Mercoledì 27 agosto, nel corso della 35ª edizione del Meeting per l’Amicizia tra i Popoli di Rimini, si è svolto l’incontro “Testimonianze dalle periferie: libertà dietro le sbarre”. A confrontarsi sull’articolato tema del recupero dei detenuti all’interno delle carceri italiane sono stati Nicola Boscoletto, presidente del Consorzio Sociale Giotto, Patrizia Colombo, responsabile di progetto della Cooperativa Homo Faber, Rosa Alba Casella, direttore del carcere di Modena e direttore reggente del carcere di Rimini, Massimo Parisi, direttore della seconda casa di reclusione di Milano Bollate, a cui va aggiunto un contributo video di Guido Brambilla, magistrato di sorveglianza presso il tribunale di Milano. Ad unire i diversi interventi la convinzione che il reinserimento dei detenuti all’interno della società passi anzitutto dalla possibilità per questi ultimi di incontrare, già dietro le sbarre, esperienze in grado di valorizzare le loro capacità, attitudini e speranze, anzitutto attraverso il lavoro e la formazione.
Nicola Boscoletto ha introdotto l’incontro ricordando le situazioni di estremo degrado in cui versano le case di detenzione italiane. Nei mesi scorsi questa condizione ci è costata una sonora tirata d’orecchie da parte della Corte europea dei diritti umani di Strasburgo, che ha condannato il nostro Paese per il trattamento inumano e degradante a cui sono sottoposti i detenuti. Negli ultimi mesi, quanto meno dal punto di vista del sovraffollamento, la situazione pare essere migliorata. Boscoletto ha tuttavia voluto sottolineare come siano necessari bene altri cambiamenti per risolvere strutturalmente il problema. “Per i detenuti cambia poco avere celle anche di 100 metri quadrati se poi passano tutto il tempo della pena nell’ozio, senza una reale rieducazione all’inserimento nella società”. Le attuali condizioni di detenzione, ha ricordato Boscoletto, non fanno che incentivare la recidiva, che ad oggi supera l’80%. “Il Meeting dal 2006 è un luogo importantissimo di condivisione e riflessione sul tema del recupero, e ha sempre ospitato persone che, prima di tutto sono convinte che il vero recupero possa cominciare solo con un incontro”.
In questo senso sono state molto significative le parole di Patrizia Colombo che, attraverso un intervento corposo e ricco di testimonianze, ha raccontato la propria esperienza all’interno della casa circondariale di Bassone (Co) dove ha collaborato alla strutturazione del progetto Homo Faber, che ha permesso di realizzare un centro stampa tra le mura della casa di detenzione. “Solo grazie ad uno sguardo buono verso i detenuti è potuta sgorgare una posizione positiva sulla realtà in carcere”, che ha portato “frutti di rinascita inaspettati e stabili”.
Rosa Alba Casella ha spiegato come il carcere di Rimini, anche strutturalmente, si trovi in una zona che lo nasconde alla città. “Credo che questo accada per una tendenza tutta moderna a nascondere dalla vista tutto ciò che ci turba e ci inquieta: in carcere ci sono i perdenti, una minaccia per la società”. Anche per questa ragione non c’è forse da stupirsi che le condanne della Corte e i ripetuti appelli del Presidente Napolitano “non abbiano indignato l’opinione pubblica”, che anzi se n’è totalmente disinteressata. “Mi pare che l’illegalità in cui si trova il nostro sistema carcerario sia accettata proprio perché essa riguarda coloro che non hanno rispettato le norme”. E’ tuttavia dimostrato, ha continuato Casella, che condizioni detentive inumane costituiscono un ostacolo gravissimo a una reale rieducazione. “Un detenuto comincia a nutrire disprezzo per la società, e il degrado in cui vive contribuisce ad aumentare questo rigetto. La dignità deve restare intera anche in carcere. Perché la dignità non si acquista per meriti e non si perde per demeriti”. Ciò che accade ‘fuori’ incide su ciò che accade ‘dentro’, per questo “ritengo che la possibilità che un detenuto abbia di costruirsi una vita migliore dipenda anche dalla chance che la comunità deve dargli in termini di giudizio”.
A dimostrare come questa possibilità determini risultati concreti è stato Massimo Parisi, dirigente della casa di reclusione di Bollate (Mi), ritenuto un modello esemplare per il nostro Paese. Parisi ha raccontato come inizialmente si sia avvicinato al carcere in modo teorico, dopo diversi anni di studi. “A ventitré anni avevo molte nozioni accademiche, che tuttavia non avevano molto a che fare con l’umanizzazione dell’individuo sottoposto a pena. Così mi sono accorto che spesso non è il reato a definire la persona: giudichiamo infatti il reo in base a ciò che ha commesso e lo etichettiamo, lo emarginiamo dalla realtà, trascurando il fatto che ognuno di noi ha in sé attitudini, potenzialità, risorse e capacità di cui non è consapevole”. L’obiettivo della riabilitazione concepita dall’articolo 27 della Costituzione, ha sottolineato Parisi, deve essere “ascoltare, seguire e accompagnare i detenuti verso il pieno reinserimento sociale”. In quest’ottica è stato studiato il progetto Demetra, attraverso il quale i detenuti con il lavoro entro le mura del carcere raccolgono fondi per risarcire le vittime dei loro crimini. In questo senso, ha concluso Parisi, soprattutto alla fine del loro percorso carcerario è importantissimo pensare ad un inserimento lavorativo agevolato, tramite gli affidamenti ai servizi sociali o a misure alternative alla pena. Parisi ha quindi proposto alcune riflessioni sul tema sottolineando anzitutto come si valorizzino poco i detenuti, “che da soli non vanno da nessuna parte”.
Anche il giudice Brambilla, che con il suo video intervento ha concluso l’incontro, ha manifestato grande attenzione per i detenuti, le loro vittime e le rispettive famiglie. “La detenzione è un aspetto fondamentale della pena, ma l’aspetto riabilitativo è quello decisivo, e le misure alternative alle pene e al recupero del detenuto hanno oggi una grandissima importanza. L’umanizzazione della pena è un aspetto sociale necessario per recuperare e reinserire nella società coloro che hanno commesso reati”. Le istituzioni devono quindi essere vicine “sia a coloro che sbagliano sia a chi subisce gli effetti distruttivi del reato”.
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