Il 12 marzo su Corriere Buone Notizie, inserto settimanale del Corriere della Sera, è stata pubblicata un’inchiesta curata da Percorsi di secondo welfare sui Neet italiani e sugli effetti avuti dalla Garanzia Giovani, il programma europeo di contrasto alla disoccupazione giovanile varato nel 2014. Di seguito trovate l’articolo di contesto firmato da Davide Illarietti, giornalista del Corriere, e l’infografica realizzata da Sabina Castagnaviz. Qui invece trovate il commento firmato dal Patrik Vesan su quello che andrebbe fatto per rafforzare la misura.
Il termine Neet è salito alla ribalta con la crisi. Acronimo per «not in education, employment or training», indica i ragazzi tra 15 e 29 anni che non studiano, non lavorano e nemmeno cercano un’occupazione. In Italia sono 2 milioni e 189 mila. Il triste primato si somma a quello della media dei laureati, appena il 18,7 per cento (in Ue sono il 31,4 per cento della popolazione adulta), e ai dati ancora preoccupanti sulla dispersione scolastica, con un tasso del 18 per cento nel Mezzogiorno e dell’11 per cento nel Nord. Un esercito di giovani sottovalutati e spesso sfiduciati, che generano una perdita economica quantificabile – si stima – nel 2 per cento del Pil nazionale. Il costo di una manovra finanziaria. L’onda è partita con la crisi, si diceva: ma è stata un’onda lunga. Ha toccato il picco nel 2013-14, quando nel limbo prelavorativo si sono ritrovati oltre un quarto degli italiani under 30. Nel Sud e nelle Isole la percentuale ha sfiorato un terzo del totale. Il dato si è sgonfiato leggermente da allora (dal 26 al 24 per cento su base nazionale) ma rimane ben sopra i livelli pre-crisi.
Il problema non riguarda solo la Penisola, va detto: in Europa i giovani «invisibili» sono in tutto 5,5 milioni. In pratica una piccola nazione, grande come la Slovacchia o la Finlandia, dove gli italiani costituiscono due quinti della popolazione. E in Italia è piovuta buona parte dei fondi stanziati da Bruxelles per risolvere il problema. Il programma Garanzia Giovani – avviato nel 2014 sulla scia di una raccomandazione della Commissione europea di aprile 2013 – finanzia percorsi personalizzati per l’inserimento lavorativo (stage, tirocini) ai Neet che ne facciano domanda. Al 31 agosto scorso erano 1 milione e 373 mila, al netto delle cancellazioni. Di questi 1 milione e 66 mila sono già stati presi a carico.
Nell’ultimo rapporto quadrimestrale dell’Agenzia nazionale per politiche attive del lavoro (Anpal), si legge che «l’andamento mostra una dinamica positiva nel tempo». La quota dei giovani che a due mesi dalla domanda ha avuto accesso alle «misure di attivazione» presenta «un trend crescente, a testimonianza di un progressivo consolidamento e strutturazione del programma». Ma misurare l’impatto degli interventi è un altro paio di maniche. Due calcoli spicci. Al bacino dei potenziali beneficiari (2,18 milioni) vanno tolti anzitutto i non pervenuti, e sono parecchi: 807 mila giovani che, dalla cameretta, non sono usciti nemmeno per chiedere aiuto. «Si tratta probabilmente della fascia più bisognosa e tuttavia, proprio per questo, la più difficile da raggiungere», fa notare Chiara Agostini del laboratorio Percorsi di secondo welfare, think-tank dell’Università Statale di Milano e del Centro Einaudi di Torino.
«Le persone escluse socialmente spesso lo sono a tal punto che non credono di poterne uscire o non hanno idea di come farlo». Al conteggio bisogna sottrarre, poi, i richiedenti ancora in attesa di risposta (307 mila) e quelli che non hanno ancora iniziato il loro stage o percorso formativo. Restano circa mezzo milione di Neet (550 mila). Un esercito decimato ma comunque un esercito, per la metà del quale – secondo una rilevazione condotta da Anpal – l’esperienza formativa è sfociata in un’occupazione fissa. Tanti? Pochi? Dipende dai punti di vista. «In termini relativi è un successo», osserva l’esperta. «Va detto però che il collocamento lavorativo è solo una conseguenza importante, non l’obiettivo dei percorsi di attivazione. I quali, in termini assoluti, hanno coinvolto finora solo una parte dei ragazzi in difficoltà, ed è qui il nodo problematico ».
In altre parole: lo strumento funziona, ma andrebbe usato di più e – comunque – da solo non basta. Il programma Garanzia Giovani, ricorda Agostini, «è stato avviato all’interno di un tentativo più ampio di riforma delle politiche del lavoro, che prevedeva anche di ricentralizzare le politiche attive, spostandone le competenze dalle Regioni allo Stato». Un tentativo andato a vuoto, nel 2016, con la bocciatura della Riforma costituzionale. Risultato: un effetto concreto ma limitato. Nel frattempo nel 2017 l’Unione Europea ha rifinanziato il programma, con la speranza di estenderne i benefici anche ai ragazzi più irraggiungibili. Una parte dei fondi è stata destinata in modo vincolato alle regioni del Sud, che finora hanno registrato poco più di due quinti delle domande, ma sono in cima alla classifica europea per numero di Neet. Ma qui il problema fa il paio con il lavoro nero. E il rischio, se non si fa attenzione, è di veder sparire ancora tante risorse nel pozzo.