Come vi abbiamo raccontato di recente anche in questo articolo, i buoni pasto sono uno strumento previsto dalla normativa fiscale del welfare aziendale che viene sempre più spesso proposto dalle aziende ai propri collaboratori e che è molto utilizzato da lavoratori e lavoratrici1.
Di recente Anseb, l’Associazione Nazionale Società Emettitrici di Buoni Pasto, in collaborazione con ALTIS – Università Cattolica del Sacro Cuore ha promosso la ricerca “L’impatto sociale ed economico dei buoni pasto” che ha coinvolto un campione di quasi 16.000 percettori e 2.400 esercenti. In base a questi dati, possiamo stimare che il valore del mercato dei buoni pasto oggi sia stimabile in 4,5 miliardi di euro annui e che il valore medio del buono pasto è di 6,75 euro per ogni giornata lavorativa.
A partire da queste e altre informazioni contenute nella ricerca, ci siamo confrontati con il Presidente di Anseb Matteo Orlandini per cercare di capire l’impatto che i buoni pasto hanno su imprese e dipendenti, come si sta evolvendo questo mercato e quali elementi bisogna tenere in considerazione nel più ampio quadro del welfare aziendale in cui i buoni si collocano.
Il mercato dei buoni pasto
Secondo Orlandini, dopo una “frenata” dovuta alla pandemia di Covid-19, il mercato dei buoni pasto è tornato a crescere e si allargherà ulteriormente negli anni a venire.
“Registriamo una crescita continua e dinamica: tra il 2020 e il 2021 c’è stata una contrazione fisiologica legata alla pandemia e alle restrizioni imposte per fermare il virus. La ripresa è poi stata repentina. Se consideriamo il 2023, il mercato dei buoni pasto ha raggiunto un valore di oltre 4 miliardi di euro, in crescita dell’11% rispetto al 2022″ spiega Orlandini. “In totale” continua il Presidente di Anseb “sono coinvolti oltre 3,5 milioni di lavoratori e lavoratrici, di cui il 20% – quindi circa 700.000 persone – sono lavoratori pubblici. Si tratta di un dato importante perché le gare con la Pubblica Amministrazione valgono circa 1 miliardo di euro”.
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Ma a cosa si deve questa espansione? Secondo Orlandini “la crescente rilevanza dello strumento dei buoni pasto è dovuta dal fatto che sempre più sono considerati come un sostegno al reddito per i dipendenti e come un valore strategico per le imprese. La loro efficacia nel contrastare gli effetti dell’inflazione sul potere d’acquisto rende evidente quanto siano diventati indispensabili nella realtà socio-economica italiana attuale”.
Come evidenziato anche dalla ricerca Anseb-Università Cattolica, i buoni pasto sono infatti utilizzati soprattutto per acquistare prodotti alimentari presso supermercati e sembrano quindi rappresentare un valore in particolare per le spese di tutti i giorni, al di là della pausa pranzo in ufficio, a cui sono stati tradizionalmente collegati. In merito, l’89% del campione dell’indagine dichiara di usare il buono pasto per fare la spesa al supermercato, seguono poi negozi di generi alimentari (22%), bar o tavole calde (19%), ristoranti e osterie (16%).
I nuovi player del mercato
Come accaduto anche nel campo del welfare aziendale, nel corso degli ultimi anni si stanno affacciando in questo mercato nuove realtà che fungono da provider/emettitrici di buoni. Si tratta di quelle che vengono definite FinTech, società che forniscono cioè prodotti e servizi finanziari attraverso le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT). Tra le più note c’è sicuramente Satispay che, a settembre 2023, ha scelto di entrare in questo mercato permettendo di utilizzare anche buoni pasto attraverso la propria app.
L’ingresso di questi nuovi soggetti sta cambiando o cambierà il mercato dei buoni pasto? Per Orlandini “le FinTech hanno una logica commerciale differente rispetto ad altre società presenti in questo settore. Ad oggi ci sono oltre 14 milioni di lavoratori dipendenti che non hanno un punto mensa e non beneficiano di buoni pasto: se arrivano altre società che si occupano di questo tipo di benefit farà senz’altro bene al mercato”.
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Le ragioni di questo effetto potenzialmente positivo sono diverse secondo il Presidente di Anseb. “La normativa in materia prevede delle regole chiare. Quello dei buoni pasto è un servizio e non un sistema di pagamento e ci sono pertanto dei vincoli, tra cui la non frazionabilità dei buoni, la non spendibilità al di fuori di una rete commerciale convenzionata e chiusa, l’impossibilità di scambiare i buoni con denaro. Tutti questi principi devono essere rispettati perché sono a difesa di tutti gli attori in gioco: lavoratori, imprese, esercenti. È essenziale che tutti rispettino la normativa vigente”, conclude Orlandini.
In questo senso, l’ingresso di player che utilizzano la tecnologia digitale potrebbe facilitare la fruizione dello strumento spingendo più esercenti ad accettarli e più imprese ad adottarli. E questo andrebbe ovviamente in favore dei dipendenti.
Il rapporto tra buoni pasto e welfare aziendale
I buoni pasto, come detto, rappresentano infatti un’opportunità rilevante di integrazione al reddito di lavoratori e lavoratrici dipendenti. Rispetto al welfare aziendale hanno un ruolo simile a quello degli ormai famosi fringe benefit, cioè quelle card o voucher acquisto che i collaboratori delle imprese che fanno welfare possono spendere presso catene commerciali o negozi (anche della grande distribuzione online).
Le società FinTech stanno cambiando il mercato del welfare aziendale?
Come mostrano le tante esperienze raccontate dal nostro sito, la normativa del welfare aziendale comprende però tante altre possibilità che possono avere un valore sociale per lavoratori e lavoratrici con carichi di cura. Come abbiamo sottolineato anche nel nostro Sesto Rapporto sul secondo welfare, nello specifico nel capitolo dedicato al welfare aziendale, ci sono tante possibilità per chi ha figli o figlie, ma anche per coloro che si trovano a prendersi cura di familiari anziani e/o non autosufficienti. Ad esempio è possibile portare a rimborso i costi per l’assistenza familiare a domicilio o per servizi di cura offerti da società private e cooperative sociali. O, ancora, possono rientrare nelle logiche del welfare d’impresa anche formule di sanità integrativa, la previdenza complementare e sistemi assicurativi per la Long Term Care e per le malattie invalidanti.
Le opportunità per costruire un piano di welfare attento al valore sociale, e quindi alla “S” dei criteri ESG (Environmental, Social, Governance), sono tante. Le organizzazioni possono (e devono) tenerne conto per offrire un sistema di benefit che sia coerente con i bisogni delle persone e dei territori in cui operano.
Note
- L’utilizzo del buono pasto è regolamentato dall’articolo 51 comma 2 lettera “c” del TUIR, che stabilisce che non concorre a formare il reddito di lavoro dipendente fino all’importo complessivo giornaliero di 8 euro (buono pasto digitale) o di 4 euro (buono pasto cartaceo); fino a tali soglie i buoni godono perciò di un beneficio fiscale e contributivo valido per imprese e lavoratori e lavoratrici.