L’articolo che segue è parte di “Allargare lo sguardo sulla conciliazione”, dispensa che raccoglie approfondimenti tematici per i partecipanti del modulo formativo “Rinnovare le RTC: reti e nuove logiche per innovare i servizi locali” realizzato da WorkLife Community.

Fare da caregiver è tutt’altro che semplice. In un’economia europea che ha da sempre spinto verso un modello dual-earner dual-carer1, le donne comunque continuano a scontare maggiormente il peso di queste scelte e a sobbarcarsi maggiori responsabilità di cura. Quali sono, dunque, le strategie e le figure professionali che possono essere introdotte dalle imprese per sostenere quei/quelle dipendenti che oltre a svolgere compiti di cura vogliono mantenere il proprio ruolo attivo nel mercato del lavoro?  

La sfida dell’invecchiamento

Secondo un’indagine ISTAT (2019), nel 2018 erano complessivamente 12.746.000 le persone tra i 18 e i 64 anni che si prendevano cura di figli oppure di parenti malati, anziani o con disabilità. In altre parole, il 34,6% della popolazione italiana è coinvolto nel lavoro di cura; tuttavia, ancora oggi questo tende a rimanere un fenomeno apparentemente “invisibile” a causa del fatto che tende ad essere svolto in modo informale e in privato, ossia all’interno delle mura domestiche. 

I/le caregiver, infatti, sono quelle figure che, nell’ambito familiare e a titolo gratuito, si prendono cura di un congiunto non autosufficiente con impegno e in maniera continuativa. Sono 2.827.000 le persone che si prendono cura di familiari non autosufficienti con più di 15 anni. Di queste, la maggioranza è composta dagli anziani – che, si stima, tra il 2040 e il 2060 rappresenteranno il 33% del totale della popolazione italiana (v. figura 1).

Figura 1. Aumento della popolazione anziana in Italia (1960-2020; stime 2020-2060). Fonte: Istat (2020).
Figura 1. Aumento della popolazione anziana (65 e più anni) in Italia (dati storici 1960-2020; stime 2020-2060). Fonte: Istat (2020).

Le principali sfide connesse all’invecchiamento sono legate al fatto che un’aspettativa di vita più lunga non necessariamente si coniuga con una vita in piena salute: in Italia il 31% degli over 65 è non autosufficiente, contro una media europea che invece si attesta al 27%. Inoltre, aumentano le famiglie monocomponenti e monogenitoriali, così come quelle composte da coppie di anziani o anziani soli: questa tendenza va di pari passo con una crescente contrazione delle famiglie più numerose che prelude al rischio di povertà relazionale e di solitudine, in particolare per le persone anziane – già resa evidente ed esacerbata dalla pandemia da Covid-19.

Chi sono i/le caregiver?

In Italia, le donne rappresentano circa il 71% dei/delle caregiver familiari. Esse contribuiscono quotidianamente e in via principale al mantenimento psico-fisico dei propri genitori (67,2%), coniugi o compagni (7,5%), figli e figlie (18,8%), sottraendo tempo alle proprie attività per fornire assistenza e cure alle persone non autosufficienti, rinunciando anche a ruoli e posizioni lavorative di rilievo (Database Istat).

In questo scenario, la pandemia ha provocato una crescita delle necessità di assistenza di congiunti con disabilità e, quindi, un aumento del carico assistenziale per i/le caregiver. La gestione del carico di cura, di per sé resa più complessa dalle contingenti necessità sanitarie, si è andata a sommare – per i/le caregiver con un’occupazione – alla gestione dei tempi lavorativi, rendendo particolarmente difficile conciliare la vita privata (e le responsabilità di cura ad essa connesse) con quella lavorativa. 

Nel 2020, 1 donna su 4 (26%) aveva un impiego part-time a causa della necessità di svolgere lavoro di cura, mentre questa condizione riguardava solo il 6% degli uomini. Nel 2021, invece, quasi 1 donna su 3 ha dichiarato di non avere un’occupazione a causa delle responsabilità di cura contro il 9% degli uomini. In più, 6 donne occupate su 10 hanno subito qualche tipo di cambiamento nel proprio impiego a causa delle responsabilità di cura dei figli; lo stesso è stato dichiarato dal 17% per gli uomini (Eurofound 2021a). Alla luce anche di questi dati, possiamo vedere come le caratteristiche dell’occupazione femminile, condizionate da responsabilità di assistenza informale, determinino una parte consistente del divario occupazionale e retributivo di genere (EIGE 2022; Eurofound 2021b).

Figura 2. Tassi di occupazione per genere (%), EU 27, 2002-2019. Fonte: Eurofound, 2021.

Quali risposte da imprese e welfare aziendale?

Nel momento in cui i bisogni di cura espressi soprattutto dagli anziani spingono i/le caregiver a chiedere, a loro volta, maggiore e aiuto, il welfare aziendale può offrire un supporto importante nell’individuazione e nella fornitura di servizi di care e supporto.

Le aziende, infatti, possono avere un ruolo strategico nel supportare famiglie, lavoratori e lavoratrici caregiver, come già dimostrato durante l’emergenza sanitaria del biennio 2020-2021: secondo Welfare Index PMI (2022), tra le imprese che fanno welfare, le misure per il sostegno alla famiglia (figli e anziani) sono aumentate dal 17,7% al 26,6% tra il 2017 e il 2021. Secondo Confindustria, le aziende associate che erogano servizi e prestazioni per l’assistenza a familiari anziani e/o non autosufficienti sono il 3%. Diverse aziende, inoltre, hanno riformulato le proprie strategie di welfare aziendale per includere misure di sostegno per i dipendenti che svolgono attività di caregiver.

Lavoro di cura, genere e rapporti intergenerazionali: la necessità di un cambiamento profondo

Sembra sempre più evidente che il welfare aziendale può mettere al centro l’equilibrio tra vita lavorativa e personale, favorendo la definizione dell’impresa quale “caring company”, ossia una realtà attenta ai bisogni dei propri dipendenti e dunque impegnata nel miglioramento del loro benessere al fine di incrementarne non solo la produttività, ma anche la fiducia e la motivazione.

Risultano quindi in crescita sia le imprese che vogliono integrare i loro piani di welfare con iniziative dedicate alle/i caregiver, sia i provider specializzati nel fornire queste risposte. In questo senso è importante ricordare che le imprese devono mettere a disposizione dei dipendenti che espletano anche attività di caregiving una serie di servizi e benefit che li sostengano a tutto tondo e durante lo svolgimento delle attività quotidiane. Alcuni esempi:

  • Supporto alle famiglie nella ricerca e selezione personalizzata di assistenti familiari attraverso una valutazione attenta di contesto e bisogni, nonché attraverso la definizione di soluzioni con contatto diretto con i/le potenziali assistenti;
  • Sportelli psicologici, ovvero consulenza erogata da professionisti (ove possibile) impegnati all’interno dei servizi sociali del territorio, poiché questo favorirebbe la capacità di affrontare momenti di difficoltà psicologica quali: tensioni personali, periodi di demotivazione o stress, stati di disagio e di crisi;
  • Voucher (digitali) di assistenza e cura dei familiari anziani per sostenere i costi di servizi di badantato, prestazioni fisioterapiche o infermieristiche, case di cura e assistenza domiciliare, nonché assistenti e professionisti specializzati. Con i voucher, i provider offrono accesso a strutture convenzionate dell’intero territorio nazionale – in alcuni casi con possibilità di convenzionamento on demand;
  • Rimborsi delle spese sostenute per l’assistenza e la cura di un familiare anziano e/o non autosufficiente;
  • Momenti di formazione e sensibilizzazione rivolti ai/alle caregiver, al fine di orientarli nelle loro necessità. Tra questi possono rientrare anche servizi come la predisposizione di newsletter, webinar o podcast in cui coinvolgere professionisti che quotidianamente lavorano all’interno dei servizi educativi e socio-assistenziali, come OSS, educatori, psicologi, psicoterapeuti e pedagogisti.

Care Manager Aziendale: perché serve una nuova figura professionale

Alcune realtà aziendali si sono dotate di una nuova figura professionale, denominata Care Manager Aziendale. Grazie alla sua conoscenza accurata del tessuto sociale e al suo coinvolgimento nel coordinamento dei servizi alla persona, questa figura fornisce un servizio di accompagnamento personalizzato partendo dall’inquadramento dei bisogni del lavoratore e dei suoi familiari e facilitando il contatto con i servizi socio-assistenziali pubblici e privati del territorio che risultino più adatti a seconda delle singole circostanze. 

Conciliazione, servizi per anziani e supporto ai caregiver

Per ricoprire tale ruolo è fondamentale avere un profilo che abbia sviluppato delle competenze trasversali e che permettano al/alla Care Manager di: 

  • dialogare con cittadini/e, famiglie, lavoratori e lavoratrici, coglierne le necessità e individuare le risposte più appropriate;
  • supportarle nel processo di costruzione degli interventi di welfare (adattandoli ai fabbisogni del target di riferimento);
  • mantenere uno sguardo sul territorio di interesse per favorire risposte integrate.

È perciò necessario che questa figura abbia sviluppato specifiche competenze che vanno dall’ascolto all’analisi dei bisogni fino alla progettazione, alla realizzazione e, infine, alla valutazione degli interventi di welfare aziendale territoriale esistenti. Al/alla Care Manager Aziendale si richiede di saper:

  • strutturare pacchetti di servizi coerenti con i bisogni della popolazione di riferimento, andando anche oltre la mera scelta tra quelli già messi a disposizione dai provider tradizionali di welfare aziendale;
  • seguire il percorso necessario per rendere efficaci gli interventi nella sua interezza, dal principio al termine;
  • muoversi tra i servizi messi a disposizione dal pubblico e dal privato, ma anche essere in grado di trovarne di nuovi e di immaginare sinergie inedite, al fine di individuare le soluzioni migliori per “vincere” la sfida dell’invecchiamento;
  • valorizzare la dimensione territoriale, tessendo reti (e, ove possibile, filiere) locali che includano diversi attori: enti del Terzo Settore, parti sociali, enti bilaterali, imprese sociali, associazioni, enti pubblici ed anche attività commerciali.

Una sfida per il welfare territoriale

Accanto alle opportunità descritte il welfare aziendale presenta anche delle criticità. Si registra innanzitutto una tendenza del welfare aziendale a rispondere soprattutto ai bisogni più consolidati (come la salute e la previdenza). Inoltre ancora oggi nel nostro Paese permangono forti differenze nella sua diffusione territoriale, non solo tra Nord e Sud Italia, ma anche a seconda del settore produttivo considerato e della dimensione delle imprese – essendo diffuso soprattutto nelle multinazionali e nelle grandi imprese.

Questo quadro rischia di far aumentare la dualizzazione non solo tra aree territoriali, ma anche tra grandi e PMI. Queste ultime, infatti, spesso hanno una scarsa conoscenza del tema e una scarsa disponibilità di tempo; mancano di specializzazione funzionale, di rappresentanze sindacali e di economie di scala; ritengono che questi interventi abbiano un costo elevato e che siano legati a norme eccessivamente complesse. Per questi motivi, nonostante il sostegno ai/alle caregiver rappresenti un chiaro esempio di come la predisposizione di servizi (anche riguardanti la consulenza e l’orientamento di lavoratori e lavoratrici) sia sempre più cruciale e richiesto al welfare aziendale, sono ancora tantissime le aziende che si “limitano” a proporre fringe benefit all’interno dei loro piani di welfare, al fine di consentire di acquistare beni presso grandi catene di negozi. 

Come migliorare i sistemi di cura e prossimità grazie al PNRR

Tuttavia, il welfare aziendale è in grado di generare un chiaro impatto sociale quando integrato con il welfare pubblico, poiché può fornire risposte concrete ai nuovi bisogni sociali mettendo “al centro” un servizio vero e proprio. La cooperazione sociale, infatti, ha tutte le competenze per investire nella fornitura di servizi nel campo del welfare aziendale e nell’area del supporto ai/alle caregiver, generando così un’opportunità per rinnovarsi e ibridarsi, ampliare l’offerta di servizi, creare occupazione e ridurre la sua dipendenza dall’attore pubblico. In quest’ottica, il welfare aziendale può configurarsi come una nuova materia per il redesign dei servizi, divenendo una leva strategica non solo per la gestione aziendale, ma anche per i sindacati, al fine di garantire forme di protezione per lavoratori e lavoratrici e rivitalizzare la propria funzione di rappresentanza. Tutto ciò potrebbe essere realizzato passando da un allargamento del concetto di welfare per ricomprendervi non solo temi come la flessibilità oraria e il lavoro agile, ma sempre più servizi – anche per i prestatori di cura.

Questo cambiamento può avere successo per imprese, lavoratori e lavoratrici solo se fondato su una corretta lettura dei bisogni, che devono essere accompagnati da processi partecipati di costruzione dell’offerta – un’offerta che garantisca la qualità dei servizi forniti. Strategico risulta essere, dunque, il ruolo del Terzo Settore come fornitore, intermediario. Gli attori del sociale sono fondamentali anche per accompagnare ai servizi e per evitare di escludere porzioni consistenti del Mercato del Lavoro e del tessuto produttivo o di svilire il ruolo del welfare aziendale dipingendolo come uno strumento utile a un mera riduzione del cuneo fiscale.

 

Riferimenti bibliografici

Note

  1. Modello che prevede un accordo socio-economico in cui uomini e donne sono egualmente coinvolti (in modo simmetrico) sia nel mercato del lavoro che nel lavoro di cura. Approfondisci.
Foto di copertina: Engin Akyurt via Pixabay.