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È stato pubblicato il V Rapporto dell’Osservatorio UBI Banca su Finanza e Terzo Settore, che di anno in anno cerca di monitorare in maniera continuativa lo stato e l’evoluzione del fabbisogno finanziario del Terzo Settore italiano. L’indagine, realizzata con il supporto scientifico di AICCON (Associazione Italiana per la promozione della Cultura della Cooperazione e del Non Profit), offre anche quest’anno un interessante spaccato sui fabbisogni finanziari e le prospettive evolutive delle principali tipologie giuridiche delle organizzazioni non profit. 

Dopo l’analisi annuale sulla cooperazione sociale (2011), cui si è aggiunto il focus sull’associazionismo (2012), sulle fondazioni (2013) e sulle imprese sociali aventi forma giuridica di Srl (2014), quest’anno l’indagine si allarga all’imprenditoria sociale di “seconda generazione” (cioè promossa dalla cooperazione sociale), i cui componenti, in quanto caratterizzati da un alto livello di imprenditorialità e innovazione, sono stati definiti "ibridi organizzativi". Secondo un recente studio di Venturi e Zandonai (2014), effettuato all’interno del Gruppo Cooperativo CGM, attualmente esistono 74 realtà che presentano queste caratteristiche, hanno con un valore della produzione superiore a 50 milioni di euro annui e effettuano investimenti per circa 38 milioni di euro (pari al 10% circa del totale degli investimenti del Gruppo Cooperativo CGM, al cui interno è stata svolta l’indigine).

La quinta edizione dell’indagine UBI, riferita all’anno 2015, è stata realizzata attraverso un’analisi campionaria svolta tramite la somministrazione di un questionario di indagine ai responsabili di 250 cooperative sociali e consorzi di cooperative sociali e di 25 ibridi organizzativi – entità promosse dalla cooperazione sociale caratterizzate da un alto livello di imprenditorialità e innovazione –  nonché da strutture societarie/giuridiche anche sotto forma di società di capitali appartenenti al Gruppo Cooperativo CGM.


Il focus sulle cooperative sociali

Secondo gli ultimi dati di Iris Network (2014), le cooperative sociali in Italia sono 12.570, generano un valore della produzione pari a 10,1 miliardi di euro annui e occupano oltre 500 mila addetti.

Il numero medio di istituti di credito con cui le cooperative sociali intrattengono rapporti si conferma stabile (il 41,2% degli intervistati dichiarano di avere relazioni con due banche; il 28,0% ha rapporti con più di due banche, soprattutto i consorzi). Aumenta invece la percezione da parte delle cooperative sociali dell’attuazione da parte del sistema bancario di strategie di personalizzazione nei confronti dei soggetti non profit: il 44,0% (+8,8 punti percentuali rispetto al 2014) ritiene che le banche applichino metodi di valutazione personalizzati.

La tendenza positiva viene confermata anche dalla percentuale di concessione di finanziamenti: più della metà delle cooperative sociali dichiara di aver avuto esito positivo alla richiesta inoltrata agli istituti di credito con la concessione dell’intero ammontare del finanziamento richiesto (+4,0% rispetto al 2014). Le ragioni della mancata o parziale concessione dei finanziamenti richiesti risiedono principalmente nella domanda di importi troppo elevati (35,6% dei casi, -7,8% sul 2014) o nell’insufficienza di cash flow (31,1%, +29,2% rispetto al 2014) o per aspetti collegati all’assenza/insufficienti garanzie (42,2%, -3,1% sulla rilevazione precedente).

Nell’ambito dell’utilizzo di prodotti e servizi bancari da parte delle cooperative, si evidenzia il calo di tutte le forme di credito, ad eccezione dell’anticipo crediti/contributi nei confronti della Pubblica Amministrazione (+1,2% sul 2014). In particolare, si segnala un’ulteriore diminuzione delle richieste di finanziamento per investimenti (-3,2% sul 2014 e -11,1% sul 2013).


Figura 1. Fabbisogno e prospettive di investimenti delle cooperative sociali italiane
Fonte: V Rapporto dell’Osservatorio UBI Banca su Finanza e Terzo Settore

Come già confermato dalle precedenti edizioni dell’Osservatorio, sono soprattutto le cooperative sociali che presumono di ottenere entrate principalmente da vendita di beni e servizi sul mercato a far registrare una previsione di andamento positivo per il 2016. Per l’anno in corso le cooperative sociali prevedono altresì un aumento rispetto al proprio fabbisogno finanziario per investimenti (+10,0% rispetto alla precedente edizione). Tra chi prevede investimenti (circa il 49,0% del campione) l’autofinanziamento torna ad essere la principale fonte di copertura (47,3%, +10,1% sull’anno precedente) a fronte di esigenze di sviluppo e di investimento. Sono soprattutto i consorzi e i soggetti operanti in ambito ambientale a prevedere un maggiore ricorso all’autofinanziamento.
Quasi 1 cooperativa sociale su 2, infine, ritiene che per sostenere e incrementare la domanda di investimenti e quindi delle richieste di finanziamento sia necessaria l’istituzione di un fondo di garanzia dedicato.


Il focus sugli ibridi organizzativi

A completamento del quadro relativo al rapporto tra finanza e imprenditorialità sociale in Italia, come detto la quinta edizione dell’Osservatorio ha ampliato lo spettro di analisi dell’indagine rivolta alle cooperative sociali ad un gruppo di imprese sociali che nascono e sono promosse dalla cooperazione sociale afferente al Gruppo Cooperativo CGM e che si caratterizzano per la loro dimensione imprenditoriale e innovativa. Dal confronto, è emerso come il bacino di ibridi organizzativi, seppure eterogeneo al suo interno (per forma giuridica e ambiti di attività) presenti chiare e specifiche tendenze e peculiarità che li differenziano dalla cooperazione sociale nel rapporto con il mondo della finanza.

Anzitutto, è stato possibile rilevare un diverso orientamento nella relazione con gli istituti di credito: un ibrido organizzativo su due intrattiene rapporti con tre o più banche (solo il 16,7% ha rapporti con una sola banca rispetto al 30,0% delle cooperative sociali) dalle quali non ritengono di ottenere una significativa personalizzazione dei metodi di valutazione (52,6% dei rispondenti dichiara che gli istituti di credito con cui si hanno rapporti abbiano solo parzialmente introdotto strategie di personalizzazione). Per contro, il livello di soddisfazione per i servizi utilizzati è alto: più della metà degli ibridi organizzativi (52,7%) si reputa soddisfatto rispetto all’offerta commerciale delle proprie banche di riferimento.

I dati relativi all’utilizzo dei servizi bancari da parte degli ibridi organizzativi sono profondamente diversi rispetto a quelli delle cooperative sociali. Le percentuali relative alle richieste di finanziamento sia per attività che per investimenti (rispettivamente +41,6% e +42,0% nel confronto con le cooperative sociali) mettono in evidenza il carattere particolarmente dinamico ed imprenditoriale di questi soggetti, in particolare di quelli operanti nell’ambito “Abitare sociale” e “Sanità/Servizi socio-sanitari”). Tali finanziamenti sono stati impiegati principalmente per investimenti a medio-lungo termine (nel 40,6% dei casi) che hanno riguardato innovazioni di prodotto/servizio per quasi 7 casi su 10. Solo il 10,5% degli ibridi organizzativi ha dichiarato di non avere debiti verso le banche (rispetto al 44,4% delle cooperative sociali).

Figura 1. Fabbisogno e prospettive di investimento degli ibridi organizzativiFonte: V Rapporto dell’Osservatorio UBI Banca su Finanza e Terzo Settore

Le previsioni di investimento per il 2016 confermano il dinamismo imprenditoriale tipico degli ibridi organizzativi: 9 realtà su 10 intendono investire, superando di oltre 40 punti percentuali il dato relativo alle cooperative sociali “tradizionali”. Differentemente da queste ultime, inoltre, un ibrido organizzativo su due intende rivolgersi ad intermediari bancari per coprire il fabbisogno derivante da scelte di investimento. Infine, il 41,2% (+12,4 punti percentuali rispetto alle cooperative sociali) individua nell’orientamento delle proprie attività in nuove filiere a domanda pagante (es. agricoltura sociale, turismo sociale, abitare sociale, cultura) il principale driver per incentivare l’aumento della domanda di investimenti da parte di soggetti dell’imprenditorialità sociale.


Cosa ci dice l’indagine

Durante la presentazione del Rapporto, svoltasi il 30 marzo 2016, sono sottolineati alcuni aspetti ritenuti particolarmente signfiicativi per valutare lo stato di salute del terzo settore italiano. 

Rossella Leidi, Chief Business Officer di UBI Banca ha indicato che "l’Osservatorio conferma la resilienza dell’imprenditorialità sociale italiana nelle sue diverse componenti. Tale settore, in forte fermento, si conferma un interlocutore sempre più specializzato nel riconoscere il valore e la specificità dell’offerta bancaria costruita sulla base delle effettive esigenze, come quella di UBI Comunità” (struttura organizzativa del Gruppo UBI che offre prodotti e servizi studiati appositamente per soddisfare le peculiari esigenze delle organizzazioni non profit laiche e religiose). 

Guido Cisternino, responsabile Enti Associazioni e Terzo Settore di UBI, ha sottolineato come “dall’analisi emerge l’elevata dinamicità ed imprenditorialità, seppure con finalità e connotazione sociale, delle “imprese sociali di seconda generazione”, fortemente orientate a scambiare beni e servizi con cittadini e imprese piuttosto che con la Pubblica Amministrazione, così come dimostrata dall’innovativa esperienza di project finance ad impatto sociale realizzata dal nostro Gruppo nel 2015”.

Da ultimo Paolo Venturi, direttore AICCON ha sostenuto che "la finanza si conferma uno strumento centrale per l’impresa sociale” e che “è interessante osservare come il ruolo delle banche venga percepito diversamente dalle imprese sociali di nuova generazione, caratterizzate da un alto livello di imprenditorialità e da un differente utilizzo degli strumenti finanziari intesi principalmente come strumenti a supporto degli investimenti piuttosto che risorse da destinare alla gestione tradizionale”.

Riferimenti

Executive Summary

Rapporto completo