La nostra ultima inchiesta per Corriere Buone Notizie si incentra sui contenuti del Quarto Rapporto sul secondo welfare, presentato il 25 novembre a Milano. In questo articolo, Lorenzo Bandera ripercorre brevemente l’evoluzione del secondo welfare basandosi sulla metaforma dell’albero, che continua a crescere e rafforzarsi, ben rappresentata dall’infografica realizzata dal Corriere della Sera. Qui invece potete leggere l’articolo di contesto firmato da Paolo Riva.
Il termine “secondo welfare” venne coniato nel 2010, sulle pagine del Corriere della Sera, da Maurizio Ferrera e Dario Di Vico. Di fronte a uno Stato in crescente difficoltà nell’affrontare efficacemente i bisogni sociali dei cittadini, vollero così indicare le misure messe in campo da svariati attori privati, profit e non profit, che sussidiariamente iniziavano a sviluppare iniziative per integrare l’intervento del “primo welfare” pubblico. Tali esperienze erano le più diverse e disparate, frutto dell’azione spontanea di aziende, corpi intermedi e gruppi di cittadini che a vario titolo sentivano l’esigenza di affrontare determinati problemi sociali. Anche per questo il concetto di “secondo welfare” assunse una dimensione volutamente ampia, un “ombrello” sotto cui ricollocare tutte le forme di welfare (integrativo, aziendale, sussidiario, generativo, ecc.) di cui si parlava in quegli anni.
Per spiegare la varietà e eterogeneità delle esperienze in atto Ferrera usò la metafora dei “cento fiori” che spontaneamente stavano crescendo nel campo del welfare italiano. A quasi 10 anni di distanza – come riporta l’ultimo rapporto di ricerca del nostro Laboratorio – questo fenomeno si è evoluto e appare sempre più solido e strutturato sotto il profilo organizzativo, funzionale e finanziario. Per mantenere la metafora botanica, più che di fiori oggi si può parlare di un vero e proprio albero: gli anelli del tronco sono gli elementi ricorrenti nelle esperienze di secondo welfare (apertura a soggetti non-pubblici, innovazione sociale ed empowerment), i rami sono le declinazioni assunte (contrattuale, comunitario, filantropico, confessionale, mutualistico, assicurativo) e le chiome sono le attività messe in campo dai vari attori (imprese, parti sociali, enti del Terzo Settore, ecc.), che peraltro sono sempre più in sinergia tra loro. Soggetti che neanche si parlavano – si pensi ad esempio a Terzo Settore e imprese nell’ambito del welfare aziendale o a Fondazioni e associazioni di categoria in quelle del welfare comunitario – sono infatti impegnati gomito a gomito per sviluppare politiche sociali adeguate ai bisogni emergenti.
E mentre nel dibattito pubblico si parla con insistenza di “disintermediazione”, nel secondo welfare si assiste invece a una sorta di “re-intermediazione” in grado di generare nuove forme di confronto, dialogo e intervento; spesso con un approccio bottom-up. Per riprende l’immagine dell’albero, i rami e le chiome sono sempre più forti, intrecciati e si diramano in diverse direzioni, allargando la protezione offerta dalla pianta. Una crescita possibile grazie soprattutto alla linfa che viene dalle radici, ovvero le numerose reti multiattore che affondano nella dimensione locale, generando modelli innovativi di intervento e governance. E che, oltre ai protagonisti “tradizionali” del secondo welfare, sempre più spesso includono (anche) attori di mondi limitrofi, determinando scambi e contaminazioni inedite. È il caso, ad esempio, delle politiche ambientali e quelle socio–culturali, di cui abbiamo parlato recentemente anche su Buone Notizie con due inchieste su Capitale Naturale e biblioteche. Intrecci e connessioni che stanno dando vita a un ecostistema sempre più ricco e complesso a cui bisognerà continuare a dare grande attenzione.
Questo articolo, pubblicato su Buone Notizie del 26 novembre 2019, è stato realizzato nell’ambito della collaborazione tra Percorsi di secondo welfare e il settimanale del Corriere della Sera.