Nei giorni scorsi si è assistito all’affermarsi di un ampio fronte istituzionale ai più alti livelli per affrontare, finalmente, i gravi problemi che affliggono il sistema carcerario italiano. Il Presidente Napolitano, con un messaggio alle Camere, ha infatti invitato il Parlamento ad assumere quanto prima provvedimenti adeguati per affrontare l’emergenza e valutare misure accessorie che impediscano il ripetersi di simili situazioni in futuro. Il messaggio, controfirmato dal Premier Letta, ha ricevuto il plauso del Ministro della Giustizia Cancellieri, che nel corso del secondo Annual meeting di Uman Foundation ha assunto un esplicito impegno a sviluppare strumenti che permettano di avviare la lunga attesa riforma della giustizia.
La situazione del sistema carcerario italiano
Fatiscenti, sovraffollate, assolutamente inadeguate a rispondere agli elementari principi di rieducazione contenuti nella nostra Costituzione: è questa la deprimente fotografia delle carceri italiane. Come vi avevamo raccontato all’inizio dell’estate, la situazione del sistema detentivo del nostro Paese risulta essere una delle peggiori d’Europa. A fronte di 45 mila posti disponibili, infatti, nelle prigioni italiane sono detenute più di 67 mila persone, con una media di 147 prigionieri ogni 100 posti. Sul fronte del sovraffollamento, come mostrano i dati del Consiglio di Europa, siamo dietro a Paesi come Montenegro, Turchia, Albania e Armenia. Peggio di noi solo Grecia e Serbia. Secondo le indicazione del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani e degradanti, ogni detenuto dovrebbe avere a disposizione almeno 7 metri quadrati, e dovrebbe trascorrere fuori dalla propria cella un minimo giornaliero di 8 ore. Nel nostro Paese i detenuti sono invece stipati in celle dove spesso bisogna fare i turni per stare in piedi tanto è piccolo lo spazio a loro disposizione, e in cui sono rinchiusi per circa l’80% della giornata. Per meglio rendersi conto di questa situazione si rimanda alle sentenze CEDU 16 luglio 2009 Sulejmanovic vs Italia, o alla più recente Torreggiani vs Italia dell’8 gennaio 2013.
Il messaggio del Presidente Napolitano
Giorgio Napolitano l’8 ottobre 2013 ha inviato alle Camere il suo primo messaggio da Presidente della Repubblica (qui il testo completo) per chiedere al Parlamento di assumere adeguati provvedimenti legislativi in modo da affrontare la situazione drammatica sopra brevemente descritta. Il Presidente ha sottoposto all’attenzione del Parlamento “l’inderogabile necessità di porre fine, senza indugio, a uno stato di cose che ci rende tutti corresponsabili delle violazioni contestate all’Italia dalla Corte di Strasburgo”. Napolitano ha ribadito che "le istituzioni e la nostra opinione pubblica non possono e non devono scivolare nell’insensibilità e nell’indifferenza, convivendo con una realtà di degrado civile e di sofferenza umana come quella che subiscono decine di migliaia di uomini e donne reclusi negli istituti penitenziari”.
Il Presidente ha quindi elencato ai Parlamentari gli strumenti attraverso cui fronteggiare nell’immediato l’emergenza ed evitare che questa si possa riproporre in futuro. Per diminuire il numero complessivo dei detenuti Napolitano ha indicato la possibilità di introdurre alcune innovazioni di carattere strutturale come meccanismi di probation, forme di detenzione alternative a quelle carcerarie, un minor utilizzo della custodia cautelare da scontare in carcere, la possibilità che i detenuti stranieri scontino la pena nel loro Paese di origine e la depenalizzazione per alcune classi di reati. E’ inoltre stata sottolineata la necessità di affiancare a tali misure l’aumento della capienza complessivo delle strutture detentive, dando impulso al completamento di nuovi istituti e all’ammodernamento dei più vecchi. Il Presidente non ha tuttavia nascosto come, in questo momento drammatico, non sia da escludere il ricorso a “rimedi di carattere straordinario” come l’indulto, che dovrebbe essere tuttavia accompagnato da “idonee misure finalizzate all’effettivo reinserimento delle persone scarcerate, che dovrebbero essere concretamente accompagnate nel percorso di risocializzazione”. All’indulto potrebbe essere quindi associata un’amnistia andando oltre quella "ostilità agli atti di clemenza" diffusasi nell’opinione pubblica (l’ultimo provvedimento di questo tipo risale al 1990), al fine di assicurare un "civile stato di governo della realtà carceraria".
L’indulto, a differenza dell’amnistia, impone di celebrare comunque il processo per accertare la colpevolezza o meno dell’imputato e, in caso si riveli colpevole, applicare il condono, totale o parziale, della pena irrogata (al contrario dell’amnistia, dunque non elimina la necessità del processo, ma annulla, o riduce, la pena inflitta). L’effetto combinato dei due provvedimenti, come sottolineato dal Presidente Napoltiano, potrebbe conseguire rapidamente i seguenti risultati positivi: ridurre considerevolmente la popolazione carceraria; definire immediatamente numerosi procedimenti per fatti "bagatellari" (destinati di frequente alla prescrizione se non in primo grado, nei gradi successivi del giudizio), permettendo ai giudici di dedicarsi ai procedimenti per reati più gravi e con detenuti in carcerazione preventiva; facilitare l’attuazione della riforma della geografia giudiziaria.
La riduzione complessiva del numero dei detenuti derivante dai provvedimenti di amnistia e di indulto potrebbe permettere all’Italia di rispondere alle richieste provenienti dall’Europa e, soprattutto, di rispettare i principi costituzionali in tema di esecuzione della pena. Come sottolineato dal Presidente Napolitano a questo punto “appare infatti indispensabile avviare una decisa inversione di tendenza sui modelli che caratterizzano la detenzione, modificando radicalmente le condizioni di vita dei ristretti, offrendo loro reali opportunità di recupero”. In conclusione Napolitano ha sottolineato come la rieducazione dei condannati – oltre alle indispensabili precondizioni realizzabili solo attraverso l’eliminazione dell’emergenza attuale – necessiti dell’impegno di Parlamento e Governo nel perseguire “vere e proprie riforme strutturali al fine di evitare che si rinnovi il fenomeno del sovraffollamento carcerario”.
Uman Foundation: possibile riformare la giustizia, coi Social Impact Bond
Il caso vuole che nella stessa giornata in cui il Presidente Napolitano ha inviato il proprio messaggio al Parlamento, si svolgesse a Roma il secondo Annual meeting di Uman Foundation, nel corso del quale si è discusso di strumenti di finanza sociale utilizzabili per creare innovazione anche nel mondo delle carceri. Nel più ampio contesto dell’evento, che ha visto la partecipazione di esponenti di primissimo piano del mondo accademico, imprenditoriale e finanziario chiamati a confrontarsi sull’articolato tema della finanza sociale (vedi il programma completo), si è svolto il panel “Investire per le comunità. I social bonds per il reinserimento dei detenuti”.
Nel corso di questa tavola rotonda, moderata da Riccardo Luna, Jonathan Flory di Social Finance e Janette Powell, direttrice del progetto One Service, hanno raccontato come attraverso l’utilizzo dei Social Impact Bond in Inghilterra si stia provando a cambiare nel profondo il sistema penitenziario. Nel 2010 Social Finance, banca di investimento che si occupa specificamente di terzo settore, su impulso del Ministero della Giustizia britannico ha sviluppato i primi Social Impact Bond attraverso il lancio di un progetto pilota dedicato al recupero dei carcerati. I Social Impact Bond in questione sono stati stanziati per sostenere il reinserimento di circa 3.000 detenuti rinchiusi nel carcere di Peterborough, contea del Cambridgeshire. Il progetto One* Service prevede lo stanziamento di circa 5 milioni di sterline, ottenuti grazie all’acquisto di social bonds da parte di numerosi investitori privati, per abbattere la percentuale di recidiva del reato. Se quest’ultima scenderà del 7,5% rispetto all’inizio del progetto gli investitori riceveranno un pagamento – garantito per il 37,5% dal Ministery of Justice e per il 62,5% dal Big Lottery Fund – che potrà raggiungere un massimale di 8 milioni di sterline a seconda del grado di successo raggiunto.
Alla luce di questo intervento sono risultati particolarmente interessanti anche le esperienze offerte da Letizia Moratti, in rappresentanza della comunità di San Patrignano, e di Nicola Boscoletto della Cooperativa Giotto di Padova. Letizia Moratti ha ricordato come negli ultimi 30 anni San Patrignano abbia accolto quasi 4.000 giovani condannati a pene alternative al carcere (risparmiando loro qualcosa come 3.500 anni di detenzione complessivi) aiutandoli a reinserirsi nella società, garantendo allo Stato un risparmio stimabile in circa 312 milioni di euro. Nicola Boscoletto ha invece raccontato la storia della cooperativa che dal 1990 opera all’interno del carcere di massima sicurezza Due Palazzi di Padova dove quasi per caso, partendo da un corso di giardinaggio rivolto ai detenuti, è nata quella che oggi è una delle maggiori realtà di lavoro all’interno delle carceri italiane. Dall’assemblaggio alla produzione artigianale, dal call center al servizio di ristorazione – tra cui spicca la pluripremiata produzione dolciaria che lo scorso anno ha registrato esportazioni in tutti i continenti – le attività della Giotto rappresentano un’eccellenza che, come ha sottolineato Boscoletto, potrebbe svilupparsi ancora di più grazie a strumenti come i Social Impact Bond.
Da ultimo il Ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri, incalzata dagli interventi precedenti, ha assunto importanti impegni sul tema della riforma delle carceri e della giustizia in generale, promettendo che diventerà una priorità dell’agenda di governo. La drammatica situazione in cui versano le prigioni italiane – “abbiamo detenuti che stanno su dei posti letto a castello addirittura su cinque livelli” – merita risposte incisive e le parole del Presidente Napolitano, su cui il Ministro ha espresso “la più alta condivisione”, sono la strada giusta da seguire. Il Ministro ha spiegato come occorra cambiare l’approccio col quale si pensa alla pena, che non può più essere intesa come mera punizione e che deve riassumere la sua valenza di percorso rieducativo.
Oggi le prigioni sono una sorta di scuola del crimine, e non c’è da stupirsi se tra il 70 e il 90% di chi delinque ritorna in carcere, perché dietro le sbarre si può imparare ogni sorta di attività illegali. Ad esempio “se oggi un giovane tossicodipendente entra in carcere non ha nessuna possibilità di guarire dalla sua dipendenza, che anzi rischia di peggiorare e di rovinargli per sempre la vita” per questo bisogna sempre provare a “mandare i giovani prima in comunità e poi, se e solo se non rispondono positivamente, in carcere”. La Cancellieri non ha nascosto come la battaglia per cambiare le carceri sarà lunga e difficoltosa, ma anche in forza di quello che si è discusso nel corso dell’Annual meeting di Uman “si può iniziare a combattere insieme, indipendentemente dallo schieramento politico, per raggiungere l’obiettivo”. Il Ministro ha concluso il proprio intervento sottolineando come per far questo occorra tuttavia cambiare il paradigma culturale oltre che la normativa. Per cambiare le cose serve muoversi con un “interesse reale verso l’uomo: dobbiamo dare risposta all’uomo, al di là di tutto”.
Ora amnistia e indulto, ma per il futuro serve molto di più
Il ricorso all’amnista e/o indulto (come già scrivemmo alcuni mesi fa) non può più essere considerata una scelta: oggi si impone come necessità per rispondere a una situazione drammatica e intollerabile per un Paese civile. Nelle nostre carceri, in situazioni di grande degrado, sono detenuti il 50% in più delle persone ospitabili e non si può pensare che girando la testa dall’altra parte il problema possa risolversi magicamente. Alcune forze politiche, per ragioni differenti, si sono già pronunciate in maniera fortemente contraria, e talvolta offensiva, nei confronti delle posizioni espresse dal Presidente della Repubblica e da diversi esponenti del governo.
E’ innegabile il fatto che oggi più che mai occorra rispondere in maniera urgente e coerente a un problema che non può essere più ignorato e rinchiuso dietro le mura delle carceri. Con tutti i rischi che questo può comportare. Liberare persone che hanno commesso reati, condonargli pene imposte da tribunali delle Repubblica, dare loro la possibilità di tornare a delinquere (ipotesi tutt’altro che remota) rappresenta una scelta grave e sicuramente non facile da assumere. Queste conseguenze saranno tuttavia un prezzo accettabile solo se alle misure di carattere emergenziale saranno affiancate riforme strutturali del sistema della giustizia, che permettano non solo di evitare il vergognoso fenomeno del sovraffollamento ma favoriscano il reinserimento effettivo dei detenuti. Il recupero presso comunità apposite, lo sviluppo del lavoro dentro e fuori dal carcere, la creazione di programmi rieducativi efficienti sono indispensabili affinchè l’indulto non sia l’ennesimo tappeto sotto cui nascondere la sporcizia.
Puntare (in grande) sulla finanza sociale
Per realizzare strumenti come quelli sopra elencati servono fondamentalmente due cose: la ferma volontà di fare quel che si deve fare e la disponibilità di risorse adeguate per dar gambe agli impegni assunti. In questo senso le proposte lanciate da Uman Foundation, che ricalcano quelle giunte da altri settori della società civile nei mesi scorsi, possono essere una soluzione quanto meno alla seconda delle necessità sopra indicate. Una maggiore commistione tra pubblico, privato e terzo settore rappresenta infatti la chiave di volta per far diventare le best practices – come quelle di San Patrignano e della Cooperativea Giotto, ma come anche quelle di tante altre realtà sparse nel Paese – delle consuetudini diffuse.
Un rapporto positivo in cui il pubblico svolga un ruolo di regia e coordinamento, i privati possano mettere a disposizione capitali significativi e le organizzazioni del terzo settore possano svolgere la propria missione, laddove possiedono competenze e strutture per farlo meglio di chiunque altro, sono la base da cui partire. L’esperienza inglese, in primis attraverso lo strumento dei Social Impact Bond, mostra non solo che questo è possibile, ma che funziona e conviene. Per far questo, come richiamato da più parti, occorre tuttavia dare il via a un processo che permetta lo sviluppo di strumenti di finanza sociale su più larga scala. In questo senso il Presidente di Uman, Giovanna Melandri, ha lanciato la proposta di creare una grande banca d’investimento, una Big Society Capital italiana, che possa garantire risorse adeguate per dare il là a forme concrete di finanza sociale anche nel nostro Paese.
Riferimenti
I dati del consiglio d’Europa sui sistemi penali
Sentenze CEDU 16 luglio 2009, Sulejmanovic vs Italia
Sentenza CEDU 8 gennaio 2013, Torreggiani vs Italia
Il programma della secondo Annual meeting di Uman Foundation
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