Partito lo scorso 2 settembre, il Sia si rivolge a famiglie in condizioni disagiate in cui è presente un minore, un figlio disabile o una donna in stato di gravidanza accertata. Questa misura prevede l’erogazione di un beneficio economico condizionato all’adesione a un progetto personalizzato di attivazione sociale e lavorativa di competenza degli enti locali.
Per accedere al SIA il nucleo familiare deve presentare alcune caratteristiche (qui elencate) ed essere sottoposto a una valutazione multidimensionale del bisogno, che tiene conto dei carichi familiari, della situazione economica e di quella lavorativa. Per il primo anno, le risorse destinate alla parte passiva del SIA (ovvero al trasferimento economico) sono pari a 750 milioni. A queste risorse si aggiungono quelle provenienti dal Fondo Sociale Europeo (circa 1,2 miliardi di euro) cui possono accedere i Comuni per realizzare i progetti personalizzati.
Con un comunicato diffuso lo scorso dicembre, il Collegamento Italiano di Lotta alla Povertà (CILAP), sezione italiana dell’European Anti Poverty Network (EAPN), ha posto l’attenzione sui risultati deludenti che l’implementazione del Sostegno all’Inclusione Attiva sta ottenendo. Per approfondire la questione ne abbiamo discusso con Nicoletta Teodosi, presidente del Cilap-Eapn.
Può spiegarci in che modo il Cilap raccoglie le informazioni sull’implementazione del SIA?
Noi disponiamo delle informazioni provenienti dalle organizzazioni associate che lavorano direttamente con i territori. Cilap-Eapn è infatti un collegamento di associazioni di promozione sociale, di cooperative sociali, di volontari singoli e di organizzazioni di volontariato e raggruppa prevalentemente realtà che insistono nel centro sud del paese. In sostanza i nostri associati funzionano da antenne e ci riportano quello che accade nei territori. Personalmente poi sono responsabile del SIA in un ambito territoriale e coordino un ufficio di piano in Provincia di Roma (territorio di Cerveteri e Ladispoli).
Il comunicato diffuso lo scorso dicembre ha sottolineato che i nuclei con un solo figlio sono di fatto esclusi dalla misura. Tenuto conto che il Sia nelle intenzioni iniziali mirava a raggiungere questi nuclei, può spiegarci le ragioni di questa esclusione?
Per accedere al Sia, bisogna possedere una serie di requisiti (relativi ad esempio all’Isee fino a 3.000, al mancato possesso di beni durevoli e di valore) e raggiungere un punteggio pari a 45. Questo punteggio tiene conto dei carichi familiari, della condizione economica e di quella lavorativa. Il numero di figli in questo modo diventa dirimente. Tenga conto che un nucleo con due figli ottiene 10 punti, se i figli sono tre 20, se sono quattro 25. Se il figlio ha meno di tre anni si ottengono ulteriori 5 punti. Se il figlio è uno solo e ha più di tre anni non è attribuito nessun punto. In questo modo, i nuclei con un figlio solo, specie se ha più di tre anni, sono spesso tagliati fuori.
Al termine della prima sperimentazione del SIA (Nuova carta acquisti), in molti comuni, parte dei fondi disponibili sono rimasti inutilizzati. Si corre il rischio che questo accada di nuovo? La misura, nelle intenzioni iniziali, doveva raggiungere circa un milione di persone. Senza avere dati certi (sappiamo solo che al 12 gennaio 2017 sono state raccolte 233.321 domande) e quindi ragionando solo sulle impressioni, sembra però difficile raggiungere questi numeri. Nel mio territorio, su 126 domande solo 41 sono state accettate e le assicuro che abbiamo lavorato molto affinché queste domande potessero avere esito positivo. Al momento, possiamo stimare che le domande rifiutate oscillino fra il 40% e l’80%.
Su questo punto ci tengo poi a precisare che, a mio avviso, si parla troppo facilmente di dichiarazioni mendaci. Il modulo di domanda è così complesso che il rischio di errore è alto e questo vale non solo per i richiedenti ma anche, purtroppo, per gli operatori che dovrebbero essere adeguatamente formati e che invece si formano esclusivamente “on the job”.
In questa fase, quali sono le principali difficoltà di gestione della misura?
L’accesso e l’utilizzo della piattaforma Inps per il caricamento delle domande è piuttosto complesso. In primo luogo bisogna disporre di un PIN che non è unico per tutto il comune ma è personale per ciascun operatore. Solo per far sì che tutti gli operatori disponessero di un Pin, in molti casi ci è voluto più di un mese. In più, la piattaforma è evidentemente troppo complicata e gli assistenti sociali non riescono a gestirla agevolmente. In sostanza, la piattaforma dell’Inps ha creato numerosi problemi non solo per il codice di accesso ma anche per l’inserimento dati.
Inoltre, a settembre, la piattaforma Inps non prevedeva ancora la verifica relativa al possesso delle auto. Di fatto sono quindi state inserite delle domande senza che questa verifica fosse ancora possibile. Bisogna poi considerare che per questo tipo di verifica, il richiedente deve portare la fotocopia del libretto di circolazione, la quale viene consegnata ai vigli che accedono al Pubblico Registro Automobilistico (Pra). A quel punto i comuni devono aspettare una risposta. Peraltro, in alcuni comuni l’accesso al Pra non è gratuito ma deve essere pagato dalle amministrazioni comunali.
Infine, un altro punto importante riguarda l’impossibilità di correggere la domanda in corso d’opera e quindi di intervenire su eventuali errori effettuati durante il caricamento. Per quella che è la procedura oggi, nel momento in cui si protocolla la domanda, non è più possibile intervenire. In caso di errore, l’unica strada percorribile è annullare la domanda e rifarla da capo. In questo caso però è necessario che la domanda sia presentata da un altro membro del nucleo, la medesima persona non può infatti presentare domanda più di una volta.
Il Cilap come valuta il ricorso ai fondi europei per il potenziamento della rete dei servizi territoriali?
Senza il supporto economico che verrà dal PON inclusione e quindi dall’Europa, i servizi sociali non sono in grado di operare per realizzare i progetti personalizzati. Anche se si tratta di fondi per loro natura sperimentali, dobbiamo considerare che coprono ben sei anni di implementazione dei servizi. Per i prossimi sei anni quindi i servizi sociali hanno la possibilità di incrementare il proprio personale. I fondi saranno infatti utilizzati soprattutto per l’incremento del personale (perlopiù assistenti sociali) che potrà essere realizzato attraverso la predisposizione di contratti a tempo determinato, contratti co.co.co oppure attraverso convenzioni con cooperative sociali in un’ottica di esternalizzazione.
I fondi disponibili vanno dai cinquanta agli ottanta mila euro all’anno per ciascun ambito territoriale. Possiamo allora stimare che gli ambiti potranno disporre di due unità di personale in più che non ricadranno sui budget comunali. Le risorse così investite tra l’altro non andranno a incidere sul patto di stabilità dato che i fondi comunitari sono fuori dal patto. Mi sembra quindi che si tratti di una grande opportunità per riqualificare il lavoro dei servizi sociali.
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