La povertà alimentare in Europa cresce e raggiunge livelli che non si vedevano dal dopoguerra. Ma cosa succede se a essere colpito è il Paese che “a tavola” ha fatto scuola nel mondo e dove la produzione alimentare è uno dei pilastri che sta tenendo in piedi l’economia nazionale?
Un’emergenza europea
Secondo la FAO ogni anno nel mondo vengono sprecati circa 1 miliardo e 300mila tonnellate di cibo, un terzo della produzione globale destinata al consumo umano. Un dato allarmante che appare ancora più grave se si pensa che circa due miliardi di persone ogni giorno soffrono una o più carenze alimentari, e che basterebbe abbattere del 25% gli attuali sprechi per risolvere il problema della fame (Fao, 2013).
Siamo abituati a leggere questi dati drammatici pensando che la povertà alimentare sia affare delle zone più arretrate del mondo, ma il perdurare della crisi economica sta facendo riemergere bisogni primari legati all’alimentazione anche nei Paesi più avanzati, tra cui l’Europa, a tassi che non si registravano dal secondo dopoguerra.
Il Rapporto sulla crisi economica in Europa pubblicato il 10 ottobre dalla Federazione internazionale della Croce Rossa riporta che oggi nel nostro continente 43 milioni di cittadini non dispongono di sufficienti risorse alimentari, tanto che il numero di coloro che ricevono aiuti alimentari direttamente dai Comitati locali dell’organizzazione è aumentato del 75% dal 2008 al 2012, a causa non solo della disoccupazione, ma anche dell’aumento dei working poor.
Lo scorso anno in Francia alla Croce Rossa si sono rivolte 250.000 persone, mentre in Spagna il numero di assistiti è più che raddoppiato dal 2009. Ma anche i Paesi più virtuosi non se la passano meglio. Si pensi al caso della Scozia, dove un gruppo di ONG ha recentemente rivolto un appello al governo per intervenire in quella che è stata definita “un’emergenza umanitaria”. Il Trussell Trust, ente gestore dei banchi alimentari inglesi, ha reso noto infatti che i propri assistiti sono aumentati del 150% nel solo 2012.
La situazione italiana
In Italia la situazione non sembra migliore. In base alle rilevazioni Istat l’11.1% delle famiglie italiane, pari a 8.2 milioni di persone, si trova oggi in situazione di povertà relativa – ovvero con una capacità di consumo inferiore a una soglia minima nazionale calcolata su base statistica – mentre il 5.2%, 3.4 milioni di persone, si trova in situazione di povertà assoluta – incapace cioè di acquisire beni e servizi che permettono uno standard di vita ritenuto "minimo accettabile" nel contesto sociale di riferimento (Istat, 2013). Molte famiglie si trovano quindi in situazioni tali da non poter rispondere ai bisogni più elementari, tra cui quello di acquistare cibo sufficiente alla sussistenza di tutti i propri componenti. Negli ultimi anni il numero di coloro che si sono dovuti rivolgere a enti caritativi per far fronte alle proprie esigenze alimentari è così aumentato in maniera drammatica. In soli due anni, tra il 2010 e il 2012, gli indigenti assistiti sono passati da 2.763.379 a 3.686.942, segnando un aumento del 33,4%, un dato che ben chiarisce quanto si sia aggravata la povertà alimentare degli italiani (per ulteriori approfondimenti leggi Allarme Italia: è emergenza alimentare).
Questi numeri appaiono ancora più impressionanti se analizzati in base alle aree geografiche cui fanno riferimento. Nel Nord del Paese il numero degli indigenti è passato da 797.939 a 987.042 (+23.7%); al Centro da 537.068 a 669.163 (+24.6%); al Sud da 931.571 a 1.347.706 (+ 44.7%); nelle Isole da 496.771 a 682.562 (+37.4%). E se tutto il Meridione registra tassi altissimi di indigenza in rapporto con la popolazione residente, la maglia nera di questa triste classifica spetta indubbiamente alla Campania, che registra il livello più alto del Paese con una media di 13.643 indigenti ogni 100.000 abitanti (Agea, 2013).
La “questione alimentare”, inoltre, non si esaurisce nel problema dell’accesso al cibo per i più poveri, ma ha implicazioni che interessano l’intera società. Food Policies innovative possono favorire la riduzione degli sprechi re-impiegando lo stock di prodotti non più commerciabili (prodotti prossimi alla scadenza, confezioni danneggiate, eccedenze) delle aziende, che possono tra l’altro trarre vantaggio dall’abbattimento dei costi di smaltimento in quanto spesso sono le stesse food banks che si occupano del ritiro della merce. Oltre che promuovere un consumo più “sano” – il cibo più “sicuro” e con alto valore nutritivo è generalmente più costoso – e sostenibile (pensiamo all’ascesa dei gruppi di acquisto solidale e degli orti cittadini) con evidenti benefici in termini economici ma anche di benessere per tutta la popolazione, non solo per quella indigente (a questo proposito si rimanda all’esperienza americana).
A maggior ragione nel Paese che ha fatto della “cultura del mangiar bene” la sua bandiera e dove l’industria alimentare, con 6.250 aziende con più di 9 addetti e un fatturato di 130 miliardi di euro, costituisce il secondo settore manifatturiero, nonché uno dei pochi che resiste alla crisi – nel primo semestre del 2013 l’export alimentare è cresciuto del 7,2% rispetto al primo semestre del 2012, nonostante il calo dell’export complessivo (– 0,4%) (Federalimentare, 2013).
Una contraddizione che da una parte rende il problema doppiamente grave, ma dall’altra racchiude in sé anche la soluzione, perché a differenza di tanti Paesi abbiamo già molti strumenti a disposizione che, se ben utilizzati, possono aiutarci a contrastare questo tipo di povertà: una produzione alimentare interna che significa costi più bassi (rispetto ai prodotti che vengono importati) e un bacino più ampio di eccedenze da re-impiegare; una cultura agricola e una disponibilità e qualità di superficie coltivabile in grado di favorire l’autoproduzione; un capitale sociale che, come vedremo nei prossimi mesi, anche grazie ad esperienze e iniziative di secondo welfare può creare reti efficienti di sostegno agli indigenti.
Riferimenti
Rapporto Croce Rossa sulla crisi in Europa
Bandera L., Lodi Rizzini C. (2013), "Povertà alimentare e secondo welfare: i supermercati sociali", Quaderni di Economia Sociale 3/2013. Disponibile al qui
I nostri approfondimenti sulla povertà alimentare
Allarme Italia: è emergenza alimentare
Verso un fondo europeo di aiuto agli indigenti
Stati Uniti: quale futuro per i food stamp?
Food banks, l’allarme che arriva dalla Germania
Modena: nasce Portobello, un "market di comunità" contro la povertà alimentare
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