Dal Rapporto sul secondo welfare in Italia giungono numerosi spunti e riflessioni sul ruolo presente e futuro del secondo welfare nel nostro Paese. I risultati della ricerca mostrano come il secondo welfare sia oggi un settore economicamente rilevante e composto da migliaia di realtà che, oltre a contrastare gli effetti della crisi, si stanno dimostrando in grado di generare innovazione sociale nei propri ambiti di intervento. Da non sottovalutare, tuttavia, alcuni rischi cui il secondo welfare può essere soggetto.
Il contesto
È dall’inizio degli anni Novanta che i paesi europei cercano di riformare i loro sistemi di welfare, ritagliati su strutture economiche e demografiche ormai largamente superate. Questo sforzo ha seguito alcuni principi ispiratori comuni, spesso promossi dall’Unione europea: sostenibilità ed efficienza, flexicurity, inclusione, protezione sociale come “fattore produttivo”, partnership fra pubblico e privato, priorità per gli investimenti a favore di donne e bambini e volti a fronteggiare i “nuovi rischi”. Questa stagione ha dato frutti importanti. Quasi tutti i Paesi membri hanno messo mano ai propri sistemi pensionistici, in risposta alle sfide demografiche e ai problemi di sostenibilità finanziaria. Mercati e politiche del lavoro sono stati riformati, in base a principi di condizionalità e attivazione. Qualche progresso è stato fatto sul fronte delle politiche a favore di donne e bambini, su quello della non-autosufficienza, su quello della lotta a povertà ed esclusione.
Fatta eccezione per alcuni contesti (paesi Scandinavi, Olanda e in parte Regno Unito), il bilancio complessivo resta però insoddisfacente rispetto alle aspettative. L’articolazione interna della spesa sociale e la struttura istituzionale del welfare pubblico sono ancora simili a quelle di due decenni fa. E la situazione resta particolarmente insoddisfacente in Italia, che si caratterizza ancora per un sistema pensionistico ipertrofico, forti squilibri a sfavore di tutte le politiche del “nuovo welfare”, persistenti problemi di sostenibilità ed efficienza.
La strategia di modernizzazione dello stato sociale, prendendo atto dei vincoli finanziari, ha dato per scontato che le riforme potessero avvenire principalmente tramite “ricalibrature” interne al welfare pubblico: meno pensioni, più servizi sociali; meno ai padri, più ai figli; meno risarcimenti, più opportunità. Le risorse pubbliche da riassegnare fra i vari settori e programmi sono risultate scarse: il sostegno ai nuovi rischi e bisogni, alle donne, ai bambini, agli anziani fragili non ha trovato risposte adeguate e soddisfacenti. Soprattutto nel Sud-Europa, la riorganizzazione degli estesi apparati pubblici di erogazione e servizio è proceduta molto lentamente, ostacolata da resistenze istituzionali, politiche, sindacali. Ci sono strategie alternative, o almeno complementari rispetto alla ricalibratura e alle ristrutturazioni gestionali e organizzative, che consentano di accelerare i tempi della transizione verso un sistema di welfare rinnovato? La ricerca che presentiamo nel Primo rapporto sul secondo welfare in Italia è partita proprio da questo interrogativo, fondamentale per il “benessere” dei cittadini europei.
Secondo welfare: una definizione
Per cercare una risposta a questo interrogativo occorre guardare oltre il perimetro strettamente pubblico, indirizzando l’attenzione verso il mercato e la società e soprattutto verso nuove forme di intreccio, collaborazione e sinergia fra questi due ambiti e il settore pubblico. Si tratta di nuove forme di protezione (e investimento) sociale a cui abbiamo dato il nome di secondo welfare. L’aggettivo “secondo” ha una duplice connotazione: 1) si tratta di forme che s’innestano sul tronco del “primo” welfare, quello voluto e costruito dallo Stato nel corso del Novecento; 2) si tratta di iniziative e misure che si aggiungono agli schemi del primo, integrano le sue lacune, ne stimolano la modernizzazione sperimentando nuovi modelli organizzativi, gestionali, finanziari e avventurandosi in sfere di bisogno ancora inesplorate (e in parte inesplorabili) dal pubblico. Ma soprattutto il secondo welfare mobilita risorse non pubbliche aggiuntive, messe a disposizione da una vasta gamma di attori economici e sociali.
Parlare di secondo welfare non equivale a proporre la sostituzione di spesa pubblica con spesa privata. Si tratta invece di mobilitare e usare in modo razionale ed efficiente risorse aggiuntive per bisogni e aspettative crescenti, in un contesto di finanza pubblica fortemente vincolato e di resistenze politiche (oltre che contro-indicazioni economiche) a un aumento della pressione fiscale. Il primo welfare (in particolare i suoi standard di prestazione) non viene messo in discussione nella sua funzione redistributiva e produttiva di base, ma solo integrato dall’esterno laddove vi sono domande non soddisfatte.
Quali sono le possibili fonti di finanziamento aggiuntivo e di innovazione organizzativa capaci di alimentare il secondo welfare? Un primo inventario comprende: assicurazioni private e fondi di categoria, fondazioni bancarie e altri soggetti filantropici, il sistema delle imprese e gli stessi sindacati, associazioni ed enti locali, anche per il tramite di eventuali imposte di scopo (più accettabili politicamente delle “tasse”). In una qualche misura, il secondo welfare può anche essere alimentato dal sistema delle compartecipazioni degli utenti: la quota di spesa sociale pubblica finanziata da ticket o contributi delle famiglie è pari al 16 per cento del totale in media OCSE, ma a meno del 4 per cento in Italia. Più flessibile e più ritagliato sui profili di specifiche persone, categorie, territori, il secondo welfare dovrebbe svilupparsi su un pavimento regolativo definito a livello locale, ma anche nazionale e comunitario, intrecciando in modo virtuoso l’iniziativa privata e associativa con opportunità e incentivi pubblici, anche di fonte comunitaria. Per evitare forme inique di “chiusura”, lo Stato a sui vari livelli dovrebbe poi continuare a svolgere un ruolo di monitoraggio, valutazione e, se necessario, sanzione: ma senza burocratismi e regolazioni intrusive.
Risultati
Dall’analisi condotta all’interno dei capitoli del Rapporto sono emersi risultati che confermano con chiarezza la rilevanza assunta dal secondo welfare nel nostro paese e gli ampi spazi oggi esistenti per una sua ulteriore espansione. In particolare – come illustrato nelle conclusioni – possiamo riassumere i principali risultati in cinque punti:
1. il secondo welfare ha già raggiunto una rilevanza economica, finanziaria e occupazionale di tutto rispetto. Il secondo welfare, lungi dall’essere un fenomeno allo stato nascente, rilevabile solo attraverso lenti analitiche mirate e sofisticate, è già una realtà che incide direttamente e concretamente sulle condizioni di vita di milioni di italiane e italiani di ogni età;
2. le attività (schemi, iniziative, sperimentazioni) del secondo welfare hanno dato vita a importanti, riconoscibili e riconosciute realizzazioni, dimostrando di saper far fronte in modo efficiente ed efficace a nuovi tipi di rischi e bisogni non adeguatamente coperti dal pubblico;
3. lo sviluppo e l’azione del secondo welfare ha svolto un ruolo importante anche nell’attutire le conseguenze sociali della crisi;
4. queste realizzazioni sono state possibili grazie a soluzioni innovative sul piano degli strumenti, dell’organizzazione e della governance;
5. intraprendenza, creatività e sempre più spesso “innovazione sociale” (per usare il linguaggio dell’Unione europea) hanno riguardato non solo i soggetti non pubblici, ma anche quelli pubblici, in particolare comuni e regioni. Sempre più costrette dai vincoli finanziari, alcune di queste istituzioni hanno intrapreso incisive operazioni di razionalizzazione dei propri modelli di spesa e si sono attivate per mobilitare l’impegno dei propri territori, anche sotto il profilo finanziario.
Rischi e questioni aperte
Nonostante il quadro promettente messo in luce sopra, il Rapporto evidenzia anche alcune criticità su cui è opportuno soffermarsi pensando alle prospettive del secondo welfare. Lo sviluppo del secondo welfare va infatti visto con favore nella misura in cui è in grado di creare sinergie con il primo welfare, in una logica di integrazione, complemento e stimolo all’innovazione. La realizzazione di queste sinergie non può essere data per scontata. Inoltre per sua natura il secondo welfare è esposto al rischio di generare effetti perversi che vanno conosciuti e compresi a fondo per neutralizzarne gli effetti e non generare eccessive aspettative. Le criticità e i fronti aperti emersi dal Rapporto posso essere riassunti nei seguenti punti:
1. il rischio di un “incastro distorto” fra primo e secondo welfare;
2. la difficoltà nel “fare sistema”;
3. la disparità territoriale;
4. la debolezza degli strumenti di monitoraggio e valutazione;
5. l’adesione incompiuta al paradigma dell’investimento sociale.
Secondo welfare, investimento sociale e innovazione
Per concludere va sottolineato che lo sviluppo del secondo welfare va considerato una sfida sul piano culturale, uno stimolo ad aderire più pienamente al paradigma dell’investimento sociale. In quest’ottica torna ad essere di grande rilevanza una riflessione sul concetto classico di universalismo inteso come copertura onni-comprensiva di tutta la popolazione, per tutti i bisogni meritevoli di tutela e in forma completamente gratuita. A questa concezione (difficilmente sostenibile non solo dal punto di vista economico-finanziario, ma anche sottoil profilo della giustizia distributiva) appare opportuno contrapporre l’alternativa dell’universalismo progressivo: accesso esteso a tutta la popolazione, ma con filtri selettivi capaci di calibrare il paniere delle prestazioni in base all’intensità del bisogno e della situazione economica degli utenti. Ciò significa garantire di meno a chi ha meno bisogno e/o chiedere a chi può permetterselo in base alla situazione economica una compartecipazione progressivamente più elevata per accedere alle prestazioni garantite (la compartecipazione rimarrebbe comunque più bassa del costo reale del servizio e del suo prezzo nel mercato privato).
Il principio dell’universalismo progressivo ben si presta, oggi, a fungere da perno per la ricalibratura del primo welfare. Esso è però allo stesso tempo quello più in linea con l’incastro virtuoso fra primo e secondo welfare auspicato nel Rapporto e con il paradigma emergente dell’investimento sociale.
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