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Un rapporto pubblicato dalla European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions (Eurofound) nello scorso luglio (Mapping Youth Transitions in Europe) offre un’interessante analisi comparata delle transizioni dei giovani dentro e fuori il mondo del lavoro e dei Neet in Europa. In un articolo precedente abbiamo riportato le stime associate al ‘costo’ dei Neet nei paesi mediterranei. In quanto segue, invece, discutiamo i flussi all’ingresso del mercato del lavoro. La mappatura tracciata da Eurofound mette in luce come la ‘corsa a ostacoli’ in cui è impegnata la Garanzia Giovani differisca sensibilmente da paese a paese. Per ragioni di sintesi, ci soffermeremo di nuovo solo sui paesi mediterranei.

Il rapporto sottolinea come per i giovani italiani, greci e spagnoli parlare di transizione scuola-lavoro significa far riferimento a una fase relativamente lunga durante la quale si alternano periodi di disoccupazione (e l’invio di centinaia di curricula) a brevi episodi lavorativi, in una successione che spesso non porta a un inserimento occupazionale stabile. Nel peggiore dei casi, gli episodi prolungati di disoccupazione assumono caratteri cronici e i giovani ‘scoraggiati’ cessano di partecipare al mercato del lavoro.
L’analisi della situazione in cui versano i paesi dell’Europa del Sud può fornirci alcuni spunti di riflessione sullo stato attuale della Garanzia giovani in Italia sui quali ci soffermeremo nel paragrafo conclusivo.


Transizioni lavorative: ai blocchi di partenza

La Garanzia Giovani non è una ricetta magica che i governi nazionali (e locali) possono semplicemente riuscire o meno a mettere in pratica, ma una strategia d’intervento che andrebbe adattata con intelligenza alle diverse situazioni di partenza.

Osservando i paesi mediterranei, è importante non solo considerare i dati relativi allo stock di disoccupazione giovanile e dei Neet, ma anche quelli relativi agli andamenti dei flussi di giovani nel mercato del lavoro, ovvero delle loro transizioni sia verso l’occupazione (scuola-lavoro), sia da una posizione lavorativa a un’altra. Concentrandoci sulle prime, nel rapporto di Eurofound si individuano tre dimensioni lungo le quali si inquadra lo svantaggio dell’Europa meridionale (tabella 1) .

1. A differenza di quanto si possa pensare, l’età di uscita dall’istruzione non appare più un problema per i giovani che vivono nei paesi mediterranei dal momento che risulta sostanzialmente in linea con la media europea. Una differenza significativa può essere invece colta con riferimento alla capacità di combinare esperienze lavorative o di formazione (come ad esempio i tirocini) con le più tradizionali attività educative. A fronte di un valore europeo riferito ai diversi ordini scolastici pari a 22,2%, i paesi dell’Europa mediterranea registrano una media di poco superiore al 10% (con Italia e Grecia che presentano un misero 7%). La forbice con il dato europeo appare ancora più ampia se si considerano i dati riferiti alle scuole medie superiori (in Italia siamo sotto il 2%); un divario che non viene recuperato (ad eccezione della Spagna) nemmeno all’università.

2. Un secondo indicatore che segnala la vischiosità dei mercati del lavoro del Sud Europa è il tempo impiegato da un giovane per trovare una prima occupazione "significativa" una volta terminati gli studi. Per un giovane italiano occorrono in media circa 10 mesi, mentre per un greco 13 mesi. In questo caso i paesi iberici se la cavano meglio, in particolare il Portogallo che presenta valori inferiori alla media comunitaria.

3. Nei paesi mediterranei (ad eccezione del Portogallo) possiamo osservare anche un’elevata difficoltà a inserirsi rapidamente nel mercato del lavoro. La tabella 1 mostra che in Italia, Grecia e Spagna, la percentuale di giovani che non hanno un’occupazione a 12 mesi dalla fine degli studi supera il 50%. Se confrontiamo i dati del 2009 con quelli del 2011, è possibile notare un peggioramento complessivo della situazione, sopratutto in Grecia.


Tabella 1. transizione scuola-lavoro nei paesi mediterranei

Fonte: nostra elaborazione su dati tratti dal rapporto Eurofound 2014

 



Quanto appena osservato è rispecchiato dalla figura 1, che si riferisce invece alla percentuale di giovani che hanno trovato un’occupazione a 12 mesi dall’uscita dall’istruzione. Il divario fra i paesi mediterranei e i core-countries salta all’occhio: mentre nei paesi del Sud (ad eccezione del Portogallo, in cui si osserva una performance relativamente migliore), meno della metà dei giovani è occupato a un anno dalla laurea (diploma), in Germania, Repubblica Ceca, Paesi Bassi e Danimarca, la percentuale di chi ha trovato lavoro sale sopra l’80%, con dati intermedi nel resto dell’Unione europea, compresi i paesi orientali. 


Figura 1.Percentuale di giovani occupati a un anno dall’uscita dall’istruzione, 2009

Fonte: Eurofound, 2014


Una corsa ad ostacoli

Una volta lasciati alle spalle una sfavorevole situazione di partenza, per un giovane italiano, spagnolo o greco incomincia una vera corsa ad ostacoli.
Quando si tratta di vedere quale tipo di contratto di lavoro riescono a ottenere i (pochi) fortunati assunti entro un anno dal termine degli studi, si osserva che solo il 35% dei giovani italiani ha trovato un impiego a tempo indeterminato (a fronte di una media europea poco al di sopra del 61%) (tabella 2). La diffusione dei contratti a tempo indeterminato tra i giovani che fanno il loro ingresso nel mercato del lavoro è ancora più contenuta nella penisola iberica (sopratutto in Spagna dove tale possibilità appare quasi un’opzione residuale), mentre il dato della Grecia questa volta è in controtendenza. Nel 2011, circa i 2/3 dei greci che hanno trovato un’occupazione entro un anno dalla fine degli studi sono stati assunti con un contratto a tempo indeterminato, anche se tale dato va letto alla luce della bassissima percentuale di giovani che accedono rapidamente al mercato del lavoro.

Possiamo infine notare che poco più della metà dei contratti a termine in Europa e in Italia sono "involontari" (per via del loro essere a termine e/o part-time a termine). Questa percentuale cresce a livelli superiori al 60% negli altri paesi mediterranei, segnalando come tali contratti, oltre alla loro intrinseca instabilità, non siano in grado di soddisfare una domanda di piena integrazione dei giovani nel mercato del lavoro, con ciò che ne deriva anche a livello di capitale umano ‘sprecato’.

Tabella 2. Tipo di contratto di lavoro ottenuto dai giovani a un anno dal termine degli studi. Anno 2011.

Fonte: nostra elaborazione a partire dai dati del rapporto Eurofound 2014

A partire da questi dati, è facile dunque comprendere perché ad esempio il programma Garanzia Giovani sia stato finora in grado di offrire solo (poche) proposte di lavoro, quasi tutte a termine e in gran parte di "bassa qualità". Nessuna sorpresa in questo, ma molto su cui riflettere se si pensa che la maggior parte di quelle posizioni a termine (indesiderate) rischiano di non venire nemmeno stabilizzate. La Figura 2 riporta una mappatura delle transizioni lavorative dei giovani nell’arco del primo anno della crisi (dal 2008 al 2009), comparando la media dei paesi mediterranei con la media UE. La notizia positiva è che più dell’80% delle persone rimane occupato, anche se il dato fa comunque riferimento a un solo anno di transizione all’inizio della crisi.


Figura 2. Analisi delle transizioni lavorative 2008 → 2009 per i giovani fra i 15 e i 29 anni

Fonte: riadattato da Eurofound 2014


Rispetto alla media dei giovani europei, per coloro che vivono nei paesi mediterranei è più difficile rimanere occupati
. Inoltre per gli under-29 impiegati con contratti a termine nel Sud Europa è più probabile ricadere nella disoccupazione che ottenere un impiego a tempo indeterminato.


Le difficili sfide della Garanzia Giovani in Italia

Il contesto in cui la Garanzia Giovani opera in Italia, Spagna e Grecia è dunque costellato di ostacoli. A fronte di un elevato spreco di capitale umano, molti giovani non riescono a entrare nel mercato del lavoro e chi ci riesce rimane spesso intrappolato in una situazione di precarietà. La Garanzia giovani ovviamente nulla può fare da sola contro l’avversa situazione macroeconomica, specie quando la domanda di lavoro (non solo per i giovani) appare tutt’altro che sostenuta. Le difficoltà connesse al contesto socio-economico di partenza, nonché quelle derivanti dalle limitate capacità istituzionali di buona parte delle amministrazioni pubbliche italiane, rendono urgente una riflessione su cosa si possa concretamente intendere con "successo" o "fallimento" del programma Garanzia Giovani, vale a dire quali obiettivi realistici dovrebbero effettivamente essere perseguiti e come "misurarli", al di là dei monitoraggi pubblici finora effettuati.

Quello che invece osserviamo, perlomeno in Italia, è un classico "gioco dello scaricabarile" in cui il cerino della Garanzia giovani viene passato dal governo nazionale ai governi regionali (e viceversa), additando l’inerzia e l’incapacità altrui. Il sistema di governance multilivello diventa così l’ennesima opportunità per annacquare le responsabilità di un fallimento da molti preannunciato: una ghiotta occasione, sopratutto a fronte di un tentativo di riforma delle politiche attive e dei servizi per l’impiego che in molti vorrebbero affossare.  

Pur consapevoli dei limiti di essere una strategia di politica del lavoro incentrata sull’offerta, la Garanzia Giovani dovrebbe perseguire con fermezza perlomeno alcuni obiettivi strategici. In primo luogo, la Garanzia Giovani potrebbe servire a porre le prime basi di un sistema nazionale di politiche attive del lavoro e dei servizi per l’impiego finora di fatto mai esistito in Italia. In altre parole, dovrebbe essere gestita come parte di una più articolata strategia di transizione verso nuovi assetti istituzionali.
In secondo luogo, come abbiamo già avuto modo di sostenere nell’articolo precedente, occorre una "messa a fuoco" degli interventi regionali, affinché non si perda di vista l’obiettivo principale, ovvero l’integrazione dei Neet.

Qualcuno potrebbe obiettare che è già troppo tardi. E forse è vero, dati i tempi limitati di attuazione della Garanzia giovani. Ma da qualche parte occorrerà pur sempre iniziare. In Italia, così come negli altri paesi mediterranei, la limitata capacità di enforcement delle politiche rimane uno dei principali talloni di Achille. Non bisogna però dimenticare che il terreno su cui la Garanzia Giovani si innesta nell’Europa del Sud è tutt’altro che favorevole: l’inefficienza istituzionale è infatti solo una delle cause del ritardo.
 

Riferimenti

Eurofound (2014), Mapping youth transitions in Europe, Publications Office of the European Union, Luxembourg.

Neet, ma quanto ci costate? La corsa ad ostacoli della Garanzia giovani nel Sud Europa

 

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