Due emendamenti e il governo ha rimesso le cose al loro posto. Nei confronti delle partite Iva erano stati commessi in sede di Legge di Stabilità altrettanti errori/amnesie, non erano stati bloccati gli aumenti della contribuzione alla gestione separata Inps e si era ritoccato il regime dei minimi Irpef pasticciando e aumentando di fatto la pressione fiscale. Ieri, dopo lungo penare, e dopo diverse esternazioni del premier Matteo Renzi orientate al pentimento, la maggioranza ha trovato il modo di riparare. Il fatto stesso che il veicolo legislativo utilizzato sia il Milleproroghe – e non potrebbe essere altrimenti – la dice tutta sul carattere last minute di questa scelta. Tra le debolezze della politica dobbiamo abituarci a convivere anche con questa variante: di fronte a problemi che sarebbe facile esaminare con cura e risolvere per tempo si architettano, invece, soluzioni sbagliate per poi correre ai ripari con il fiato corto e all’ultimo minuto. Aggiungo che diversi parlamentari della maggioranza ieri hanno enfatizzato il risultato raggiunto ma vale la pena ricordare loro che stanno festeggiando un pareggio, non certo una vittoria.
Il difficile, per certi versi, comincia adesso. Se il governo, insieme in verità a un folto gruppo di parlamentari dell’opposizione, si è finalmente reso conto che la presenza di tante partite Iva e freelance non è una sciagura per l’economia, bisogna passare a una fase costruttiva che cerchi di tenere insieme riconoscimento professionale, promozione, welfare e carico fiscale. Onestamente non pare che una visione di questo tipo la si possa rintracciare, per ora, nel pur ricco dibattito interno al Pd ancora influenzato dalle problematiche della sinistra novecentesca. Il ministro competente, Giuliano Poletti, avrebbe potuto per tempo spingere in avanti la riflessione e invece gli è mancato il coraggio. Tra i tecnici che accompagnano l’azione del governo c’è sicuramente una maggiore percezione – rispetto al Pd – della discontinuità ma non hanno ancora oltrepassato le colonne d’Ercole del laburismo: il riconoscimento della modernità del lavoro autonomo.
Molte cose, infatti, ci stanno cambiando sotto gli occhi. La scomposizione del ciclo produttivo dovuta alla Grande Crisi è stata profonda e capita che anche in medie aziende ci possa essere un direttore commerciale, pienamente inserito nell’organigramma, ma inquadrato a partita Iva. E che dire del mutamento dei confini tra lavoro in ufficio e lavoro a casa? In quante professioni e in quanti bacini di competenze il numero degli indipendenti sta ormai superando il numero dei dipendenti? Si potrebbe continuare a lungo e portare cento esempi ma per prima cosa occorre cambiare metodo, individuare soluzioni di medio periodo e non solo emendamenti. Penso alla previdenza: i conti in attivo della gestione separata dell’Inps sono stati usati di volta in volta a copertura di altre spese ma è forse arrivato il momento di individuare un altro schema. Qualche idea circola tra gli addetti ai lavori e la si potrebbe vagliare con maggiore attenzione, anche perché quando arriverà a casa dei freelance l’attesissima busta arancione con la previsione delle loro pensioni non sarà un giorno facile per il governo in carica.
Anche sul terreno fiscale forse è giunta l’ora di cambiare registro. Le partite Iva possono concorrere a generare ripresa e ricchezza? Se la risposta è sì, anche le scelte di merito devono essere conseguenti e vanno adottate norme che incentivino a crescere. E non, come capita oggi, norme che inducono a rifiutare lavori per paura di uscire dal regime dei minimi.
Questo articolo è stato pubblicato anche sul Corriere della Sera del 18 febbraio 2015
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