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 Imolese, 63 anni, sposato e padre di due figli, grande appassionato di pallamano, alle spalle diverse esperienze di politica locale tra le fila del PCI prima e dei PDS poi. Dal 2002 Presidente di Legacoop e dal 2013 alla guida dell’Alleanza delle Cooperative, realtà che raccoglie le anime più importanti della cooperazione italiana (Legacoop, AGCI e Confcooperative). E’ questo il profilo, in estrema sintesi, di Giuliano Poletti, nuovo responsabile del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali del Governo Renzi

L’inaspettata scelta di Poletti – lo stesso neo-ministro ha raccontato di aver avuto certezza dell’incarico solo nel momento in cui Renzi si è presentato davanti alle telecamere per presentare la squadra di governo – porta al Ministero di Via Vittorio Veneto un uomo che senza dubbio si discosta dalle personalità che negli ultimi anni hanno rivestito questo incarico. Poletti ha una formazione che poco ha a che fare con studi statistici e cattedre universitarie, caratterizzata da molta economia reale, tanto contatto col territorio e con chi vive quotidianamente i problemi e i drammi della crisi. C’è da scommettere che la sua esperienza di uomo del Terzo settore si rifletterà nei provvedimenti su lavoro e politiche sociali che – se si vuole fare affidamento alle tempistiche promesse da Renzi nel corso delle consultazioni – dovrebbero rappresentare la priorità del nuovo esecutivo dei prossimi due, tre mesi.

In attesa di dichiarazioni ufficiali sulle misure prioritarie del suo dicastero vi riproponiamo, sottolineando alcuni passaggi secondo noi più significativi, l’intervento di Poletti delle Giornate di Bertinoro dello scorso anno, che crediamo ben riflettano il suo pensiero, temperamento e intenzioni. Le parole di Poletti, incentrate principalmente sul ruolo della cooperazione per lo sviluppo del Paese, senza troppi sforzi possono essere ora traslate anche sulle ben più ampie sfide che si troverà presto ad affrontare “dall’altra parte della barricata”.

 

 

“In questi giorni abbiamo parlato delle responsabilità della politica, dell’Europa, delle istituzioni, della finanza sociale, del sindacato, della società… ma noi del terzo settore in questo discorso dove siamo?”. Secondo Poletti il Terzo settore ha in mente un modello di società chiaro e preciso da realizzare, ma resta arroccato sulle sue posizioni e per questo non riesce a realizzare il suo intento. “Noi veniamo da storie precise, abbiamo identità precise che per tanti anni ci hanno garantito la possibilità che qualcun’altro pensasse per noi. A questa appartenenza, certamente importante, noi non abbiamo ancora rinunciato, ma forse è giunto il tempo di farlo”. Il mondo cooperativo è diviso, coltiva la propria identità in modo spasmodico e così non ha la capacità di dialogare: “ha la pretesa di far ruzzolare il mondo usando come leva una scatola di stuzzicadenti”.

In questo senso l’Alleanza delle cooperative, secondo Poletti, ha aperto una strada importante: ha messo insieme realtà diverse che ora, ad esempio, interloquiscono col presidente del Consiglio attraverso un’unica voce. Tuttavia non bisogna compiere l’errore di considerarsi la “Confidustria del terzo settore”: “l’Allenza non può rappresentare il terzo settore in toto, e deve aprire un dialogo con le altre realtà del Terzo settore, come il Forum del Terzo Settore, per poter contare davvero qualcosa”.

Le cooperative devono avere il coraggio di “inquinarsi” senza la pretesa di essere cooperative perfette: “ho conosciuto tante cooperative pure, perfette. Ora si trovano al cimitero. Meglio essere imperfetti, inquinati, ma vivi”. Concludendo il proprio intervento Poletti ha sottolineato come il Terzo settore debba prendersi la responsabilità di fare questa battaglia, di essere meno autoreferenziale e sfidare di più il resto delle culture, delle opinioni, dei modi d’essere: “bisogna smettere di guardarsi in cagnesco e uscire dalla rocca. Solo così avremo fatto un servizio vero alla società. Per co-operare c’è bisogno anzitutto di questo”.


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