La Camera dei Deputati, dopo le consultazioni avvenute nei mesi scorsi, ha approvato il disegno di legge delega per la riforma del Terzo Settore, con 297 sì, 121 no e 50 astensioni. Un passaggio importante, considerato che, con 5 milioni di volontari, 12 mila cooperative sociali, almeno 800 mila occupati e oltre 300 mila istituzioni attive, il mondo del non profit rappresenta il 4% del Pil. Tra commenti favorevoli e critiche, il testo passerà ora all’esame del Senato. Quali sono le questioni aperte? Quali correzioni si attendono?
Certezza di risorse, regole e trasparenza. Soddisfazione per la maggioranza
Soddisfazione per la maggioranza: per il Sottosegretario al lavoro Luigi Bobba, si tratta di “una riforma importante e attesa che è stata annoverata tra le grandi riforme che trasformeranno il Paese e contribuiranno ad offrire nuove opportunità al cittadino sia come singolo sia nelle formazioni sociali secondo il dettato costituzionale. Se non vi saranno intralci l’iter parlamentare potrebbe terminare prima dell’estate per poi passare, finalmente, alla stesura dei decreti delegati". La riforma, attesa da tempo, arriverebbe in effetti ad approvazione a circa un anno dal suo annuncio.
Anche il Ministro Poletti parla di un “passaggio importante per un provvedimento che punta a dare certezza di regole e di risorse e trasparenza alle attività, ad introdurre misure per favorire la partecipazione attiva e responsabile delle persone, valorizzare il potenziale di crescita e di creazione di occupazione insito nell’economia sociale e nelle attività svolte dal cosiddetto Terzo settore”.
Trasparenza e nuove opportunità quindi al centro della riforma. E maggiore certezza delle regole: finalmente le oltre 77 norme che regolano il Terzo Settore verranno messe a sistema in un unico impianto in grado di “mettere ordine fra la miriade di leggi e leggine su volontariato, cooperazione sociale, ONG e Onlus”, spiega Marco Di Maio, deputato Pd e membro dell’ufficio di presidenza del gruppo alla Camera.
Positivo anche il commento di Giovanna Melandri, coordinatrice dell’Advisory Board italiano della Task Force G8 sugli investimenti sociali e presidente di Human Foundation, che afferma: “Da una prima analisi del testo ci sembra che sull’impresa sociale si siano fatti alcuni importanti passi in avanti rispetto alla precedente normativa". La delega, inoltre, "ci restituisce un profilo giuridico dell’impresa sociale più avanzato e, soprattutto, allineato con quanto sta accadendo da tempo negli altri Paesi Europei sull’imprenditorialità sociale".
Profit o non profit?
Restano tuttavia numerose questioni aperte. La riforma, così com’è, ha sollevato molti dubbi, sia nel mondo della politica che all’interno dello stesso terzo settore.
Tra le questioni più spinose proprio l’articolo 6, sull’impresa sociale. Da più parti, si sottolinea il rischio di aprire le porte alla privatizzazione del welfare: “Quella approvata oggi è una legge che non tutela i diritti dei lavoratori del terzo settore, che rende subalterno e asservito il terzo settore alle logiche del mercato e della supplenza alle istituzioni pubbliche. Una legge che rischia di ridurre i servizi di welfare per fare spazio alle imprese” commenta Giulio Marcon, deputato di SEL.
Sulla stessa linea la Cgil, secondo la quale “il disegno di legge preserva il ruolo peculiare del volontariato e il suo carattere gratuito. Purtroppo, però, conferma norme che snaturano l’impresa sociale, accentuandone il carattere commerciale”. La confederazione, tramite il Segretario confederale Vera Lamonica, sottolinea che con il provvedimento “si allarga anziché restringere la possibilità di agire per le imprese profit, con il serio rischio che irrompano logiche di mercato nei servizi del welfare, già duramente colpito dai tagli alla spesa per la protezione sociale”. Per la dirigente sindacale vi è poi “un’altra grave mancanza, da colmare in quanto mina un tratto distintivo dell’impresa sociale: devono essere riconosciuti ruolo e diritti dei lavoratori con strumenti adeguati quali informazione, consultazione, contrattazione e clausole sociali”.
Anche il Movimento 5 Stelle parla di privatizzazione, definendola una riforma “che in sostanza trasforma il non profit in profit: si finanziarizzano i bisogni dei cittadini e si delegano sempre più all’esterno le competenze dello Stato, assegnando con fondi pubblici uno sconfinato campo di attività sociali e culturali a soggetti privati, che potranno distribuire gli utili”.
Ma sono numerose anche le opinioni differenti, tra cui quella è Andrea Rapaccini, Presidente di Make a Change, per il quale “se il testo passerà al Senato e se i decreti attuativi manterranno lo spirito della proposta, avremo una nuova infrastruttura giuridica per promuovere lo sviluppo di un’economia più equa rispetto al capitalismo finanziario di questi ultimi anni. In questo senso, la nuova impresa sociale più che un soggetto del terzo settore, si propone come un nuovo modello di impresa che affianca, senza avere la pretesa di sostituirlo, il “mercato per il mercato”, ovvero l’unica forma di economia che conosciamo, quella “for profit”. La nuova impresa sociale potrà essere scelta da tutti coloro – dai cittadini agli amministratori, dagli imprenditori alle forze politiche – che ritengono che la massimizzazione del profitto e la remunerazione del capitale non debbano essere per forza il principale obiettivo di un’impresa, ma allo stesso modo che profitto e capitale non siano nemmeno “lo sterco del diavolo” quanto un mezzo, una risorsa utile per lo sviluppo, l’occupazione e l’innovazione sociale nel nostro Paese”.
Su questo punto è intervenuto anche Giulio Sensi, Direttore della rivista Volontariato Oggi, "il Terzo settore non è solo quello delle buone azioni e della gratuità. È anche, e sempre di più, quello dell’imprenditorialità. Crea lavoro, inclusione, benessere. Manovra competenze e risorse. Ci sono statistiche, come quelle diffuse ogni anno da Unioncamere, che dimostrano una più forte tenuta occupazionale del terzo settore rispetto ad altri, nonché una sua capacità di impiegare donne, giovani stranieri, forze fresche. In questo non c’è niente di male, anzi, la sua funzione economica oltre che sociale è importante. La riforma, nella parte in cui ridefinisce l’impresa sociale, cerca di liberarla dai lacci troppo stretti che fino ad oggi le erano stati cuciti addosso, aprendo alcuni varchi che in passato sarebbe stato difficile appunto aprire. Questo comporta naturalmente alcuni rischi e provoca delle diffidenze da parte di alcune anime del terzo settore tradizionalmente più orientate alla difesa di identità storiche molto rilevanti e nobili”.
La questione dei controlli: no all’autority
Altro “motivo di discordia” – soprattutto da parte del M5S – è che nonostante i numerosi scandali, culminati con Mafia Capitale, non verrà istituita alcuna autority di controllo perché, come spiegato dall’Onorevole Federico Gelli (PD), “si è valutato che, vista la necessità di riduzione e razionalizzazione dei costi delle tante authority già esistenti, fosse più sostenibile porre tale competenza presso il Ministero”. Le funzioni di vigilanza, monitoraggio e controllo pubblico saranno quindi esercitate dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, in collaborazione, per quanto di competenza, con i ministeri interessati e con l’Agenzia delle entrate, promuovendo forme di autocontrollo. Il testo approvato alla Camera introduce infatti la qualifica di “impresa sociale” a tutte le cooperative sociali e ai loro consorzi costringendoli a vincoli di trasparenza più stringenti, prevede limiti di remunerazione alle cariche sociali e ai dirigenti, obbliga la nomina di sindaci terzi per un controllo interno sul mantenimento della missione non lucrativa.
Il Volontariato chiede maggiore riconoscimento
Anche il mondo del volontariato, ovviamente, ha fatto sentire la propria voce. Il CSVnet nazionale ha pubblicato un comunicato nel quale dichiara la necessità di una maggiore attenzione al mondo del volontariato. “Ci pare che, nel complesso, sia proprio il Volontariato italiano a rischiare di vedere ridimensionate quelle attenzioni che gli dovrebbero essere riconosciute a ragione delle decine di migliaia di organizzazioni e dei milioni di volontari che ogni giorno fanno sentire la loro presenza radicata in tutto il Paese. Speriamo che il passaggio in Senato possa precisare il lavoro della Camera, di cui abbiamo apprezzato le finalità nonché il tentativo di perseguire il necessario cambiamento. Con riferimento ai Centri di Servizio auspichiamo, in particolare, che continuino ad essere governati dalle organizzazioni di volontariato; che venga riconosciuta la rappresentanza nazionale di CSVnet in una logica di sistema; che venga garantito un meccanismo equo per il finanziamento dei CSV in tutte le regioni. Chiediamo inoltre l’uniformità regolamentare su tutto il territorio nazionale e, non ultimo, il riconoscimento della promozione delle attività di volontariato quale finalità specifica del nostro mandato”.
Terzo settore: soddisfazione con alcune riserve
Il Forum Nazionale del Terzo Settore sul sito nazionale spiega “siamo soddisfatti per l’approvazione del Ddl delega sul Terzo Settore. A meno di un anno dal suo annuncio, ci viene restituito, per questa prima parte dell’iter parlamentare, un buon testo, a riprova che la Commissione e l’Aula alla Camera hanno lavorato con grande attenzione per la riforma e riorganizzazione di un mondo vastissimo. Auspichiamo che il successivo esame del testo al Senato possa apportare alcune migliorie legate ad alcuni aspetti gestionali ed organizzativi, anche di natura civilistica e fiscale, delle realtà di terzo settore e delle imprese sociali, ma anche a questioni relative al servizio civile, così come ad una maggiore attenzione al volontariato organizzato e alle forme più spontanee di volontariato e partecipazione dei cittadini, e infine ad una più chiara individuazione del ruolo e delle funzione dei Centri di servizio per il volontariato. Aspettiamo di poter chiarire i dubbi e dare risposte alle domande su un punto nodale che è quello delle risorse disponibili. Questione che una riforma di questa portata non può certo ignorare. Su questo e tutti gli altri aspetti continueremo a fare la nostra parte e dare il nostro contributo”.
Riferimenti
Il testo approvato dalla Camera coi relativi emendamenti
Terzo settore, tutto quello che non va nella riforma, Luca Mattiucci, Corriere Sociale, 30 aprile 2015
Riforma del terzo settore, sì alla legge delega. Tappa storica o chance persa?, Redattore Sociale, 9 aprile 2015
Riforma Terzo settore, punti di forza e limiti, Roberto Rezzo, L’Indro, 10 aprile 2015
Impresa sociale, Make a Change: «”Tracce” di nuova economia», Andrea Rapaccini, Corriere Sociale, 11 aprile 2015
Riforma Terzo Settore, quanti malintesi sull’impresa sociale, Andrea Rapaccini, Vita.it, 07 aprile 2015
Riforma del terzo settore: 30 pirlate non fanno un articolo, Riccardo Bonacina, Vita.it, 10 aprile 2015
Riforma del terzo settore, il commento di CSVnet
Il commento del Forum Terzo Settore
La riforma del terzo settore: un’impresa poco sociale con molto profit, Giulio Marcon, Huffington Post, 30 marzo 2015
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