Negli ultimi anni il Piemonte ha messo in campo numerose iniziative di politica sociale. In particolare, la Regione si è dotata nel 2015 del Patto per il sociale, uno strumento che mirava a programmare priorità e strumenti di politica sociale per i due anni successivi. La prima edizione del Patto, elaborato attraverso un percorso partecipato, proponeva di concentrarsi su tre temi: il sostegno delle responsabilità genitoriali, il contrasto alla povertà, l’integrazione socio-sanitaria. Nel luglio 2017 è stato organizzato un convegno allo scopo di verificare il Patto precedente e di far emergere le nuove priorità nell’ambito delle politiche sociali. Nello scorso autunno sono poi stati organizzati degli incontri territoriali per discutere del nuovo Patto con tutti i soggetti locali significativi. A pochi giorni dall’approvazione e pubblicazione del documento definitivo abbiamo incontrato l’assessore all’Istruzione, Formazione professionale e Lavoro, Augusto Ferrari. Pubblichiamo di seguito la prima parte della nostra intervista, in cui abbiamo approfondito gli aspetti più generali del Patto e le premesse che sono alla base nel nuovo documento programmatorio.
Come è stato costruito il nuovo Patto? Quali sono le sue premesse?
L’impostazione è in linea con il Patto del 2015: immagiamo le politiche di welfare come uno spazio di cooperazione tra soggetti che contribuiscono alla definizione delle politiche pubbliche. Questo approccio non è dovuto a un venire meno del ruolo delle istituzioni, ma a sua volta è legato a una concezione delle istituzioni territoriali come enti che devono facilitare la cooperazione e la partecipazione del tessuto vitale delle nostre comunità. Per ridare centralità e autorevolezza alle Regioni dovremo sempre più immaginarle come luoghi di “cerniera” in cui, attraverso processi partecipativi, si coniugano virtuosamente gli indirizzi unitari definiti a livello centrale con la pluralità dei sistemi locali.
Allo stesso tempo la Regione, grazie a questa posizione privilegiata, non può limitarsi alla gestione dell’esistente e alla “traduzione” a livello locale di politiche nazionali, ma rappresenta il livello ideale per l’avvio di processi di innovazione del sistema di welfare. Alla luce di questa logica siamo partiti con la prima sperimentazione del 2015 e ora è arrivato il momento di portare a maturazione i primi frutti. Per farlo, abbiamo coinvolto le persone che avevano concorso a costruire il primo Patto in una valutazione serena e franca di quanto fatto. Attraverso l’incontro con questi attori abbiamo anche individuato le questioni sociali a cui dare priorità, confermando le tre già previste nel Patto del 2015 e aggiungendone altre due.
Questo percorso di valutazione e riflessione è iniziato con l’incontro del 5 luglio, strutturato in modo da permettere ai partecipanti di esprimersi e di condividere esperienze e punti di vista, ed è proseguito poi sul territorio regionale. L’incontro con le realtà locali ha fatto emergere con forza il tema della valorizzazione delle esperienze e delle specificità dei singoli territori. In questo senso, abbiamo avuto conferma dell’importanza della Regione come luogo di equilibrio tra l’unità degli intenti e degli indirizzi politici e la pluralità dei territori e delle peculiarità locali.
Concretamente come è strutturato il Patto? Ha già raggiunto la sua forma definitiva?
Dopo l’incontro del 5 luglio abbiamo elaborato una prima bozza di documento, che è stata discussa nel corso di nove incontri realizzati sul territorio. Questi eventi, a cui hanno partecipato circa cinquecento persone, hanno fatto emergere la diversità e la ricchezza dei contesti locali. È emersa con forza la necessità di dare spazio ai territori ma, al tempo stesso, offrire un riferimento e un coordinamento regionale solido. Dopo il ricco lavoro di confronto c’è stata un’attività di ricomposizione che ha portato a un documento integrato con le riflessioni emerse dai territori. Il Patto è composto da obiettivi trasversali e obiettivi settoriali individuati in cinque ambiti: ai temi presenti nel precedente Patto (sostegno alle famiglie, contrasto alla povertà, integrazione socio-sanitaria) si aggiungono il servizio civile universale e le politiche per l’abitare. Il documento definitivo è stato elaborato dall’ufficio dell’assessorato e dovrà ora essere analizzato dalla commissione consigliare competente e poi approvato dalla Giunta Regionale. Dopo l’atto formale si aprirà la fase di implementazione, in cui bisognerà seguire e monitorare costantemente l’impatto che l’atto genererà sui territori.
Come pensate di svolgere questa azione di monitoraggio dell’implementazione?
A livello di assessorato, abbiamo già identificato i primi impegni per ogni obiettivo trasversale e settoriale. Sostanzialmente abbiamo individuato quelle azioni fondamentali che dovranno essere realizzate entro la prima metà del 2018. Concentrandoci solo sugli obiettivi trasversali, sono stati evidenziati alcuni passi necessari che serviranno anche a migliorare il contesto delle politiche sociali regionali e faciliteranno quindi il raggiungimento degli obiettivi settoriali. La prima azione è pervenire a una chiara definizione dei Distretti della salute e della coesione sociale.
Questi enti sono stati sperimentati nell’ambito del SIA e sono ora protagonisti delle politiche e degli interventi nell’ambito del welfare [ad esempio nella strategia WeCaRe e nel nuovo bando per la promozione dell’assistenza familiare, ndr]. Riteniamo opportuno, a questo punto, che la Giunta Regionale produca un atto formale che contenga una definizione specifica dei Distretti, anche alla luce di quanto abbiamo raccolto sul territorio. Una seconda azione fondamentale è l’attuazione a livello regionale del nuovo ISEE: ad oggi, in Piemonte, su diversi settori delle politiche sociali ci sono sistemi di calcolo dell’ISEE diversi. Abbiamo quindi avviato un tavolo tecnico per offrire un riferimento regionale omogeneo e integrato per l’ambito sociale e socio-sanitario. L’ultima priorità individuata è il coordinamento dei sistemi informativi tra diversi territori e ambiti di intervento.
Intendiamo promuovere un’armonizzazione che però non cancelli i sistemi informativi già in essere, che sono collaudati e molto complessi. Sostanzialmente coordineremo i vari settori in modo che possano comunicare e operare più efficacemente. Attualmente, il tavolo tecnico si sta orientando verso la piattaforma “EPICO”, sviluppata e già utilizzata nell’ambito delle politiche per la casa per integrare tra loro diversi sistemi informativi.
Una caratteristica del Patto è l’attenzione alla dimensione comunitaria, che si percepisce a partire dal nome del documento (Patto per lo sviluppo di comunità solidali): concretamente come può essere applicato questo approccio a livello locale in riferimento alle politiche sociali?
Siamo passati dal “Patto per il sociale” del 2015 al “Patto per lo sviluppo di comunità” del 2017 perché abbiamo voluto affermare il protagonismo delle diverse comunità territoriali nel sistema della coesione sociale. La coesione sociale ruota attorno a comunità solidali, e la Regione si deve fare carico di promuovere una rete diffusa di comunità solidali rinunciando alla tentazione di essere lei stessa (e lei sola) erogatrice di welfare a livello locale. Tutti gli obiettivi del Patto – trasversali e settoriali – puntano a sollecitare una maggior corresponsabilità di tutti i soggetti locali nell’attuazione di politiche di welfare.
Attraverso il Patto vogliamo però affermare che le comunità solidali non si fondano solo su un sentimento solidaristico, che pure è fondamentale, ma devono essere costituite da soggetti competenti e consapevoli. Non basta che ci sia una propensione elevata alla beneficenza o che ci siano molte persone che donano: ci vuole un sistema organizzato dove le istituzioni giochino un ruolo determinante nel coordinare le risorse e i soggetti rendendo questi ultimi consapevoli dell’importanza di perseguire insieme degli obiettivi comunitari. Anche da questo punto di vista emerge la centralità del Distretto della salute e della coesione sociale come livello in cui far convergere, programmare e coordinare politiche, soggetti e risorse. Potremmo definire questo processo come un tentativo di rivitalizzare il Piano di Zona previsto dalla legge 328 del 2000: creare insieme un Patto di Comunità che non è un atto meramente burocratico, ma è un percorso dinamico attraverso cui l’ente pubblico entra in partnership con gli attori presenti sul territorio identificando insieme a loro obiettivi prioritari.
Questa è peraltro l’impronta che abbiamo dato anche ad altre strategie e programmazioni nell’ambito delle politiche sociali in questi anni, come nel caso di WeCaRe.
A proposito della strategia WeCaRe, che legame c’è con il Patto per le comunità?
Potremmo paragonare WeCaRe (di cui avevamo parlato con l’assessore in questa intervista, nda) all’accensione di un motore che vuole rendere più dinamico il lavoro di confronto e co-progettazione che caratterizza il Patto. WeCaRe rappresenta un elemento di dinamicità perché aggiunge l’idea che le politiche di welfare non possono essere acquisite una volta per tutte, ma devono prevedere sempre e sistematicamente l’individuazione di ulteriori obiettivi inesplorati e inediti. Devono cioè accogliere l’innovazione come una loro parte integrante. L’innovazione interpretata non come “gusto per le novità”, ma come costante adeguamento del sistema di welfare ai continui cambiamenti che registriamo nei bisogni sociali. WeCaRe, attraverso la programmazione di fondi europei, mira a trasformare i territori in luoghi di sperimentazione di processi innovativi che dovranno poi essere inseriti nella programmazione ordinaria delle politiche sociali. Attualmente siamo nella fase di valutazione dei progetti della prima misura di WeCaRe e devo dire che già questa prima chiamata di progetti ha stimolato i territori ad interagire e intrecciarsi.
Un’ultima domanda: dopo la strategia WeCaRe e il Patto per lo sviluppo delle comunità solidali quali sono i prossimi passi nell’ambito del welfare piemontese? Quali prospettive, anche in vista degli incerti risultati delle prossime elezioni politiche?
Da un punto di vista concreto, nei mesi successivi all’approvazione del Patto ci dedicheremo all’attuazione delle azioni prioritarie in esso indicate. Nei prossimi mesi, partiranno poi le altre tre azioni della misura WeCaRe relative ai progetti di innovazione sociale per il Terzo Settore, al rafforzamento di attività imprenditoriali che producono effetti socialmente desiderabili e alla promozione del welfare aziendale. Tutte queste azioni, sostanzialmente, hanno lo scopo di promuovere una visione del welfare come complementare e non residuale rispetto alle politiche di sviluppo.
Le politiche di welfare sono una delle facce di un prisma – quello delle politiche di coesione – che deve tenere insieme anche le politiche di sviluppo e quelle di accompagnamento al lavoro. Rispetto ai decenni che abbiamo alle nostre spalle siamo entrati in una fase in cui si sono indeboliti o sono scomparsi i punti di riferimento del sistema tradizionale: lavoro stabile, un reddito sicuro e sufficiente quantomeno a far fronte alle necessità quotidiane, una certa linearità nel passaggio dalla formazione al lavoro. In questo sistema il welfare doveva intervenire solo quando si usciva dal mercato del lavoro (la pensione), quando si introduceva un’interruzione di qualche tipo (la malattia, la disoccupazione, eccetera) o quando qualcosa si inceppava. Oggi questo equilibrio complessivo si è rotto e l’unico modo per rispondere ai nuovi bisogni è integrare e coordinare le politiche di welfare con quelle dello sviluppo e del lavoro. L’integrazione tra sociale e sanitario, su cui c’è ancora molto da lavorare, è sempre stata presente nell’agenda politica. La nuova sfida è proprio quella di creare un unico sistema integrato di politiche di coesione.
Abbiamo affrontato questa sfida costruendo una relazione di fiducia con i soggetti locali, attraverso il Patto, e anche sviluppando un rapporto molto forte con il livello centrale. Siamo in una fase in cui il sistema di welfare nazionale si sta riposizionando, le politiche del Ministero di questi ultimi due anni hanno dato segnali importanti di questo riposizionamento. Le Regioni devono sviluppare un rapporto forte col livello centrale per fare in modo di essere poi istituzioni in grado di esercitare fino in fondo il proprio ruolo sui territori. Adesso entriamo certamente in una fase politica carica di incertezze, in cui peraltro il welfare rischia di diventare un tema su cui si gioca al rialzo con bonus e promesse elettorali, non con proposte strutturali. Al di là di chi sarà al governo nella prossima legislatura, dobbiamo essere consapevoli che la politica in Italia dovrà rispondere alla sfida della coesione sociale. Saranno necessari senso di responsabilità, consapevolezza dei vincoli e delle opportunità in gioco, una visione complessiva orientata a un’innovazione del sistema di welfare nel senso di una maggiore equità sociale.