Sulle pagine del New York Times di qualche settimana fa è comparso un interessante articolo, intitolato Adding Good Deeds to the Investment Equation. Il merito dell’articolo è quello di aver portato alla luce una nuova sperimentazione di social impact bond in un ambito diverso dai “classici” (carceri, recidiva e inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati). Inoltre, ciò che rende particolarmente interessanti le vicende di questo “nuovo arrivato” nella famiglia dei social impact bonds è che il successo e quindi il ritorno per gli investitori non pone particolari problemi di misurazione e di scelta di metriche sofisticate, ma si affida al sistema dei prezzi, cioè al mercato. Per questo motivo ci è sembrato opportuno riprendere l’articolo a firma di Paul Sullivan.
Il problema del degrado urbano
Ogni due anni, i residenti di Richmond si raccolgono per discutere delle priorità che la comunità ritiene di dover affrontare. Richmond è una cittadina californiana nel mezzo della opulente Bay Area, abitata da circa 100.000 persone e da tempo conosciuta per i suoi alti tassi di violenza negli Stati Uniti. Per anni la priorità che durante le assemblee cittadine risultava essere al primo posto è stata la criminalità.
Tuttavia sembra che qualcosa sia cambiato. Al più recente incontro (settembre 2014), i residenti di Richmond si sono dimostrati particolarmente preoccupati per il degrado urbano della loro città. Un esempio riportato a conferma di tale preoccupazione riguardava il problema delle numerose abitazioni in disuso e in rovina. I costi per mantenere, peraltro in uno stato fatiscente, questi immobili gravava e tuttora grava sui singoli proprietari per svariate migliaia di dollari l’anno, ma non solo.
Infatti, come è possibile ricostruire dalla lettura della delibera dell’assemblea cittadina, il degrado del quartiere avrebbe un impatto negativo sia dal punto di vista morale che per la sicurezza della comunità stessa. Le proprietà abbandonate e lasciate in stato di rovina, incidono significativamente sul valore collettivo delle abitazioni circostanti e avrebbero un impatto negativo anche per quanto concerne le entrate fiscali cittadine. Infatti, alloggi fatiscenti e inabitati danneggiano il tessuto sociale dei quartieri di Richmond, costano molte migliaia di dollari al dipartimento di polizia e più in generale all’amministrazione cittadina, oltre ad erodere la base imponibile per il fisco locale sia per il calo della popolazione contribuente sia per l’evasione fiscale frequentemente associata al fenomeno delle proprietà abbandonate. Ancora più pressante è il fatto che il degrado degli immobili impedisce investimenti privati in tali quartieri perché mina il valore del mercato immobiliare, rendendo ogni direzione di riqualificazione improbabile. In base a quanto osservato dal Code Enforcement Department, Richmond possiede circa un migliaio di proprietà disabitate e lasciate andare in rovina. La Richmond Community Foundation ha cercato il supporto del consiglio cittadino per l’implementazione dell’Housing Rehabilitation Program, attraverso un social impact bond.
Infatti, nel mese di aprile del 2013, la Richmond Community Foundation aveva ospitato un grande vertice regionale sul tema dei modelli pay-for-success, affrontando quindi anche l’avvento di strumenti come i social impact bonds e gli human capital performance bonds. A seguito di questo vertice, la fondazione ha riunito alcuni partner per identificare il progetto più adatto ad essere perseguito attraverso una strategia basata sui social impact bonds. Si era in seguito ritenuto che il Richmond Housing Rehabilitation Program presentasse la migliore possibilità di successo per un social impact bonds: c’erano i leader giusti al posto giusto e c’erano le proprietà e gli acquirenti sufficienti per portare il progetto su una scala adeguata e quindi fornire elevati benefici ai partecipanti. La Richmond Community Foundation, in partnership con la città di Richmond, decide quindi di perseguire e realizzare un programma di social impact bond per affrontare direttamente il problema di queste proprietà disabitate e abbandonate, spesso anche pignorate, al fine di fornire assistenza ai quartieri danneggiati e costruire alloggi a prezzi accessibili in seguito all’acquisto e alla ristrutturazione di tali proprietà.
L’idea sottostante il social impact bond di Richmond
L’idea è che l’amministrazione cittadina “venda” social impact bonds allo scopo di raccogliere somme che la fondazione utilizzerà per acquistare le case abbandonate e riportarle ad uno stato “marketable”. I lavoratori locali (ulteriore vantaggio indiretto) otterrebbero l’incarico di ristrutturare e “riabilitare” gli immobili, che sarebbero poi venduti a persone attraverso una serie di particolari programmi di vendita, volti a privilegiare alcuni acquirenti rispetto ad altri (su tale aspetto si ritornerà a breve). In estrema sintesi: la Richmond Community Foundation con il supporto dei finanziamenti privati “girati” dall’amministrazione cittadina acquisterà gli immobili, li ristrutturerà e li rivenderà ad acquirenti selezionati ed interessati, ricavando le somme necessarie per ripagare il prestito iniziale con interessi.
Nel progetto gli investitori sarebbero fondazioni con una missione orientata alla generazione di impatto sociale, soggetti interessati appartenenti alla comunità (comprese le banche che potrebbero ricavare anche alcuni benefici fiscali da tale investimento), istituti finanziari diversi, tra cui fondi di investimento sociale, fondi pensione, come pure high-net-worth individuals che volessero generare un impatto sociale attraverso propri investimenti diretti. I social impact bonds saranno ripagati esclusivamente attraverso i proventi generati dal programma di ristrutturazione e vendita degli immobili, senza alcuna responsabilità finanziaria per l’amministrazione cittadina. Quanto più avrà successo il programma di acquisizione, ristrutturazione e vendita degli immobili, tanto più crescerà anche il rendimento dei capitali di investimento raccolti. I social impact bonds utilizzeranno sistemi di ammortamento flessibili e cedole periodiche per consentire una diversificazione dei risultati finanziari sulla base dei risultati reali del programma.
A sentire il Presidente della fondazione promotrice dell’iniziativa, la sfida consiste nel fatto che attualmente le proprietà abbandonate non sarebbero in grado di generare un profitto sufficiente per un tipico investitore del settore immobiliare, che richiede generalmente un ritorno anche superiore al 30%. Sulla base del piano approntato, gli investitori riceveranno un ritorno minimo del 2%, ma se il progetto risulterà funzionare, potranno ottenere una plusvalenza pari anche alla metà del capitale investito.
Il ciclo degli immobili
Per comprendere meglio cosa avverrà degli immobili che la fondazione di Richmond in collaborazione con gli uffici dell’amministrazione cittadina ha già individuato, vale la pena evidenziare i due principali passaggi che tali immobili avranno nel loro nuovo ciclo di vita: da un lato ci sarà una fase di acquisto e ristrutturazione, dall’altro, come ovvio, si procederà ad una fase di vendita. Per la verità una attenta osservazione delle due distinte fasi consente anche di apprezzare con maggiore facilità come l’intero progetto sia strutturato con lo scopo di valorizzare quanto già stanno svolgendo diverse realtà “sociali” e dunque massimizzare l’impatto sociale dell’operazione.
Fase di acquisto e ristrutturazione
La fondazione utilizzerà i proventi derivanti dall’emissione dei social impact bonds per acquisire le abitazioni abbandonate di privati o passate nel frattempo in proprietà a istituti di credito (banche o fiduciarie di creditori ipotecari) e sistemare gli immobili, riportandoli a standard tali da renderli abitabili e appetibili per degli acquirenti. Poiché le proprietà inizialmente prese in carico saranno tra le peggiori esistenti, si presume che saranno acquisite a prezzi molto bassi. Anche per le proprietà attualmente nelle mani di creditori ipotecari, generalmente tenuti a vendere le proprietà a prezzi almeno non inferiori al “giusto valore di mercato”, il valore sarà soggetto ad una certa relativizzazione e potrà essere negoziato fino a prezzi molto favorevoli per la fondazione (che è in prima fase l’acquirente), considerato il limitato se non inesistente mercato per tali proprietà.
La fondazione ricorrerà ai servizi di progettisti e imprenditori locali che già da tempo collaborano nell’ambito del Richmond Build Program, una partnership pubblico-privata volta alla formazione e all’inserimento professionale di giovani appartenenti a fasce non abbienti nel settore edile, offrendo servizi connessi alla ristrutturazione degli immobili. La città possiede un elenco di imprese edili che sono in grado di realizzare i progetti di ristrutturazione. Queste società assumeranno e utilizzeranno su tali progetti i Richmond Build Graduate, i giovani di umile estrazione sociale che abbiano completato il programma di formazione e inserimento professionale sopra citato.
Fase di vendita delle abitazioni ristrutturate
La fondazione, che avrebbe non solo il compito di recuperare e rendere agibili gli immobili oggetto dell’intervento, dovrà anche farsi carico della loro vendita. Nel progetto è previsto che essa adotti iniziative atte a privilegiare la vendita delle abitazioni a soggetti che intendono andarci a vivere, non dunque a chi acquista immobili a fini speculativi. Tale canale preferenziale di vendita, identificato con l’espressione di “preferred buyer program”, sarà realizzato attraverso la partnership con SparkPoint. Si tratta di un centro di educazione finanziaria di Richmond, che ha lo scopo di aiutare i propri “clienti” a basso reddito ad affrontare situazioni di crisi finanziaria, accompagnarli ad un riequilibrio economico e gettare insieme a loro le basi per un futuro più sicuro per quanto riguarda le proprie condizioni finanziarie. A sua volta SparkPoint svilupperà il servizio in collaborazione con la Community Housing Development Corporation of North Richmond, una organizzazione di intermediazione immobiliare, che gestirà il servizio di First Time Homebuyer a favore dei soggetti segnalati da SparkPoint. I consulenti dell’organizzazione partner di SparkPoint sono infatti specializzati nell’assistere acquirenti e affittuari al fine di supportare una loro scelta responsabile e che tenga conto delle loro esigenze abitative e disponibilità finanziarie.
Pertanto, una volta che gli immobili saranno sistemati e pronti ad essere venduti, SparkPoint ammetterà i potenziali acquirenti nella lista dei c.d. preferred buyers, i quali avranno una decina di giorni per visionare “in esclusiva” l’abitazione che nel dialogo con i consulenti della Community Housing Development Corporation avevano individuato come confacente alle proprie esigenze e disponibilità. In quell’arco temporale dovranno quindi formulare una offerta per l’acquisto della casa. Qualora non giungessero offerte d’acquisto da parte di preferred buyer, la proprietà verrà posta in vendita sul mercato.
La struttura dell’operazione, con particolare riferimento ai flussi di cassa previsti, è stata disegnata per permettere che in una prima fase una parte significativa del capitale recuperato dalle vendite sia reimpiegato per acquisire nuove proprietà da ristrutturare, in una seconda fase, sia utilizzato a rimborso dei finanziamenti ricevuti per avviare l’operazione e, in una terza ed ultima fase, raggiunto il completamento del processo di recupero e riabilitazione delle abitazioni abbandonate per remunerare il capitale degli investitori.
Chi ci guadagna
Procedere ad una chiara identificazione dei soggetti che sono destinati a beneficiare del programma di ristrutturazione immobiliare e recupero urbano non è affatto semplice: a scapito di un certo rigore si dovrebbe dire che a guadagnare dall’intera operazione sono un po’ tutti.
In realtà, per esser più precisi, si possono indicare alcuni soggetti che, rientrando a diverso titolo nel nuovo ciclo di vita degli immobili, sembrano beneficiare dell’iniziativa. Ovviamente tra questi possono segnalarsi gli abitanti delle zone di intervento, i quali oltre a vedere qualche vantaggio di tipo sociale e comportamentale in virtù delle operazioni di recupero immobiliare e urbano (anche sulla base della celebre “broken windows theory” di Wilson e Kelling), potranno beneficiare dell’incremento del valore dei propri immobili. Anche i proprietari attuali delle case abbandonate non potranno che ricevere un ritorno, posto che al momento i loro immobili consistono sostanzialmente in un costo di mantenimento destinato a crescere nel tempo. Potranno liberarsi di questi costi ottenendo altresì una somma per la vendita dell’immobile dissestato. Ovviamente il progetto è di tutto interesse per l’amministrazione cittadina, la quale ritroverebbe nel ripopolamento e nella risistemazione di ampie aree residenziali un aumento (diretto o indiretto) del gettito fiscale, oltre che la riduzione di costi legati al controllo del territorio (che anche quando è abbandonato rimane comunque un costo, peraltro crescente).
Dalle fasi previste nel ciclo degli immobili risulta poi chiaramente che il programma si traduce in nuove opportunità lavorative per le imprese della zona, le quali andrebbero peraltro alla ricerca di nuovo personale, soprattutto tra i più giovani e i più poveri (c’è infatti il coinvolgimento del Richmond Build Program di cui si è sopra accennato) per realizzare i nuovi lavori commissionati dalla fondazione. Non mancano poi vantaggi importanti per quei soggetti che difficilmente potrebbero acquistare una casa alle condizioni standard di mercato, a causa della propria incapacità finanziaria. Si tratta in altri termini di una grande operazione immobiliare e di risanamento che ricomprende al proprio interno una iniziativa di housing sociale. Infine, l’interesse ad un simile progetto non può che essere anche degli investitori, i quali avranno un ritorno variabile in funzione anche dell’andamento del mercato immobiliare.
Profili critici e tratti "speciali" del social impact bond di Richmond
In genere, i social impact bonds sono descritti come strumenti finanziari finalizzati alla raccolta, da parte del settore pubblico, di finanziamenti privati. Questo strumento è stato spesso utilizzato per ridurre i tassi di recidiva dei carcerati una volta messi in libertà e per altre attività a finalità sociale, come l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate. Basando la possibilità di remunerare il capitale investito sulla capacità di generare risparmi futuri per le casse pubbliche, la principale applicazione del modello di social impact bond ha riguardato attività sociali di natura preventiva.
Nel caso che qui abbiamo sinteticamente descritto, l’oggetto dell’intervento è sensibilmente diverso e peraltro non appare in prima battuta riducibile ad una pur meritoria operazione di housing sociale. Si tratta di una operazione di recupero urbano e – per certi aspetti – assomiglia più ad un modello di cooperazione per lo sviluppo piuttosto che un sistema di riduzione della spesa pubblica. In ogni caso si può chiaramente segnalare come il profilo critico più significativo, soprattutto dopo il caso dei subprime statunitensi, potrebbe essere quello dell’andamento del mercato immobiliare, tradizionalmente ritenuto un mercato affidabile ma che di recente pare aver smentito anche questa piccola certezza. Ciononostante si tratta di una operazione la cui bontà, sia dal punto di vista sociale che business, non sembra discutibile. Semmai richiede ai partecipanti una attenta valutazione dei rischi, risultando perciò dipendente dalla propensione al rischio di ciascuno di loro: è fuor di dubbio che nel quadro dipinto dal progetto è essenziale garantire una certa trasparenza agli investitori e una assoluta certezza agli acquirenti.
Tuttavia, ciò che più d’ogni altro aspetto rende degno di interesse questo progetto di social impact bond californiano, è che esso non poggia sulla quantificazione dei certi ma poco tangibili benefici sociali che ritiene di generare, quanto piuttosto sul fatto che gli investitori saranno ripagati mediante i profitti realizzati dalla vendita delle abitazioni. Ovviamente lo spirito con cui i soggetti promotori hanno sviluppato il progetto è decisamente orientato alla riduzione della criminalità, all’aumento del gettito fiscale legato alla proprietà di immobili e del valore delle abitazioni circostanti. Tuttavia il tipico meccanismo pay-for-success sembra esser garantito da logiche standard di mercato piuttosto che da metriche di misurazione dell’impatto sociale.
Qualche riflessione conclusiva
Per concludere si può dire che il caso ora segnalato sembra costituire una esemplificazione significativa di una tesi che abbiamo già più volte avanzato: di fatto un social impact bond rappresenta una forma di finanza di progetto applicata ad ambiti nuovi. Questa non è appena una questione di “contestualizzazione” o una velleità teorica, piuttosto si tratta di una importante chiave di lettura per individuare i nodi da affrontare per sviluppare una simile operazione. In particolare, tra i possibili, si segnala la necessità di individuare chiaramente e realisticamente il flusso di cassa che si presume servirà a ripagare l’investimento.
Il flusso di cassa dovrà essere ben individuato per quanto concerne la sua provenienza, sia in termini di attività che di soggetti. Nell’ambito della finanza di progetto è noto che alcune attività sono in grado di generare flussi di cassa prevedibili a basso costo, mentre altre richiedono l’impiego di risorse ingenti per poter quantificate le conseguenti entrate. Tanto più è prevedibile il flusso di cassa, tanto più l’investitore potrà farvi affidamento. Ancora con riferimento all’esperienza della finanza di progetto, si deve anche poi ammettere che un conto è avere come “acquirente” del servizio offerto un unico soggetto, magari pubblico, un altro è avere un insieme di “potenziali clienti”, privati e abitualmente operanti nel mercato. In altri termini il caso di Richmond insegna che i social impact bonds non richiedono necessariamente la presenza del settore pubblico come acquirente di determinati servizi di prevenzione, eliminando quindi uno dei profili maggiormente problematici che emerge quando si prova ad immaginare lo sviluppo di un social impact bond nel contesto italiano.
Infine, alla luce di quanto ora detto, si comprende come i social impact bonds non siano appena strumenti per soddisfare alcune tipologie di investitori e nemmeno policy tools che riescono ad utilizzare il principio della leva finanziaria per ridurre nel presente e nel futuro la spesa pubblica: essi sono un modo di intendere lo sviluppo sociale come qualcosa che richiede una visione olistica delle forze e degli attori presenti nella società. Stato, mercato, filantropia, terzo settore e società civile: i social impact bonds, espressione del fenomeno dell’impact investing, sembrano quindi rappresentare un approccio che tende a superare quella confortante segmentazione di concetti su cui i nostri sistemi sociali hanno sino ad oggi riposato.
Riferimenti
Adding Good Deeds to the Investment Equation, Paul Sullivan, New York Times, 6 marzo 2015
Il centro di educazione finanziaria SparkPoint
L’intermediario immobiliare Community Housing Development Corporation of North Richmond
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