La Big Society rappresenta uno dei principali temi su cui la Coalition del primo Ministro David Cameron, formata da conservatori e liberaldemocratici, ha impostato la propria agenda di governo. L’obiettivo dichiarato del progetto è quello di attuare all’interno del Regno Unito una serie di riforme strutturali che possano garantire ai corpi intermedi e ai singoli individui, a fronte di un progressivo arretramento dello Stato, un maggiore spazio di libertà in molti settori attualmente occupati, parzialmente o completamente, dal settore pubblico. Come ha affermato lo stesso Cameron nel cosiddetto Liverpool speech, discorso con cui ha lanciato l’iniziativa nel luglio del 2010:
“La Big Society riguarda un immenso cambiamento culturale in cui le persone, nella vita quotidiana, a casa propria, nei propri quartieri, sul posto di lavoro, non devono per forza rivolgersi a funzionari pubblici, alle autorità locali o centrali per trovare risposta ai propri problemi, ma si sentono libere e abbastanza forti da poter sostenere se stesse e le comunità in cui vivono”.
E’ dunque una prospettiva che va oltre le classiche visioni contrappostesi in Gran Bretagna dopo la seconda guerra mondiale, in cui lo Stato è stato concepito come l’unico soggetto in grado di occuparsi della vita dei propri cittadini o, al contrario, è stato il Mercato, il più possibile privo di vincoli e regole, ad essere percepito come unica via da seguire per garantire il vero benessere della popolazione. La proposta di Cameron e del suo esecutivo ha trovato ampio spazio sia sulla stampa britannica che su quella internazionale, determinando un crescente dibattito su questo modello innovativo che potrebbe radicalmente modificare l’aspetto della società inglese e del suo welfare state, uno dei sistemi di protezione sociale più vecchi del mondo.
Il governo ha cercato di enfatizzare e canalizzare l’attenzione verso il progetto quanto più possibile ma, dopo una partenza promettente in cui sono state avviate numerose iniziative in ambito sociale, amministrativo ed economico, la Big Society nel corso del 2011 è sembrata scivolare nel dimenticatoio. I forti tagli imposti dalla crisi economica, le tensioni interne alla coalizione di governo e i violenti scontri avvenuti a Londra durante i mesi scorsi hanno infatti determinato un apparente disimpegno del governo da questo tema, e spinto molti osservatori a dichiarare l’iniziativa bloccata e irrimediabilmente avviata sulla strada del fallimento.
Tuttavia, nonostante queste difficoltà, il Parlamento di Westminster ha continuato a lavorare sulle proposte presentate dalla maggioranza e dall’esecutivo ed ha infine approvato importanti misure legislative che hanno ridato forza al progetto e lo hanno nuovamente posto al centro dell’attenzione della politica e dell’opinione pubblica. Due in particolare sono i provvedimenti su cui la Big Society potrà presumibilmente basare il proprio rilancio: il Localism Act 2011 e il Public Service (Social Value) Act 2012. Il primo, promulgato nel novembre scorso, ha modificato la struttura e le funzioni degli enti locali inglesi, determinando importanti innovazioni volte a favorire la partecipazione dei singoli cittadini e delle realtà del terzo settore alle attività delle istituzioni territoriali. Il Public Service (Social Value) Act 2012, ratificato a fine marzo, ha invece introdotto un vasto pacchetto di liberalizzazioni che faciliteranno l’ingresso di organizzazioni del terzo settore in importanti settori quali sanità, educazione, trasporti e infrastrutture locali. L’approvazione di questi provvedimenti ha dunque permesso la definizione e l’implementazione di misure ritenute fondamentali per il successo della Big Society, che in sintesi possono essere così riassunte: più libertà agli enti locali, ai cittadini e ai corpi intermedi, meno vincoli determinati dalla pubblica amministrazione sia a livello centrale che locale.
Crisi economica e Big Society
La Big Society punta pertanto a garantire maggiore libertà per le iniziative provenienti dalla società civile nel suo insieme, ma i tagli economici pianificati dal governo per far fronte alla crisi sembrano contraddire nella sostanza questo obiettivo. Le organizzazioni di volontariato, che dall’approvazione da inizio anni ’90 (Charities Act 1993) godono di particolari sgravi fiscali e/o ricevono fondi dallo Stato per il finanziamento delle proprie opere, vedono infatti a rischio le proprie attività, poiché una parte consistente dei contributi per il terzo settore verrà progressivamente cancellata dal bilancio dello Stato. Nonostante il governo consideri il volunteering come un attore essenziale del progetto Big Society, attualmente non si sa se i fondi governativi ad esso destinati nei prossimi anni avranno il medesimo ammontare del passato.
Allo stesso tempo l’esecutivo prevede che, incoraggiati dalle riforme varate sia in tema di servizi pubblici che relativamente agli enti locali, i cittadini saranno sempre più propensi a costituirsi in specifiche associazioni di carattere territoriale e a giocare un ruolo importante in contesti in cui le attività dello Stato risultano assenti o poco incisive. Ci si chiede tuttavia a quali risorse queste nuove realtà potrebbero attingere per accollarsi tali responsabilità: gli istituti di credito appaiono infatti restii a fornire risorse a soggetti che, nonostante il fine sociale, risultino privi di garanzie finanziarie e prospettive di profitto, soprattutto in un contesto di crisi come quello attuale.
Big Society Capital
Per cercare di rispondere a queste problematiche legate alle risorse nel luglio 2010, pochi giorni dopo la presentazione ufficiale della Big Society a Liverpool, il Cabinet Office (il cuore operativo dell’esecutivo britannico, che fa direttamente riferimento al Primo Ministro) ha deciso di costituire la Big Society Bank, poi rinominata Big Society Capital (BSC) nel corso del 2011. Questo istituto, formalmente indipendente dal governo e soggetto unicamente al controllo della Financial Service Authority, dovrebbe diventare un punto di riferimento per le organizzazioni del terzo settore interessate ad attivare o rafforzare la propria presenza sul territorio e propense ad implementare programmi riconducibili ai principi della Big Society.
L’ente si prefigge di investire su quelle realtà che possono contribuire allo sviluppo sociale del Paese, usando come via privilegiata i finanziamenti a tasso agevolato, in modo che queste possano svilupparsi, rafforzarsi, e attrarre investimenti provenienti anche da altri soggetti: non dunque un semplice finanziamento alle opere, ma un’erogazione di risorse che permetta in primo luogo la crescita delle organizzazioni sul territorio. E’ importante sottolineare come, data la mission dell’ente, sia specificatamente previsto l’obbligo per la banca di reinvestire la maggioranza dei profitti nell’ente stesso piuttosto che, come accade nella maggioranza degli istituti bancari, operare una redistribuzione degli stessi fra gli azionisti.
In secondo luogo, e qui sta un’altra peculiarità dell’istituto, la banca per la Big Society attraverso la propria azione mira alla creazio una nuova cultura dell’investimento che possa spingere privati, fondazioni, gruppi di interesse e altri istituti bancari a scommettere con convinzione sul sociale. Attraverso le proprie operazioni di investimento, la creazione di nuovi meccanismi di finanziamento e la promozione di casi di eccellenza la BSC si pone come obiettivo lo sviluppo di un nuovo approccio finanziario al terzo settore. Non solo dunque un intento meramente economico, ma un obiettivo culturale volto a modificare la percezione che gli investitori hanno nei confronti delle iniziative a carattere sociale presenti nel Paese.
La struttura dell’istituto
La Big Society Capital possiede una struttura societaria particolare, concepita in modo da garantire il mantenimento degli obiettivi precedentemente indicati, e nel contempo permettere un’azione finanziaria incisiva come quella di qualsiasi altro istituto bancario.
Big Society Trust è la holding del gruppo, il cui compito è vigilare che il gruppo stesso resti fedele alla sua mission e contribuisca pertanto alla crescita del social market britannico. Il suo consiglio di vigilanza è formato da soggetti appartenenti sia al settore finanziario che al mondo del volontariato, in modo che le scelte intraprese dall’ente siano frutto di punti di vista parimenti necessari per conseguire gli obiettivi dell’ente stesso.
Il braccio operativo del gruppo è costituto dalla Big Society Capital Ltd, società per azioni il cui scopo, come specificato dalla mission del gruppo, non è unicamente il perseguimento di profitto per gli azionisti ma il reinvestimento in realtà a carattere sociale, il che la rende un particolare connubio tra una classica Ltd e un’organizzazione no-profit. Il 60% del capitale della BSC è detenuto dal BST, mentre il restante 40% è versato dai quattro principali gruppi bancari del Regno Unito: Barclays, HSBC, Lloyds Banking Group e Royal Bank of Scotland. All’interno del consiglio di amministrazione, tuttavia, la BST controlla l’80% delle azioni con diritto di voto, mentre il consorzio bancario solo il 20%, in modo che l’intento sociale non rischi di venir meno nel momento in cui il CdA si trova a compiere scelte operative.
La Big Society Foundation è invece una charitable foundation, costituita al fine di poter ricevere donazioni da soggetti terzi e percepire parte del surplus generato dalla BSC, in modo da poter operare una ridistribuzione dei profitti verso progetti ritenuti complementari a quelli del gruppo.
Il Big Society Capital Fund
Occorre sottolineare che nel panorama bancario britannico da alcuni anni esistono alcuni istituti che, come il gruppo Charity Bank, operano prestiti e finanziamenti a scopo sociale similmente alla BSC. Tuttavia la BSC rappresenta una novità per la quantità di fondi che ha attualmente a disposizione, per l’impegno profuso dal governo a sostegno dell’iniziativa e per la qualità dei soggetti e delle istituzioni che co-partecipano alla sua struttura. Per circa due anni la BSC ha svolto i propri compiti attingendo a fondi limitati provenienti dal Big Lottery Fund o forniti dall’esecutivo attraverso programmi specifici, ma è con il lancio ufficiale del Big Society Capital Fund (BSCF) che la BSC è divenuta pienamente operativa.
Il 4 aprile scorso è stato infatti reso noto che i fondi originariamente previsti per la BSC sono stati sbloccati e messi a disposizione del gruppo. L’istituzione del Big Society Capital Fund ha permesso il reperimento di circa 400 milioni di sterline provenienti da conti correnti dormienti, che tuttavia devono essere inattivi da almeno 15 anni, a cui il Dormant Bank and Building Society Accounts Act 2008 permette di attingere per finanziare opere di carattere sociale come, appunto, la BSC. Tali fondi, come prevede lo statuto, sono gestiti direttamente dalla Big Society Trust e costituiscono il 60% del capitale del gruppo. Il restante 40% è invece fornito dai 4 maggiori istituti bancari britannici che, rispettando un accordo preso col governo nell’estate 2010, in concomitanza con l’approvazione del BSCF hanno versato 50 milioni di sterline cadauno nel fondo totale da 600 milioni a cui ora la BSC può accedere per finanziare i gli investimenti.
Quali prospettive dopo il lancio effettivo della BSC
E’ ovviamente impossibile sapere quale sarà l’effettivo impatto che la BSC, ora che è pienamente operativa, potrà avere sul social market del Regno Unito. I dati della Social Investment Task Force, istituita all’inizio del decennio scorso dal Ministero del Tesoro, dimostrano tuttavia che dal 2000 al 2010 il settore sociale britannico è cresciuto e si è strutturato molto velocemente, tanto da poter potenzialmente giocare un ruolo importante per il Regno Unito, non solo a livello sociale ma anche economico, se opportunamente supportato dal punto di vista finanziario.
I fondi a disposizione della BSC rappresentano dunque un’occasione per il terzo settore, soprattutto perché questi saranno utilizzati per rafforzare le imprese presenti sul territorio, in un’ottica di lungo periodo, piuttosto che per implementare singoli progetti, che si esauriscono tendenzialmente nel breve o nel medio periodo.
Il momento appare favorevole anche a seguito di alcune dichiarazioni che nei giorni successivi al lancio del fondo sono state rilasciate da esponenti del mondo imprenditoriale britannico. Richard Lambert, che fino a febbraio del 2011 è stato presidente della Confederation of British Industries (CBI), la più grande organizzazione di rappresentanza delle imprese industriali del Regno Unito, ha infatti affermato che il fondo arriva in un momento in cui i mercati guardano con sempre maggiore interesse alle attività del terzo settore. Secondo le sue stime, nel contesto attuale, per ogni sterlina investita in opere sociali si potrebbe avere un ritorno quattro volte superiore sia in termini sociali che economici, e niente impedisce che tale rendimento potrebbe ulteriormente crescere in una condizione economica più favorevole dell’attuale.
Di simili opinioni, che ovviamente risultano però meno clamorose, sono molte organizzazioni di rappresentanza del terzo settore, in primis il National Council for Voluntary Organisations (NCVO), che vedono in maniera molto positiva questa iniziativa, che potrebbe permettere lo sviluppo del mercato sociale nonostante la crisi economica e la relativa scarsità di risorse.
Si ringrazia la Dott.ssa Cecilia Barazzetta, Analista Finanziario presso Intesa Sanpaolo, per la consulenza fornita relativamente alla struttura della Big Society Capital.
Per approfondire:
Sito della Big Society Capital (BSC)
Sito istituzionale del Big Society Network
Pagina relativa al progetto Big Society sul sito del Cabinet Office
Sito della Confederation of British Industries (CBI)
Sito del National Council of Voluntary Organisations (NCVO)