneficiario, la continuità della carriera lavorativa.
Date queste carenze del sistema di sicurezza sociale, negli ultimi anni la contrattazione collettiva e la bilateralità hanno assunto notevole importanza nel sostegno alla disoccupazione. Le ultime due riforme del mercato del lavoro – cioè la Legge Fornero e il Job Act – hanno apportato alcune modifiche in merito. Tra le novità più significative vi è la sottoscrizione obbligatoria ai fondi di solidarietà bilaterali, che hanno lo scopo di sostenere il reddito dei dipendenti delle piccole imprese in caso di sospensione temporanea dell’attività.
Oggi quindi i fondi bilaterali sono diventati uno strumento integrativo della Cassa Integrazione Guadagni. Questi fondi (istituiti mediante accordi stipulati dalle associazioni datoriali e sindacali) sono la forma più significativa di welfare occupazionale volontario per la disoccupazione in Italia. I dati ProWelfare dimostrano una crescita significativa del numero dei fondi e degli iscritti. Nel solo settore dei servizi si contano al 2014 oltre 236 fondi bilaterali di cui 42 a livello nazionale.
Come mai il sistema di sicurezza sociale italiano ha prodotto e continua ancora oggi a produrre queste disuguaglianze?
In Italia il welfare occupazione è cresciuto costantemente negli ultimi 30 anni. Le problematiche, e le sfide a esso correlate, riguardano soprattutto le disuguaglianze che si possono creare tra i lavoratori. In una condizione di mancato coordinamento tra welfare pubblico e welfare privato può accadere che vi siano delle fasce di lavoratori iper-protette e delle altre sotto-protette.
Basti pensare alle due aree di policy analizzate da ProWelfare. Sia nel caso delle pensioni sia in quello del sostegno alla disoccupazione, alcune tipologie di lavoratori (quelli con carriere stabili, con contratti a tempo indeterminato e che operano in settori con maggiore protezione) possono godere di interventi provenienti sia dalla sfera pubblica sia da quella privata. Invece, i lavoratori a basso reddito e che non hanno un contratto di lavoro stabile rimangono spesso esclusi da entrambi i sistemi di protezione.
Inoltre, in paesi come l’Italia in cui la gestione dei principali rischi sociali è basata su una logica assicurativa, si corre il rischio di alimentare le disuguaglianze non solo tra i lavoratori ma anche tra chi è dentro e chi è fuori dal mercato del lavoro. Il rischio ulteriore è quello di dar vita a un sistema in cui si sommano le disuguaglianze provenienti dal primo pilastro (quello pubblico) con quelle provenienti dalla protezione integrativa.
L’unico modo di contrastare la diffusione di un sistema iniquo è quello di riuscire a coordinare e integrare i vari pilastri del welfare. E questo non vale solo per l’Italia, ma anche per gli altri Paesi.
Sulla base di quanto evidenziato da ProWelfare, quali sono le prospettive del welfare occupazionale in Italia?
Il welfare occupazionale italiano, al pari di quello degli altri paesi europei, si trova ad affrontare tre sfide decisive. In primo luogo, vi è la sfida dell’incastro tra welfare pubblico e welfare occupazionale. Il coordinamento tra il primo e il secondo è fondamentale per garantire la protezione efficace dei rischi e maggiore uguaglianza. Questa sfida è ancora più evidente nel caso pensionistico, dove sia il pilastro pubblico sia quello integrativo sono basati sulla logica assicurativa. Il rischio è di replicare le disuguaglianze presenti sul mercato del lavoro e dunque di avere un sistema poco egualitario e redistributivo. Come ho già detto, la crescita caotica che ha caratterizzato il welfare occupazionale negli ultimi anni ha favorito, invece, la frammentazione dei diritti sociali e del lavoro.
In secondo luogo, le relazioni industriali e la contrattazione collettiva di livello nazionale hanno un ruolo fondamentale nello sviluppo del welfare occupazionale in Italia, e anche in questo caso per ridurre le disuguaglianze nei trattamenti. L’analisi comparata dimostra che sistemi di relazioni industriali deboli favoriscono lo sviluppo del welfare occupazionale a "macchia di leopardo" e con forti disuguaglianze.
La terza sfida, infine, riguarda la governance del welfare occupazionale. Lo studio comparato dei novi paesi ha dimostrato che vi è – soprattutto nel settore pensionistico – il rischio di finanziarizzazione dei fondi integrativi. Ovvero, il ruolo preminente dei mercati finanziari nella gestione e investimento delle risorse disponibili con la parallela marginalizzazione delle parti sociali. Al contrario, soprattutto nel settore della tutela contro il rischio di disoccupazione, vi sono esempi importanti di collaborazione tra Stato, parti sociali, autonomie locali e terzo settore.
Riferimenti
Sito di ProWelfare
Paper e Rapporti della ricerca ProWelfare 2016
ProWelfare e Percorsi di Secondo Welfare