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Un anno è passato da quando la Commissione europea ha approvato il piano dei finanziamenti della Garanzia giovani in Italia (Youth Employment Initiative). Pur a fronte di una quota complessiva di risorse da molti giudicata come insufficiente, il nostro Paese è il secondo in Europa (solo dopo la Spagna) per ammontare assoluto dei fondi destinati a realizzare questa nuova strategia di contrasto del fenomeno dei Neet.

Per tracciare un bilancio di quanto fatto fino ad oggi, è possibile esaminare alcuni dati pubblicati settimanalmente dal Ministero del Lavoro. Secondo quanto riportato dal 59° rapporto di monitoraggio sulla Garanzia giovani (GG), gli iscritti sono circa 666 mila a fronte di una stima di destinatari da raggiungere entro il 2018 di 560 mila persone, su un totale di circa 2,5 milioni di Neets (15-29 anni). I "presi in carico" sono circa 380 mila che, al netto delle cancellazioni, costituiscono il 63% delle persone regolarmente registrate al programma. Le opportunità lavorative e formative offerte dalle aziende tramite i portali del programma ammontano a quasi 86.500 (70% delle quali risultano essere contratti di lavoro a tempo determinato), ma non è dato sapere, perlomeno a livello nazionale, quanti giovani iscritti sono stati effettivamente avviati. Per quanto riguarda invece le risorse dell’Iniziativa Occupazione Giovani, la capacità di impegno della programmazione attuativa media si aggira intorno al 75%, con punte del 100% in Abruzzo e del 96,5% in Lombardia fino a scendere al 60% della Puglia. A meno di sei mesi dal termine previsto per l’impegno delle risorse, le voci di spesa relative all’apprendistato e all’autoimprenditorialità sono quelle in maggiore ritardo (75-80% non impegnate).

Ovviamente questi dati raccontano solo una parte della storia. Se da un lato alcune cifre appaiono molto contenute e poco soddisfacenti rispetto alle speranze accese più di un anno fa, dall’altro il buon numero di registrazioni rileva una chiara mobilitazione da parte dei giovani, mentre le cosiddette "prese in carico" sembrano suggerire (pur con le dovute cautele) che i centri per l’impiego fanno il loro mestiere, almeno in alcune aree del paese. Ovviamente questi numeri non dicono nulla sulla qualità delle proposte di lavoro o tirocinio, ovvero sulla capacità effettiva di inserimento nel mondo del lavoro o comunque di empowering delle persone. Allo stesso tempo, le cifre dei rapporti di monitoraggio non raccontano le tante storie di coloro che per una qualche ragione sono stati esclusi dal programma o, al contrario, di quelle amministrazioni che – nonostante alcuni limiti strutturali – stanno cercando di far fronte alla situazione. Inoltre, non è dato sapere delle lungaggini o delle difficoltà incontrate dalle persone coinvolte (si pensi alle lunghe attese dei compensi di chi è pur riuscito ad attivare uno stage) o ancora se alcuni principi di governance innovativi introdotti dalla Garanzia giovani, come quello delle contendibilità, stiano realmente funzionando.

In altre parole, pur adottando la migliore delle prospettive, il bilancio delle Garanzia giovani appare in chiaroscuro. Questo è un giudizio condiviso dalla stragrande maggioranza degli osservatori, anche se raramente viene chiarito rispetto a che cosa la Garanzia giovani andrebbe valutata (innovazione organizzativa, efficacia nell’inserimento occupazionale, impatto sociale complessivo?). Allo stesso tempo, permane una certa confusione quando i giudizi sulla Garanzia giovani mettono assieme dati di stock con dati di flusso oppure dati di fonte amministrativa con dati campionari1.

Non bisogna comunque dimenticare che dietro ai "tanti numeri" con cui è possibile raccontare la Garanzia giovani si nasconde spesso una competizione fra narrative su cosa tale strategia è e dovrebbe essere. Ed è proprio a questa competizione che intendiamo rivolgerci, proponendo una (non la) possibile lettura della Garanzia giovani. Lo faremo ricorrendo all’artificio retorico della "metafora del pianista".

Tutti gli appassionati di spaghetti western sanno bene che nei saloon c’era spesso appeso un cartello con la scritta: "Non sparate al pianista". Questo invito da parte dei proprietari del locale non era un gesto di affetto o compassione nei confronti del malcapitato musicista che poteva diventare la facile vittima di qualche sparatoria. Il cartello rifletteva piuttosto l’interesse del gestore a preservare un suo investimento. Il pianista veniva infatti pagato per allietare le serate e nascondere il rumore delle eventuali risse con le sue ballate. Inoltre, l’attenzione verso il pianista come investimento derivava anche dal fatto che nel vecchio West non era poi così facile trovare dei validi sostituti, in grado di rimpiazzarlo.

La Garanzia giovani in Italia ricorda in parte la storia di questi avventurosi musicisti. Il tesoretto di circa 1,5 miliardi di Euro è certamente un investimento importante, da salvaguardare e sopratutto da valorizzare in tempi di penuria di bilancio. Come il pianista, la Garanzia giovani è inoltre un obiettivo fin troppo facile da colpire in Italia. Al di là delle critiche sul disegno della Garanzia giovani a livello nazionale e sulla sua implementazione a livello locale, la realizzazione di tale strategia si prefigurava fin dall’inizio come un’impresa ardua. In Italia mancavano (e mancano) proprio alcuni dei prerequisiti indicati come importanti per poter perseguire gli ambiziosi obiettivi posti al centro della GG. Tra queste precondizioni, è sufficiente citarne due: lo scarso investimento nel nostro paese nelle politiche attive del lavoro e sopratutto nei servizi pubblici per l’impiego e le condizioni severe del mercato del lavoro che impongono la gestione dei Neets come un fenomeno di massa che si somma al già elevato numero di disoccupati.

Forse non è un caso che la Garanzia giovani sia stata accolta con favore sopratutto in quei paesi dove tale strategia ha finito per rafforzare o integrare un sistema di servizi al lavoro (per i giovani e non) già esistente e ben funzionante. E non laddove questo sistema, inteso come struttura organizzativa di livello nazionale, è ancora da realizzare.

A tal proposito, sarebbe lecito chiedersi se la Garanzia giovani, ovvero una strategia nata nei paesi del Nord Europa, sia adatta al sole dei Paesi latini. Semplificando, si potrebbe rispondere in due modi.

Da un lato, c’è chi da sempre sostiene la tesi benaltrista, ovvero ha perorato la necessità di altre forme di intervento più incisive di una strategia che tende a schiacciarsi sul lato dell’offerta di lavoro. In altre parole, in tempi di crisi occorrono misure tangibili e risposte immediate e non solo la promossa (mancata) di qualche servizio.

Dall’altro, si è fatta avanti quella che potremo chiamare una posizione migliorista, sostenuta da coloro i quali – tra cui il governo nazionale – vedono nella Garanzia giovani un primo tassello di una strategia di medio e lungo periodo ancora da realizzare. Come dire, in termini assoluti la Garanzia giovani non ha (ancora) dato risposte soddisfacenti, ma in termini relativi, ovvero rispetto allo status quo ante, è un primo importante passo nella giusta direzione.

Non è nostra intenzione soffermarci sui due "corni" di tale dibattito che, nella loro forma semplificata, presentano un certo numero di limiti. Il messaggio implicito della metafora del pianista sul quale vorremmo invece concentrarci ha a che vedere con la denuncia di un nostro vizio tipico, ovvero quello di portare avanti una visione eroica delle riforme, vale a dire pensarle come "semplici interruttori" che basta premere per innestare profondi cambiamenti in tempi brevi. Una simile visione eroica delle riforme appare dannosa per vari motivi.

Primo, essa può contribuire a generare aspettative eccessive, fuori portata, che finiscono con il creare malcontento e minare il già labile rapporto di fiducia tra cittadini e istituzioni. 
Secondo, le visioni eroiche tendono a favorire, a fronte di un cambio di governo o amministrazione, l’adozione di contro-riforme altrettanto eroiche, ovvero di "cambi di rotta" che spesso si rivelano solo simbolici e che impediscono l’attivazione di qualsiasi processo di apprendimento istituzionale che per forza di cose richiede tempo.
Terzo, una volta promossa una visione eroica delle riforme, è difficile abbandonarla o perfino emendarla. Per questo, anche a fronte della sua eventuale inefficacia, si tende a non vedere il problema o a essere negligenti o a intervenire con provvedimenti derogatori ("rattoppi") che si stratificano nel tempo e introducono elementi di incoerenza nel sistema.
Infine, la visione eroica delle riforme pone in subordine un approccio critico verso quest’ultime, teso allo sviluppo di una cultura dell’implementazione riflessiva. In altre parole, chi propende per le "riforme-interruttore" tende a concentrare il dibattito e le risorse in termini di attenzione politica e mediatica sul momento iniziale, di adozione e lancio delle iniziative (al fine di osannarle o respingerle senza appello a seconda delle posizioni), trascurando invece la paziente analisi di ciò che può essere effettivamente realizzato e di quali correzioni di rotta adottare lungo il percorso.

Se la Garanzia giovani non deve essere un pianista su cui sparare facilmente è perché la Garanzia giovani non deve essere considerata (nel bene o nel male) come una riforma eroica. Al contrario, la sua valutazione critica deve prendere le mosse da un’attentata e ponderata analisi della situazione di partenza e delle specificità del contesto italiano, mettendo eventualmente in luce le debolezze del disegno di policy originario, le alternative ragionevoli e gli aspetti a partire dai quali si potrebbe migliorarne l’efficacia in fase di implementazione.

Lo sforzo di analisi e intervento è duplice: occorre evitare di fermarsi alla facile critica (come se prima numerosi problemi non fossero già presenti, magari anche in forma più acuta!) e allo stesso evitare di togliere la GG dalla luce dei riflettori, bollando l’intervento come fallimentare, dunque da chiudere in fretta o rendere residuale al fine di scansarne il biasimo.

In realtà, la Garanzia giovani potrebbe perlomeno servire, anche nel peggiore degli scenari, a orientare il decisore pubblico in un momento delicato, di ridisegno complessivo del sistema di politiche attive del lavoro.

La metafora del pianista ci porta infine a un’ulteriore riflessione. L’dea di una Garanzia giovani a livello comunitario è nata nel 2010 anche grazie all’impulso di un gruppo di parlamentari europei. In tal senso, essa si configurava come un’iniziativa squisitamente politica.

La nuova commissione europea ha raccolto il testimone della precedente amministrazione forse senza grande entusiasmo, anche se la commissionaria Thyssen ha cercato di rilanciare tale strategia intervenendo su alcuni aspetti di carattere finanziario, quali l’anticipazione dei fondi dell’Iniziativa Occupazione Giovani agli Stati membri che è stata portata dal 1-1,5% al 30% del totale delle somme stanziate.

Ciò nonostante, numerosi osservatori paventano il rischio di un significativo calo dell’attenzione sulla Garanzia giovani, come in parte sta succedendo con riferimento al macro tema della strategia di investimento sociale.

Nel nostro Paese, l’emergenza occupazionale giovanile rimane alta e dunque in teoria tale rischio sembra minimo. In realtà, una certa distrazione nei confronti della Garanzia giovani potrebbe derivare dalla crescita dell’incertezza e delle difficoltà del quadro generale delle riforme che interessano più o meno direttamente anche l’implementazione di tale strategia. L’attesa della creazione della nuova Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro e delle convenzioni tra regioni e Ministero in materia di servizi per l’impiego, così come l’adozione della riforma del Titolo V della Costituzione contribuiscono infatti a introdurre una serie di elementi di instabilità rispetto al quadro istituzionale all’interno del quale la GG va realizzata. In altre parole, la Garanzia giovani potrebbe essere paradossalmente vittima delle riforme che parzialmente ha contribuito ad anticipare. Si tratta di riforme importanti, che assorbiranno molte energie e che, se ben realizzate, richiedono tempi lunghi, a fronte dei risultati "immediati" che la Garanzia giovani dovrebbe invece cercare di fornire.

In altri termini, la Garanzia giovani appare finora come un lento esercizio di "capacity building", dove le capacità da costruire non sembrano tanto quelle delle persone oggetto degli interventi (i Neets), ma del sistema chiamato ad attuare gli interventi stessi. Se tale passaggio appare obbligato, perché le condizioni di efficienza interna costituiscono una precondizione di efficacia esterna (ovvero di garanzia dell’offerta di servizi di qualità), occorrono investimenti seri. Ma qui si pone un’altra grande incognita che si accompagna all’instabilità istituzionale: quella delle risorse finanziarie. La legge di stabilità 2015 e le novità introdotte dai decreti attuativi del Jobs Act sollevano alcuni interrogativi:
a) con quali/quanti fondi le amministrazioni regionali si faranno carico effettivamente dei centri per l’impiego?
b) L’istituenda Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (ANPAL) di fatto prevede uno snellimento del personale attraverso l’accorpamento di parte del personale ministeriale, di Isfol e il commissariamento di Italia Lavoro (con i suoi 1200 dipendenti): su quali basi si potrà rafforzare la capacità di coordinamento del sistema dal centro rivelatasi finora assai debole, al di là del dibattito sul riparto delle competenze?
c) A fronte di un’ulteriore contrazione delle risorse del pubblico, se occorre puntare su servizi di qualità, questi servizi potranno essere effettivamente realizzati dai privati attraverso una "voucherizzazione" del sistema? In particolare, posto che l’assegno di ricollocazione2  sarà condizionato alla disponibilità di risorse, per quante persone tale assegno sarà effettivamente disponibile?

Si tratta di domande che vanno al di là della Garanzia giovani e che riguardano la futura gestione delle politiche attive del lavoro. Per questo occorrerà molto tempo dal momento che il nuovo sistema di governance è ancora da costruire, se si tiene conto degli ampi margini di flessibilità organizzativa comunque offerti dal Decreto. Nel frattempo, si spera che il rinvio al "nuovo che verrà" non diventi un alibi per congelare ciò che può essere fatto hic et nunc.

In conclusione, non sparare sulla Garanzia giovani è un invito a considerarla seriamente, non a evitare di criticarla. E’ un invito a prendersela col pianista affinché si impegni a suonare una buona musica, sapendo che questo pianista opera su differenti livelli (da quello nazionale a quello regionale e locale) e che proprio per questo il gioco dello "scaricabarile" è sempre in agguato.

Non occorre infine dimenticare che la Garanzia giovani può anche nascere ed essere mobilitata dal basso, attraverso l’intraprendenza del mondo del terzo settore, delle fondazioni e degli enti bilaterali. Non si tratta solo di siglare qualche convenzione-quadro con generiche dichiarazioni d’intenti. Il lavoro da fare è invece complesso e di dettaglio, perché significa innanzitutto costruire servizi di qualità. E per questo occorrono capacità da spendere, conoscenza del territorio e risorse. Senza aspettare necessariamente che siano solo lo Stato o i governi regionali a doversi attivare.

 

1 Tali riflessioni sono emerse in seno a una tavolo rotonda sulla Garanzia giovani organizzata presso l’Università di Bologna-Forlì il 26 giugno 2015, in particolare con riferimento all’intervento di Bruno Anastasia.
2 Il testo del decreto attuativo sul riordino dei servizi per il lavoro e politiche attive (art. 23), attualmente in esame alla Commissione Lavoro della Camera dei Deputati, prevede la possibilità per i disoccupati da almeno sei mesi di ricevere un assegno di ricollocazione di entità variabile da utilizzare presso i centri per l’impiego o i soggetti privati accreditati, al fine di ottenere un servizio assistenza intensiva nelle ricerca di un’occupazione.

 

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