In materia di welfare aziendale e contrattuale sono in arrivo due importanti scadenze per diverse aziende italiane. La prima riguarda il Contratto Nazionale del comparto Metalmeccanico che, già dal 2017, ha introdotto l’obbligo di corrispondere ad ogni dipendente una quota da destinare a benefit e servizi previsti dall’articolo 51 e 100 del Tuir.
A partire da giugno 2018 tutte le imprese del settore – indipendentemente dal numero di addetti e dal territorio in cui si trovano – dovranno prevedere un aumento della quota destinata al premio in welfare. Rispetto agli attuali 100 euro è infatti previsto uno "scatto" a 150 euro, che saliranno poi a 200 euro nel 2019.
Ma il CCNL Metalmeccanico non è l’unico ad essere stato coinvolto da queste novità normative sul fronte welfare aziendale. Anche il Contratto Nazionale del settore Telecomunicazioni prevede infatti che dal 1° luglio 2018 tutte le aziende che si rifanno a tale CCNL dovranno erogare tassativamente 120 euro di beni e servizi welfare ai propri collaboratori.
La diffusione del welfare nella contrattazione di primo livello
La presenza di quote da destinare al welfare all’interno di contratti nazionali di settore sembra essere un fenomeno sempre più diffuso. Oltre al comparto Metalmeccanico e delle Telecomunicazioni, questa dinamica è presente nel CCNL valido per orafi, argentieri e gioiellieri. Inoltre, anche il recente rinnovo del CCNL Fipe (Pubblici Esercizi, Ristorazione Collettiva e Commerciale e Turismo) impone la definizione di un accordo integrativo tra le parti sociali sul Premio di Risultato da stipulare fra il 2018 e il 2021 e, in mancanza di tale accordo, l’erogazione di un elemento economico di garanzia di 140 euro destinabile a servizi di welfare aziendale.
Tale dinamica rappresenta una vera e propria opportunità per la diffusione del welfare aziendale nelle imprese italiane. Nei fatti, però, tale passaggio non è incisivo come forse immaginavano le parti nel momento della stipula dei CCNL. Nel concreto, infatti, molte aziende dei settori sopramenzionati si limitano ad offrire buoni sconto, buoni pasto e buoni carburante, i quali, pur rappresentando forme di “sostegno” alla retribuzione, hanno poco a che fare con il welfare che molti operatori del settore indicano come "nobile". Si tratta di un limite legato alla normativa che regolamenta il welfare aziendale, che non prevede una distinzione netta tra misure di natura sociale e altri benefit, ma in cui certamente pesa anche la volontà delle aziende di evitare eccessive complicazioni interne per dare attuazione a quanto previsto attraverso la contrattazione.
Ad ogni modo, rimane evidente l’opportunità offerta da queste nuove forme di welfare di natura contrattuale, che molto spesso rappresentano un primo stimolo ad investire in uno strumento capace di generare un importante ritorno per l’azienda e i suoi collaboratori. Come vi abbiamo mostrato attraverso alcuni nostri approfondimenti (come quello relativo a Ansaldo Energia e Siemens Italia), sono infatti molte le imprese che hanno scelto di introdurre articolati piani di welfare aziendale a seguito dell’obbligo previsto dal contratto di primo livello.
A sostenere tali realtà ci sono anche i provider di welfare aziendale, che – come vi abbiamo mostrato nell’analisi presente nel Terzo Rapporto sul secondo welfare in Italia – stanno realizzando un’offerta destinata a supportare le aziende nell’adempimento degli obblighi di welfare contrattuale.
In prospettiva futura, quindi, è auspicabile che tali iniziative siano intraprese anche in altri settori, in modo tale da veicolare e rafforzare la "cultura" del welfare nelle micro, piccole e medie imprese. Sono infatti queste ad avere maggiori difficoltà – soprattutto sotto il profilo organizzativo – nell’introduzione di progetti di welfare aziendale articolati, e perciò capaci di fornire risposte ai bisogni sociali dei lavoratori.