447,4 miliardi di euro: tanto spende lo Stato italiano per il welfare. Se si prendono in considerazione anche le spese dedicate ad esclusione sociale, famiglia e housing, oltre a costi di funzionamento degli enti che gestiscono le varie funzioni di welfare, il nostro Paese impiega su questo fronte il 29,9% del proprio PIL.
Su tali dinamiche si è concentrato il Terzo Rapporto sul secondo welfare, il documento biennale (2016-2017) curato dal Centro Einaudi. Dal quale emerge come oggi i canali di risposta aggiuntivi, nati in risposta alla forte pressione dei bisogni, rispetto a quelli pubblici, siano diventati veri e propri (nuovi) pilastri del welfare e più in generale del modello sociale italiano.
A cominciare da strategie e attività in materia di welfare messe in campo dalle associazioni datoriali verso le imprese, anche piccole e medie, che riguardano l’informazione (attraverso sportelli territoriali) sulle principali norme e regolamenti in materia. Per finire con proposte concrete di welfare, in genere su base locale. Passando, talvolta, attraverso i contratti collettivi. Dove l’inserimento di programmi di welfare potrebbe essere utile ad arginare uno dei limiti più evidenti del welfare aziendale così come pensato finora.
Il welfare passa dal contratto
Assinews.it, 27 novembre 2017