Il bando del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali sulla sperimentazione sociale
Intervista all’Assessore alle Politiche Sociali del Comune di Novara Augusto Ferrari
Il bando del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali sulla sperimentazione sociale
Il 28 ottobre 2011, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha emanato una direttiva per la “presentazione di proposte progettuali finalizzate alla sperimentazione sociale nell’ambito delle politiche di contrasto alla povertà, della tutela dei minori, della non autosufficienza e del sostegno all’invecchiamento attivo”. L’iniziativa è nata nel contesto del Libro Bianco “La vita buona nella società attiva” e si ispira quindi ad un modello sociale in cui si riconosce alla comunità la responsabilità diffusa per la prevenzione e il contrasto alla povertà e per l’attivazione di processi di inclusione attiva: «il modello sociale a cui fare riferimento poggia su azioni di prevenzione delle condizioni di bisogno, ossia su interventi che evitino il formarsi del bisogno in tutte le fasi della vita, riservando un ruolo primario al volontariato, all’associazionismo sociale e alle reti di sostegno più prossime alle condizioni dell’individuo e delle famiglie, nel rispetto del principio di sussidiarietà» (nei riferimenti). La direttiva si ispira anche alla cornice europea, rappresentata dalle iniziative della Commissione europea sui temi della coesione sociale, confluite negli “Anni europei” (“della lotta alla povertà e all’esclusione sociale” del 2010, “delle attività di volontariato che promuovono la cittadinanza attiva” del 2011 e “dell’invecchiamento attivo e della solidarietà intergenerazionale” del 2012).
Sulla base di questi presupposti, il bando ha inteso promuovere progetti di sperimentazione, di iniziativa dei Comuni e con il necessario coinvolgimento del Terzo settore. Le quattro aree individuate sono:
a) il contrasto alla povertà e all’esclusione sociale, con particolare riferimento a interventi di inclusione attiva rivolti ai gruppi maggiormente vulnerabili, quali le persone senza dimora, le famiglie povere numerose o monoparentali, gli anziani soli;
b) la tutela dei minori nelle famiglie più in difficoltà, con particolare riferimento al sostegno alla genitorialità e alle azioni volte a prevenire l’allontanamento dei minori dalla famiglia di origine o, perlomeno, a costruire percorsi alternativi al ricovero;
c) il sostegno all’invecchiamento attivo e alla solidarietà tra generazioni, con particolare riferimento all’incentivazione del volontariato, da parte e a favore degli anziani, e della partecipazione attiva alla vita sociale ai fini dell’invecchiamento sano e dignitoso;
d) le persone con disabilità o non autosufficienti, con particolare riferimento all’offerta di interventi e servizi per la presa in carico personalizzata, favorendo la permanenza a domicilio e in ogni caso l’appropriatezza dell’intervento, e con la programmazione degli interventi sociali integrata con la programmazione sanitaria, anche valorizzando il lavoro di cura delle famiglie.
Nell’Avviso pubblico del 28 ottobre sono state definite le risorse finanziarie messe a disposizione e si è proceduto a definire la natura dell’ “approccio sperimentale” richiesto ai progetti ed i criteri di valutazione delle proposte (nei riferimenti). Molto interessante è la previsione di una “Cabina di Regia”, presso il Ministero, per la condivisione degli strumenti e delle metodologie, del monitoraggio in itinere delle attività realizzate e dell’analisi dei risultati raggiunti. La Cabina è così composta:
– rappresentanti del Ministero del Lavoro, Direzione Generale per l’inclusione e le politiche sociali;
– rappresentanti dei Comuni ammessi a finanziamento, nonché dei partner scientifici dei progetti e di altri enti incaricati o coinvolti per la realizzazione degli stessi;
– rappresentanti della Commissione degli Assessori alle politiche sociali della Conferenza delle Regioni e Province autonome, nonché delle Regioni di appartenenza dei Comuni ammessi a finanziamento;
– rappresentanti dell’ANCI.
La graduatoria finale dei progetti è stata approvata con decreto il 31 gennaio 2012 (nei riferimenti).
Il progetto Sicis (Sistema Città per l’Inclusione Sociale) del Comune di Novara si è classificato al primo posto tra i 597 presentati al Ministero, superando tra l’altro le progettualità di città ben più grandi, come Firenze, Bologna e Genova.
Il progetto, presentato nell’area “inclusione sociale e contrasto alla povertà”, prevista nel bando ministeriale, rappresenta un esempio interessante di innovazione sociale nell’ambito del welfare locale, avendo definito un efficace processo di coinvolgimento del Terzo settore nella predisposizione di interventi sperimentali di risposta ai bisogni sociali. Sicis si basa infatti su di una rete territoriale di soggetti pubblici e privati che contribuiscono con risorse economiche ed umane a definire piani individualizzati di intervento sul disagio sociale.
Gli obiettivi dei responsabili del progetto sono i seguenti:
– un approccio alla problematica che ponga al centro del modello l’obiettivo dell’inclusività e non dell’assistenza, favorendo comportamenti proattivi da parte dei beneficiari degli interventi;
– l’utilizzo, nell’approccio agli utenti, dello strumento dei piani di intervento personalizzati (PIP) rivolti alle singole famiglie, definiti e sottoscritti da operatori ed utenti, con obiettivi e azioni condivise;
– un ampio coinvolgimento degli attori del terzo settore, con un efficace scambio di informazioni e condivisione dei progetti, che identifichi ruoli e responsabilità;
– una ottimizzazione delle risorse economiche, professionali e strutturali che riduca gli sprechi e le disfunzionalità;
– una misurazione scientifica dei risultati conseguiti.
Il progetto, che avrà durata di 18 mesi e si rivolge ad un target di 30 famiglie in condizioni di bisogno, mira a convogliare le risorse economiche del finanziamento ministeriale, del cofinanziamento comunale e dei privati in un fondo civico (“Fondo civico di sostegno economico”) che verrà gestito dalla Fondazione Comunità del Novarese. Il fondo permetterà di erogare ai destinatari aiuti economici sulla base di un percorso di inclusione sociale che prevede l’attivazione dei soggetti in lavori di volta in volta individuati – rispetto al caso familiare – dalle associazioni di volontariato e dal supporto esperto del Centro per l’impiego della Provincia di Novara. L’obiettivo è, da un lato, sostenere gli individui a rischio di esclusione sociale (spesso con minori a carico) a riqualificarsi professionalmente, e, dall’altro, a definire tramite il fondo civico nuove ed efficienti modalità di collaborazione tra autorità pubbliche e Terzo settore.
La rete territoriale dei partner del progetto è da questo punto di vista cruciale:
– l’Università degli Studi di Trento, a cui è affidato il compito della misurazione scientifica dei risultati in base alla quale sarà possibile verificare l’impatto che avranno avuto le azioni sugli utenti e sul territorio e trasformare in procedure standard le azioni più efficaci;
– la Fondazione Comunità del Novarese, che gestirà il nuovo “Fondo civico di sostegno economico” che sarà presentato in maniera più specifica nel prossimo mese di settembre, e che sarà l’architrave economica della sperimentazione;
– la Provincia di Novara che metterà a disposizione del progetto le informazioni e gli strumenti per la verifica della situazione lavorativa delle persone prese in carico e sarà un fondamentale supporto per l’individuazione delle opportunità formative e professionalizzanti per operatori ed utenti;
– la Caritas Diocesana, che attraverso i centri di ascolto rappresenta una fondamentale antenna sul territorio cittadino. Attraverso il progetto sarà possibile stabilire un legame più stretto con i servizi sociali, sia per lo scambio di informazioni sugli utenti che per la realizzazione degli interventi di supporto;
– le associazioni di volontariato, che si raccolgono attorno al CSV e al coordinamento del volontariato socio-sanitario, che potranno entrare nel progetto supportando la realizzazione delle diverse azioni previste, dando opportunità di lavoro ai destinatari dei voucher, contribuendo a mettere a sistema le diverse iniziative presenti sul territorio per migliorarne l’efficienza complessiva.
L’obiettivo dei prossimi mesi è quello di fare entrare il progetto nella sua fase operativa, attraverso incontri con i soggetti della rete territoriale in vista dell’inizio della sperimentazione nell’autunno del 2012.
Intervista all’Assessore alle Politiche Sociali del Comune di Novara Augusto Ferrari
1) Ci può dare un quadro della situazione nel territorio di Novara rispetto ai temi dell’inclusione sociale e della lotta alla povertà, attorno ai quali ruota il progetto Sicis e del perché è stato scelto questo ambito di intervento in particolare?
Io sono assessore da dieci mesi e il primo problema, forse il più rilevante, con cui mi sto confrontando è dato dai processi di impoverimento legati prevalentemente alla perdita del posto di lavoro. Si tratta di fenomeni preoccupanti, che stanno toccando un’area del sociale fatta di famiglie, soprattutto quelle con figli minori a carico, che fino a pochi anni fa non si erano mai rivolte ai servizi sociali. Quindi questo è il dato secondo me più rilevante con cui bisogna fare i conti. I segnali erano già presenti nel 2009-2010, ma il 2011 è stato veramente l’anno dello svelamento di questa situazione di crisi del tessuto economico e sociale. Accanto alla povertà conosciuta, ormai cronica, nei confronti della quale i servizi sociali già si muovevano con una certa agilità, abbiamo dovuto fare fronte a questa situazione relativamente nuova di famiglie del ceto medio che a seguito dell’evento traumatico della perdita del posto di lavoro sono diventati protagonisti di processi di impoverimento che si sono manifestati specialmente con l’incapacità di fare fronte alle spese della vita quotidiana. Tra queste spese, quella che meno riesce oggi ad essere sostenuta è l’affitto della casa. Le do una cifra: nel 2011 sono state avviate, nella sola città di Novara, più di 800 procedure di sfratto.
Novara è una città che ha una storia industriale, ha avuto infatti nella seconda metà del Novecento uno sviluppo industriale e manifatturiero molto significativo. Ciò ha garantito alla città decenni di benessere economico e la capacità di fare un lavoro di integrazione nell’ambito dei processi migratori, prima dal Sud e poi dai paesi extracomunitari. Nel momento in cui il tessuto produttivo ha iniziato ad indebolirsi, fino ad arrivare recentemente ad una situazione di “desertificazione”, i problemi sociali sono esplosi. Questo è il dato con cui abbiamo dovuto fare i conti in questi mesi.
2) Può descriverci la genesi del progetto Sicis?
Quando mi sono insediato nell’assessorato, nel giugno del 2011, ci siamo subito messi a ragionare attorno ai temi della povertà generata dalla crisi economica. Ci rendevamo sempre più conto del fatto che gli strumenti tradizionali – prevalentemente legati all’assistenza economica, intesa come erogazione monetaria una tantum – non potevano più rispondere a tutti i problemi emergenti. In particolare, nel corso del 2011 l’esplosione delle richieste di contributo economico e la parallela drastica riduzione dei finanziamenti agli enti locali hanno reso impossibile coprire tutte le domande: 288 richieste non sono state soddisfatte. Si tratta di numeri importanti.
Invece di arrenderci di fronte alla limitatezza delle risorse per fare fronte ai drammatici problemi emergenti, abbiamo cominciato a pensare a strumenti innovativi che si potessero affiancare a quelli tradizionali. Proprio in questa fase di elaborazione abbiamo scoperto la pubblicazione del bando del Ministero, così, con l’aiuto dei tecnici e dei funzionari del Comune abbiamo costruito un progetto che potesse concorrere per il finanziamento. Tra i settori di intervento possibili abbiamo scelto senza esitazione quello dell’inclusione sociale e del contrasto alla povertà. Degli oltre 600 progetti presentati, solo 7 sono stati finanziati e quello di Novara si è posizionato al primo posto.
3) Quali sono le caratteristiche principali di questo progetto sotto il profilo della partnership tra ente pubblico e Terzo settore? Sembrerebbe infatti, dall’impalcatura complessiva del progetto, che si giunga al superamento di uno dei principali nodi critici che negli ultimi vent’anni ha caratterizzato questo rapporto nell’ambito delle politiche sociali, e cioè il coinvolgimento delle organizzazioni della società civile nella sola fase erogativa, senza un effettivo ruolo nella progettazione. Siamo al superamento di questo modello?
Diciamo subito che il progetto nasce all’interno dei servizi sociali del Comune di Novara ma da subito si è posto alla ricerca di partner per fare un vero lavoro di rete. Era necessario trovare alleanze sul territorio nel rispetto della specificità e delle competenze di ciascuno. Il Comune si è quindi ritagliato, in questo senso, un ruolo di governance del processo. Voglio chiarire che noi ci proponiamo in questo ruolo non perché riteniamo di essere i più bravi ma perché riteniamo che il pubblico sia chiamato a questa funzione di garanzia.
Nella rete ci sono diversi attori, per esempio i Centri di ascolto della Caritas di Novara, che sono le “antenne” sui bisogni della popolazione nella loro immediatezza, cioè non appena si manifestano. Poi c’è il Coordinamento delle associazioni socio-assistenziali, che è un coordinamento provinciale in grado di tenere insieme la pluralità delle realtà del volontariato novarese. C’è poi il CSV che da un supporto cruciale alle istituzioni del volontariato. Anche la Provincia di Novara dà il proprio contributo esperto attraverso il centro per l’impiego.
Da tempo si è diffuso a livello locale un meccanismo vizioso per cui il Terzo settore fa da “supplenza” al pubblico e il punto di arrivo dell’interazione tra pubblico e organizzazioni della società civile diventa l’erogazione monetaria. Questo meccanismo crea dipendenza e alimenta un assistenzialismo nel senso deleterio del termine, perché la richiesta di trasferimenti economici viene alimentata in modo completamente avulso da qualsiasi processo di inclusione sociale. Questo tipo di processi non solo non è più sostenibile economicamente da parte del pubblico, a causa dei tagli ai fondi comunali, ma anche il Terzo settore ne è risultato indebolito. Gli stessi Centri di ascolto non reggono più questi meccanismi. L’effetto più preoccupante è del resto il senso di deresponsabilizzazione degli operatori e degli utenti.
Questo è uno stato delle cose che vogliamo superare non in modo ideologico, bensì attraverso la pratica, cioè attivando dei processi sperimentali che dovranno essere accuratamente monitorati e valutati.
4) Ci può parlare della Fondazione Comunità del Novarese e del “Fondo civico di sostegno economico”, che hanno un ruolo cruciale nello sviluppo del progetto Sicis?
La Fondazione Comunità del Novarese è una “fondazione civica” che ha lo scopo di raccogliere contributi economici. È un collettore di risorse del territorio che si differenzia dalle fondazioni bancarie. Si tratta di una sperimentazione importante, perché riflette la volontà della comunità di dotarsi di un fondo costituito con risorse pubbliche e private. La Fondazione avrà in gestione il “Fondo civico di sostegno economico” su cui si basa il progetto Sicis. Questa è una delle caratteristiche più significative del progetto e risponde ad un’esigenza forte di razionalizzazione e di finalizzazione delle poche risorse disponibili per il sociale.
Proviamo a pensare: oggi, da un lato c’è il comune che eroga contributi una tantum per fare fronte a situazioni di difficoltà; poi ci sono i Centri di ascolto, che mettono risorse nelle proprie iniziative; a questa cornice si aggiungono tutti gli altri interventi autonomi attuati dalle associazioni di volontariato sul territorio.
Questo stato delle cose favorisce la frammentazione, così abbiamo immaginato alla base del progetto Sicis la costruzione di un fondo civico, il cui impiego è condizionato al coordinamento degli interventi. Questo sistema esclude il meccanismo inefficiente dei finanziamenti a pioggia e spinge invece verso la finalizzazione degli interventi.
In questo sistema le assistenti sociali hanno il compito di elaborare dei progetti individualizzati – sulla base della segnalazione dei bisogni fatta anche dal Terzo settore – per i quali sono erogati specifici contributi. Dove è possibile si interviene con lo strumento del microcredito, in altri casi con il voucher di lavoro. Quest’ultimo funziona nel modo seguente: sulla base del progetto individualizzato, cioè ritagliato sui bisogni effettivi della persona, viene costituito un vero e proprio “patto di inclusione sociale” tra l’operatore pubblico e l’utente: da un lato l’operatore si impegna a ad erogare il contributo, dall’altro l’utente mette a disposizione alcune ore del suo tempo in un lavoro individuato con il contributo orientativo della Provincia o delle associazioni di volontariato.
È importante sottolineare questo principio, rispetto alla gestione del fondo, e cioè che è l’assistente sociale a chiedere alla Fondazione, sulla base di ciascun patto di inclusione sociale, l’erogazione del contributo, nella sua fondamentale funzione di garanzia rispetto alla presenza del pubblico in questi delicati processi di contrasto alla povertà.
5) A suo parere, questo tipo di strumenti innovativi potrebbe sostituirne altri, come ad esempio i piani di zona, la cui elaborazione in questi anni ha scontato varie difficoltà sotto il profilo del coinvolgimento del Terzo settore?
Io sono un fautore del Piano di Zona perché lo ritengo a livello di principio molto utile e molto innovativo, ma è stato praticato in modo poco efficace, divenendo spesso uno strumento incapace di programmare e di definire obiettivi perseguibili per le comunità e risolvendosi in un’occasione di lamentele o di costruzione di scenari troppo generici per essere declinati nella pratica. Il mio obiettivo è di inserire la modalità di intervento alla base del progetto Sicis nel piano di zona in costruzione, in modo che lo stesso possa giovarsi di questa sperimentazione di innovazione sociale. Ritengo tuttavia che in questa fase complessa continueranno a convivere vecchi e nuovi strumenti e che solo il tempo, attraverso una seria attività di monitoraggio e di valutazione, potrà dirci qual è la strada migliore da continuare a percorrere. Questa visione si basa sull’idea che debbano essere evitate forzature ideologiche e che si debba invece fare spazio all’analisi sul campo.
6) Anche alla luce dell’iniziativa del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali che ha visto il successo del progetto Sicis, quale pensa debba essere il ruolo dello Stato rispetto a questi processi locali di innovazione sociale?
La nostra storia è quella di uno stato sociale che si è identificato con le istituzioni. Poi, nel tempo, questo welfare molto statalista ha cominciato ad aprirsi anche alle realtà del Terzo settore. Vedo una fase molto delicata e ricca di contraddizioni ma mi pare evidente che il welfare è la parte delle politiche pubbliche che più è stata colpita, negli ultimi anni, dai tagli. Sembra venuta meno la volontà di porre le politiche sociali al centro dell’agenda politica, cosa che non era fino a 15 anni fa, con la legge 328/2000, che pur con qualche limite, era stata il frutto di un investimento culturale e di risorse. Lì il tema del welfare, declinato nel sistema integrato dei servizi sul territorio, era al centro del progetto politico. Questa volontà non c’è più e vedo il rischio che i continui tagli possano produrre l’esito di politiche pubbliche senza politiche sociali.
Poi ci sono queste iniziative di innovazione sociale, che aprono dei varchi positivi in termini di innovazione. Ritengo che, seppur inevitabili, i tagli non debbano risolversi nel puro e semplice “regresso” del pubblico rispetto alla governance dei processi di inclusione sociale, che necessitano – è lo stesso Terzo settore a chiederlo – di una capacità delle istituzioni di aggregare i soggetti presenti sul territorio attorno ad obiettivi condivisi. Il welfare territoriale per potersi sviluppare in una virtuosa dimensione innovativa ha bisogno di risorse pubbliche e il progetto Sicis ne è un esempio.
Direttiva 28 ottobre 2011 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali
Avviso pubblico del 28 ottobre 2011 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali