Si è svolto l’11 aprile a Parma il convegno “Nuovi poveri: la crisi e le capacità di risposta”, promosso dalla rete Volontari per il lavoro e dall’Università di Parma, col patrocinio della Regione Emilia Romagna, della Provincia e del Comune di Parma. Scopo dell’iniziativa, conoscere i nuovi poveri e capire come riformare le risposte sociali al fine di poterli includere e aiutare in modo efficace.
Che la povertà in Italia sia drasticamente in aumento è ormai chiaro per tutti, come rivelano gli innumerevoli dati che vengono trasmessi ormai quasi quotidianamente. Ma chi sono i poveri oggi? Capirlo è fondamentale, al fine di potere implementare politiche di contrasto veramente efficaci. I nuovi poveri non sarebbero soltanto il prodotto della crisi economico-finanziaria, ma anche dei cambiamenti dell’intero sistema produttivo – e, conseguentemente, dei rapporti di lavoro – avvenuti negli ultimi decenni. Cambiamenti che hanno “sregolato” il mercato del lavoro tradizionale determinando lo sviluppo di un ceto medio composto da tanti “piccoli imprenditori di sé stessi”, sempre più atipici e frammentati, che il nostro sistema di protezione sociale, basato invece ancora su un modello tradizionale e poco flessibile, ha progressivamente escluso. La destrutturazione dei luoghi di lavoro inoltre, delocalizzando i lavoratori, li avrebbe dispersi compromettendone, così, la capacità di associarsi e costruire un’adeguata advocacy affinchè il sistema potesse essere riformato in modo più inclusivo.
Cambiamenti che hanno finito per compromettere lo stesso ruolo del lavoro, da strumento di emancipazione attraverso il quale l’individuo realizza se stesso e migliora il proprio posto nella società, ad un “espediente di sopravvivenza temporaneo” che non consente di realizzare una completa autonomia della persona. Non a caso parliamo oggi di working poor, cioè di persone che pur lavorando non riescono a sopravvivere a causa della bassa qualità, della durata o della scarsa remunerazione della propria occupazione.
Non solo. Le nuove povertà presentano un’importante aspetto per cui differiscono dalle povertà tradizionali: i nuovi poveri sono come dei “treni che sono stati bloccati durante la corsa” e non hanno potuto realizzare le proprie aspettative. Il binomio lavoro-autonomia non è più certo, così come non lo è più quel sistema di lavoro che si fondava su avanzamenti di posizione lineari. Cosa fare, quindi, di una persona che dopo 15-20 anni si ritrova senza niente, proprio a metà del proprio percorso? Un problema, quello delle aspettative, particolarmente evidente per le nuove generazioni, per le quali il ciclo studio-lavoro-autonomia non è scontato come in passato. Anzi, molti “nuovi poveri” sono laureati che hanno ricevuto un’ottima formazione ma, conclusi gli studi, non trovano un’adeguata – o nessuna – collocazione nel mercato del lavoro, finendo per sprecare anni di investimenti.
Si tratta quindi di soggetti profondamenti diversi rispetto alla definizione che si dava alla povertà fino a pochi anni fa. Sono persone spesso istruite, provenienti dal ceto medio, con capacità, competenze ed alti profili culturali, che non possono quindi essere tutelate con le politiche assistenziali tradizionali. Persone che non necessitano di assistenza o supporto psicologico per fragilità, ma di aiuti concreti, come sottolineato dall’Assessore alle Politiche Sociali del Comune di Parma Laura Rossi, e soprattutto di opportunità.
Ma come si esce da questa situazione, considerato che lo Stato ha sempre meno risorse? Il grande errore, come ha sottolineato Giovanni Battista Sgritta, docente dell’Università La Sapienza di Roma, è stato non aggredire la povertà – i cui numeri sono in realtà sempre stati piuttosto alti nel nostro Paese – quando ancora si avevano le risorse per produrre una politica strutturale di contrasto alla povertà veramente efficace, mentre la riforma si impone oggi che lo Stato è sovraccarico di problemi e sempre più povero di risorse, sia finanziarie che umane. Cinque in particolare sono i problemi cronici del nostro Paese che devono essere affrontati: trasmissione intergenerazionale della povertà (il 50% dei poveri rimane tale da una generazione all’altra); scarsa redditività dei titoli di studio; variabilità della povertà a livello territoriale, con alta concentrazione nelle regioni del Sud; modello di welfare state che “scarica” buona parte dell’assistenza sulle famiglie ma che, paradossalmente, investe pochissimo sulle politiche familiari; scarsa riduzione del livello di povertà prima e dopo l’intervento pubblico.
Universalmente condivisa ormai è l’idea che si debba fare rete, unire sforzi e risorse di tutti: Stato, terzo settore, volontariato, ma anche degli stessi beneficiari, la cui corresponsabilizzazione è un concetto sempre più diffuso. Come ribadito dall’Assessore alle Politiche Sociali della Regione Emilia Romagna, Teresa Marzocchi, si devono seguire due strade: promuovere il welfare generativo, capitalizzando e mettendo a sistema tutti gli interventi virtuosi presenti sui territori; essere reattivi ai cambiamenti, adeguando le risposte pubbliche alle nuove istanze sociali. Una sfida che impone non solo di rispondere all’improduttività, ma anche alla precarietà, includendo quelle nuove categorie di poveri che il nostro sistema tradizionale è incapace di accogliere e aiutare.
Riferimenti
Volontari per il lavoro, un progetto contro la crisi, La Gazzetta di parma, 9 aprile 2013
I nostri approfondimenti sul tema delle nuove povertà
Crescono povertà e ineguaglianze: l’Europa fa abbastanza?
Il progetto Sicis del Comune di Novara: intervista all’Assessore Augusto Ferrari