L’incomprensibile miopia italiana verso il non profit
C’è una miopia strana e incomprensibile della classe politica italiana nei confronti dell’universo non profit. Nonostante una grande tradizione ideale (cattolica, social comunista e laica) che è stata all’origine di gran parte del non profit italiano, e nonostante tanti segni della vitalità di questo mondo, come dimostrano i dati del recente censimento ISTAT sul non profit (+ 28% di istituzioni non profit e + 39% di addetti del non profit nel decennio 2001-2011), la politica italiana – sia essa di destra, di centro o di sinistra – pare non rendersi conto del ruolo cruciale che il settore non profit gioca per il Paese.
Al contrario, tende a “bastonare” le organizzazioni non profit in diversi modi. Negli ultimi anni si va, solo per citare alcuni esempi, dalla cancellazione dell’Agenzia per il Terzo Settore alla mancata stabilizzazione del 5X1000 dopo ben 7 anni di sperimentazione, dall’aumento dell’IVA dal 4 al 10% sui servizi welfare offerti dalle cooperative sociali, all’introduzione dell’IMU sugli immobili in uso ad attività non profit. Inoltre, per quanto riguarda le normative riferite al non profit l’Italia è al palo. A parte la legge sull’impresa sociale del 2005 (rivelatasi un completo fallimento) l’ultima norma facente riferimento al non profit, la legge 383 sull’associazionismo risale al 2000, per non parlare di un Codice Civile del 1942 che prevede solo stato e mercato ed è cieco su tutto ciò che sta in mezzo.
Nel frattempo, in tutto il mondo e nell’Unione Europea cresce il convincimento che l’Economia Sociale non profit possa essere una leva per favorire la ripresa economica. Con questa convinzione, mentre l’Italia continua a ignorare il tesoro che ha in casa, a livello globale vanno sviluppandosi nuove iniziative e linee di finanziamento innovative per sostenere l’economia sociale non profit.
Misurare l’impatto socio-economico del non profit e per investire su di esso: l’esempio inglese
Un’innovazione che sicuramente rappresenta uno sviluppo interessante per le politiche di welfare è rappresentata dai Social Impact Bonds (SIBs) sperimentati per la prima volta dal governo Cameron in Gran Bretagna. I SIBs sono strumenti finanziari innovativi utilizzati da soggetti pubblici per raccogliere finanziamenti privati da destinare alla realizzazione di progetti di pubblica utilità, affidati da Stato, enti locali o agenzie governative ad organizzazioni non profit . I SIBs sono fondi che operano per un periodo di tempo determinato – come le tradizionali obbligazioni -, ma il loro rendimento risulta però legato al raggiungimento di specifici risultati in termini di “benessere sociale” stabiliti al momento dell’emissione.
Queste obbligazioni di stampo sociale hanno il merito di attivare un circuito virtuoso (fig.1) tra Stato, investitori privati, organizzazioni non profit e cittadinanza, grazie al quale ognuno di questi ne può ricevere vantaggi significativi (per saperne di più sul meccanismo). Le istituzioni statali appoggiandosi a organizzazioni che già svolgono attività in ambiti caratterizzati da forti disagi sociali possono avvalersi di un know how di cui non sono direttamente dotate. Esse, inoltre, sono tenute a corrispondere la somma investita dai privati (più eventuale premio) solo nel momento in cui il programma di intervento sociale abbia raggiunto gli obiettivi prefissati. In caso di insuccesso, quindi, il soggetto pubblico non è tenuto a coprire l’investimento effettuato: deve pagare solo se l’esito del progetto è positivo.
Figura 1. Social Investment Bonds Mechanics

Fonte: Social Finance. A new tool for scaling impact, p. 12
Gli investitori privati dal canto loro, oltre ai risultati in termini di immagine, possono ottenere rendimenti importanti se capaci di selezionare progetti validi ed efficaci. Il non profit invece attraverso i SIBs può accedere a finanziamenti cospicui in un periodo in cui le finanze statali destinate al welfare sono sempre più insufficienti. Ma soprattutto, siccome l’accesso alle risorse è legato a doppio filo alle capacità di successo e di efficacia, le organizzazioni non profit sono incentivate a innovare, a crescere e a migliorare i propri servizi per poter accedere ai finanziamenti. I cittadini, infine, possono disporre di interventi e servizi che l’ente Stato difficilmente potrebbe garantire.
È quindi una dinamica che inizia con un giudizio preliminare positivo sulla capacità del non profit di rispondere adeguatamente a situazioni di disagio sociale difficilmente fronteggiabili da altri. Uno sbilanciamento “pregiudiziale” che trova probabilmente numerose ragioni nell’esperienza concreta, costellata da esempi virtuosi di realtà non profit. Tramite questo meccanismo le attività delle organizzazioni non profit, anche se giudicate in linea di massima positivamente, devono essere tuttavia confermate e verificate ex post, attraverso la misurazione dell’impatto sociale del servizio svolto dai vari soggetti.
E proprio perchè il successo e la conseguente diffusione di tali strumenti finanziari innovativi dipende in gran parte dall’appetibilità che questi sono in grado di suscitare negli investitori privati, risulta dunque cruciale fare in modo che i risultati dei progetti possano essere il più possibile misurabili. Interessante, in questo senso, è il lavoro che sta svolgendo Social Finance, la banca di investimento che si occupa specificatamente di terzo settore, che nel 2010 ha sviluppato per prima i Social Impact Bond attraverso il lancio di un progetto pilota, One Service, dedicato al recupero dei carcerati. Social Finance sta infatti esplorando nuove soluzioni pratiche e metodologiche per poter applicare i SIBs ad altre aree di possibile disagio sociale, come per esempio le fasce di ragazzi che trascorrono l’adolescenza fuori dai mondi vitali della scuola e del lavoro (i cosiddetti neet), e le categorie vulnerabili come disoccupati, anziani, homeless o tossico-dipendenti.
L’impatto socio-economico del non profit nella visione del Presidente Obama
Fa impressione leggere, rispetto alla miopia dei governanti italiani, la relazione introduttiva del Presidente Obama al “Fiscal Year 2014 Budget” nella quale si evidenzia come sia necessario “lavorare come una squadra con l’intera comunità – tra cui organizzazioni non profit, gli enti filantropici e le varie realtà sia laiche che religiose – per rispondere alle sfide della nostra comunità. Queste organizzazioni offrono una rete di sicurezza per i più bisognosi e rappresentano un motore economico per la creazione di posti di lavoro nelle comunità di tutta l’America. Esse rappresentano anche un incubatore di innovazione e possono favorire soluzioni ad alcune delle nostre sfide più difficili”.
Non c’è quindi da stupirsi se nei principali asset del bilancio dello Stato USA 2014 si trovano i seguenti titoli: “incentivazione di non profit innovative, sussidiarietà (coinvolgimento delle non profit in soluzioni community-based), aumento della cultura dei risultati nei servizi sociali, miglioramento della rendicontazione e della valutazione nel settore non profit, creazioni di performance partnership che garantiscano flessibilità e risultati, supporto al volontariato locale”. E che non si tratti solo di premesse teoriche prive di effetti concreti è dimostrato dal fatto che nel Budget presidenziale, che vale 3,78 trilioni di dollari, sono assegnati, con diverse modalità e strumenti, miliardi di dollari alle organizzazioni non profit nei settori più diversi (sanità, scuola, lavoro, assistenza, protezione civile ecc.). Denaro che, tuttavia, risulta accessibile a condizione che il non profit possa dimostrare l’efficacia della sua azione. In questo senso la proposta del Governo americano non è generica, bensì è attenta a incentivare le organizzazioni non profit capaci di rispondere ai bisogni sociali, di misurare la propria efficacia e di innovare le proprie azioni.
In quet’ottica, anche nel Budget USA la sperimentazione e lo sviluppo dei Pay for Success Bonds, (PSBs), versione a stelle e strisce dei già citati Social Impact Bonds, da parte del Governo americano grazie anche al lavoro del Center for American Progress che sta portando avanti lo studio e sta curando la sperimentazione di questo nuovo promettente modello di finanza per il sociale. Lo stesso Obama ha proposto la creazione di un Pay for Success Incentive Fund presso il ministero del Tesoro americano da riservare ai singoli Stati, vincolati a distribuire i fondi esclusivamente “alle associazioni che rispondano a determinati requisiti di efficienza ed efficacia”, visto che “i fondi vengono erogati soltanto dopo che i risultati concordati vengono raggiunti, e se si dimostra che l’azione del non profit ha fatto risparmiare soldi pubblici” (Si veda in questo senso il paragrafo Expands Pay for Success to Drive Results del documento Strengthening and Supporting Non-Profits stilato dalla Casa Bianca).
La versatilità e la crescente diffusione dei PSBs è dimostrata anche dal fatto che esperienze simili si sono sviluppate spontaneamente a livello locale, ben prima della approvazione delle misure decise a livello centrale. Il caso più significativo che ha generato maggiore risonanza ha ad esempio coinvolto il governo della città di New York e il colosso finanziario Goldman Sachs, che ha deciso di investire più di 9 milioni di dollari in un progetto affidato al non profit per il recupero di giovani detenuti della struttura carceraria di Rikers Island. Alla stregua di quanto fatto dal ministro della giustizia inglese, il rendimento dell’investimento effettuato dal colosso privato dipende dal raggiungimento dell’obiettivo, che in questo caso corrisponde a una diminuzione del tasso di recidiva di almeno il 10%.
Certamente si può obiettare, ed è vero, che la situazione americana è diversa da quella italiana ma questo non basta a spiegare perchè Obama abbia un approccio così intelligente e innovativo verso il non profit, mentre in Italia nessuno si degna di guardare e valorizzare tale settore, sicuramente né meno esteso né meno imponente e vitale di quello americano. Sicuramente questi sono esempi che, mutatis mutandis, anche il nostro Paese farebbe bene a prendere in considerazione.
Gian Paolo Gualaccini è Consigliere e Coordinatore dell’Osservatorio sull’Economia Sociale del CNEL
Riferimenti
Bandera L., Social Impact Bond: le esperienze di Stati Uniti e Regno Unito, Percorsi di secondo welfare, 1 ottobre 2012.
Leonhardt D., “What Are Social-Impact Bonds?”, The New York Times, 8 febbraio 2012.
Liebman J. B. (2011), Social Impact Bonds. A promising new financing model to accelerate social innovation and improve government performance, Center for American Progress.
Rosenberg T., “The Promise of Social Impact Bonds”, The New York Times, 20 giugno 2012.
White House (2013), Strengthening and Supporting Non-Profits
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