Dopo la presentazione delle linee guida, le consultazioni aperte ai cittadini, l’approvazione del Disegno di Legge Delega e le audizionidelle organizzazioni alla Commissione Affari Sociali della Camera, per la discussa riforma del Terzo settore sembrava finalmente arrivato il rush finale.
Tuttavia, soprattutto a causa dei risvolti legati all’inchiesta Mafia Capitale, di recente diversi osservatori – che, letteralmente, sono finora rimasti a guardare nonostante le numerose occasioni di partecipazione previste – hanno espresso dubbi ed interrogativi sull’impianto riformatore nel suo insieme. L’idea della riforma, in poche parole, è quella di creare una sinergia sempre più stretta tra privati, pubblica amministrazione e terzo settore, soprattutto sul fronte delle politiche di welfare. E questo per alcuni rappresenta un rischio di malaffare invece che un’opportunità di crescita e sviluppo.
A mettersi sulle barricate è stato innanzitutto il Movimento 5 Stelle che, cavalcando – stranamente – le polemiche in atto, in questi giorni ha deciso di aprire il fuoco sulla riforma chiedendo, tra le altre cose, l’intervento del Garante per la Concorrenza e il Mercato (probabilmente l’unico ente finora non consultato…) per bloccare o quanto meno rallentare l’iter legislativo. Al centro del mirino è finita in particolare l’impresa sociale, per cui la riforma prevede una profonda revisione delle norme che ne definiscono e regolamentano le attività.
Perché una riforma dell’impresa sociale?
Non è un mistero che l’Esecutivo tenga molto alla nuova legislazione sull’impresa sociale, individuata come uno dei “turbo” della riforma, in quanto capace di avviare una “contaminazione positiva” tra profit e non profit. Ora però il rischio è che, assecondando ed alimentando il clima di sospetto che si è venuto a creare dentro e fuori il Parlamento, con l’acqua sporca si getti via anche il bambino.
La riforma dell’impresa sociale rappresenta infatti un importante passaggio che nel terzo settore si attende ormai da anni. A quasi cinque lustri dalla legge 391/1991, che ha riconosciuto il ruolo della cooperazione sociale, e a 10 anni dalla legge delega che ha istituito la qualifica di “impresa sociale” appare infatti necessario mettere mano a una legislazione che a conti fatti non ha portato agli effetti sperati. Ad oggi, infatti, le realtà che hanno deciso di costituirsi come imprese sociali ai sensi della 118/2005, e che sono pertanto iscritte nell’apposita sezione del Registro delle imprese, sono appena 700/800 unità, che nel complesso fatturano poco più di 300 milioni di euro.
Tuttavia nel “sottobosco” della cooperazione le realtà che operano de facto come imprese sociali sono molto più numerose e diffuse di quanto si possa pensare, la maggior parte di esse agisce in settori sociali sempre meno presidiati dagli attori pubblici, persegue in quest’ottica obiettivi di interesse generale, possiede una capacità occupazionale e produttiva ragguardevole. Un mondo dunque che sotto il profilo istituzionale non fa imprenditoria sociale, ma che nei fatti persegue e ottiene i medesimi risultati delle realtà che posseggono la qualifica giuridica. Una riforma del settore più inclusiva, che permetta una maggior libertà di movimento e “contaminazione”, secondo molti, in primis il Governo, potrebbe portare benefici per il Terzo Settore ma anche, e soprattutto, al Sistema Paese.
Capire (bene) il tema per prendere posizione
Il tema è certo più complesso di come brevemente accennato sopra, ma proprio come non è possibile ridurre il discorso intorno alla riforma dell’impresa sociale a una serie di ipotesi positive, allo stesso tempo non è giusto negare a priori le potenzialità di questo settore minandone la credibilità di fronte all’opinione pubblica. Come dunque capire le diverse questioni in gioco e assumere una posizione che tenga conto dei vai fattori coinvolti?
A nostro parere uno strumento estremamente utile per andare oltre la retorica e i luoghi comuni che si sono affermati nell’ultimo mese è il recente rapporto “L’impresa Sociale in Italia. Identità e sviluppo in un quadro di riforma” curato da Paolo Venturi e Flaviano Zandonai per Iris Network. Questo lavoro affronta il tema cercando di individuare e quantificare quelle categorie di soggetti che attualmente operano come imprese sociali pur non essendo giuridicamente tali, offrendo in tal modo dati, riflessioni e spunti interessanti ed utili per indirizzare il processo di riforma.
Il volume mostra come l’impresa sociale riformata, se rispetterà determinati canoni (ben descritti all’interno del rapporto), sarà in grado di sviluppare ulteriormente il proprio contributo nella creazione di occupazione di propensione all’innovazione. Gli autori (Luca Bagnoli, Chiara Carini, Ericka Costa, Massimo Lori, Sabrina Stoppiello, Simone Toccafondi) hanno in particolare approfondito le dimensioni del profilo market del non profit italiano – esaminando la struttura delle organizzazioni coinvolte, le risorse (umane ed economiche) impiegate e le attività svolte dalle stesse – la resilienza delle cooperative sociali dall’inizio della crisi economica e la loro capacità di cambiare di fronte alla nuove sfide, l’impegno delle imprese sociali sul fronte dell’inclusione sociale. Il lavoro offre dati quantitativi interessanti che ben rendono le dimensioni del vasto mondo contiguo l’impresa sociale, e diverse riflessioni che aiutano a comprendere che rimandare (o rallentare eccessivamente) il processo di riforma rappresenterebbe l’ennesima occasione persa per il nostro Paese.
Riferimenti
P. Venturi e F. Zandonai (a cura di), L’impresa Sociale in Italia. Identità e sviluppo in un quadro di riforma, Iris Network, 2014
Lettera del M5S al Garante delle Concorrenza
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