L’articolo 55 del Codice del Terzo Settore ha introdotto e normato i due istituti giuridici della co-programmazione e della co-progettazione (al centro anche del Sesto Rapporto sul secondo welfare, ndr) nei rapporti tra Pubblico e Terzo Settore. La co-programmazione si riferisce alle attività di lettura dei bisogni e alla definizione delle priorità di intervento da realizzarsi in collaborazione tra pubbliche amministrazioni e Terzo Settore, mentre la co-progettazione assume una dimensione più operativa di attuazione progettuale delle linee della co-programmazione da realizzarsi attraverso una condivisione di risorse tra Pubblico ed Enti del Terzo Settore (ETS).
Dopo un periodo di incertezza, la sentenza 131/2020 della Corte Costituzionale ha sciolto le riserve avanzate rispetto alla fondatezza giuridica dei nuovi istituti che secondo alcuni andavano in contrasto con la normativa comunitaria della concorrenza, ancorandone la ragion d’essere in una sorta di natura istituente degli ETS visti come soggetti più vicini ai bisogni ed espressione delle reti della solidarietà orizzontale comunitaria.
L’art. 55 ha sollevato diverse attese. Da parte del Terzo Settore, l’aspettativa è di uscire dalla morsa degli appalti al ribasso e di recuperare una capacità progettuale e propositiva andata in parte perduta durante la lunga stagione dell’austerity. Mentre da parte del settore pubblico l’attesa è di favorire una mobilitazione di risorse dal basso per integrare la spesa pubblica e migliorare la capacità di lettura dei bisogni.
Di seguito si propone una sintesi di un nostro articolo scritto con Carlo Borzaga e pubblicato nel fascicolo 1/2024 di Politiche Sociali/Social Policies. Si tratta di un bilancio dei primi anni di riforma che permette di trarre alcune conclusioni e di evidenziare le principali questioni su cui sarà importante riflettere nel prossimo futuro.
Co-progettare i servizi di welfare usando l’articolo 55: cinque spunti di riflessione
Il nostro lavoro propone le evidenze emerse dall’analisi di un campione di 20 co-progettazioni di interventi di welfare, svolta tra la fine del 2021 e il 2022 attraverso interviste semi-strutturate a funzionari pubblici, rappresentanti del Terzo Settore e consulenti coinvolti nelle procedure, che ci permettono di individuare cinque temi-chiave.
La co-programmazione è praticamente assente
Il primo è relativo al fatto che la co-programmazione è oggi praticamente assente. I dati disponibili indicano come il processo propedeutico alla realizzazione delle co-progettazioni sia attivato da un numero molto basso di pubbliche amministrazioni. Se è pur vero che sussistono cortocircuiti tra la co-programmazione e la pianificazione di zona, anche tenendo conto del declino progettuale dei Piani di Zona si può dire che in molti territori la programmazione delle politiche del welfare sociale sia indebolita. La co-progettazione rischia in questo quadro di assumere la funzione di mezzo per la gestione più che strumento di politica locale, diventando una leva di azione condizionata dalle culture e dalle pratiche amministrative più che dalla volontà di far fare un salto di qualità alle politiche del welfare.
La latitanza del Terzo Settore
La seconda questione sollevata dalla ricerca è che la forza motrice del Terzo Settore come lettore dei bisogni e attivatore di risposte ai problemi sociali appare nell’applicazione dell’art. 55 debole. L’avviamento delle procedure di co-progettazione può avvenire sia su iniziativa pubblica che delle reti del Terzo Settore. Per esempio, di fronte a un fenomeno di disagio giovanile, gli ETS locali potrebbero raccogliere un primo stock di risorse attraverso donazioni, messa a disposizione di spazi e volontariato e sollecitare le pubbliche amministrazioni a intervenire con un contributo economico integrativo per avviare iniziative condivise. La realtà mostra come le co-progettazioni nate su iniziativa del Terzo Settore sono quasi del tutto assenti. I motivi di questa latitanza che contraddice la giurisprudenza costituzionale sono diversi. Da un lato, i processi dal basso possono più facilmente trovare canali di definizione fuori dalle procedure burocratiche della co-progettazione. Dall’altro, è evidente che l’art. 55 non è ancora percepito come un elemento di difformità rispetto allo schema che vede il Pubblico come principale motore della definizione degli interventi. Inoltre, molte procedure mettono in luce la difficoltà di costruzione di reti finalizzate alla soluzione di problemi condivisi; prevalgono spesso cordate consolidate che replicano le dinamiche competitive preesistenti sul territorio, o faticano a coinvolgere nuovi attori.
La difficoltà di innovare quel che è istituzionalizzato
La terza questione che le ricerche mettono in luce – e anche il nostro studio conferma – riguarda la difficoltà di innovare le culture e le pratiche di affidamento dei servizi istituzionalizzate. Nonostante la co-progettazione sia uno strumento diverso dagli appalti, le logiche che dominano i processi collaborativi restano ampiamente influenzate da approcci gerarchici, processi burocratici e schemi rendicontativi tipici degli schemi competitivi. La cosiddetta ‘ingegnerizzazione’ della co-progettazione che si pone come obiettivo l’uniformazione di processi e risultati che di per sé sono situati e differenti è una tentazione diffusa tra i dirigenti pubblici. Le dinamiche collaborative richiedono abilità di stringere compromessi, flessibilità operativa e forme di interazione di tipo orizzontale che diano spazio e valore alle posizioni di tutti gli attori coinvolti. Se è vero che esistono casi in cui soprattutto la preparazione dei dirigenti e l’abitudine alla collaborazione rendono più fluide le interazioni tra pubblico e Terzo Settore, più spesso la difficoltà a passare da un approccio gerarchico burocratico verso uno più orizzontale e flessibile è esplicita.
L’assenza di valutazione
La quarta questione che la ricerca sull’applicazione dell’art 55 pone in evidenza riguarda l’assenza di valutazione dei nuovi strumenti collaborativi. Tra quelle prese in esame, solo un numero veramente esiguo di co-progettazioni incorpora nei bandi l’obbligo della valutazione e una riflessione su come e che cosa valutare per stabilire se le pratiche collaborative sono state efficaci è drammaticamente carente. La mancanza di strumenti valutativi delle pratiche collaborative è un vecchio vulnus delle politiche di partnership tra pubblico e Terzo Settore. L’idea che la collaborazione sia un buon modo di affrontare problemi complessi è affascinante. Nella pratica, tuttavia, che cosa effettivamente produce la collaborazione rimane una sorta di black box. L’esperienza insegna che molti progetti che contemplavano la collaborazione tra enti di Terzo Settore (come quelli promossi dai bandi delle Fondazioni di origine bancaria) non hanno generato la costruzione di alleanze durature e spesso rappresentavano piuttosto strategie strumentali per finanziare tecnostrutture messe sotto pressione dai tagli dei servizi pubblici. Ad oggi, dunque, non è dato sapere se l’applicazione dell’art. 55 abbia comportato un miglioramento dell’offerta dei servizi, o una strutturazione di più solide reti di sostegno a livello locale.
Il bisogno di investimenti pubblici
L’ultima questione è infine probabilmente la più importante, e si riferisce al fatto che senza investimenti pubblici il circolo virtuoso della co-progettazione fatica ad avviarsi. Le esperienze virtuose di co-progettazione fino ad oggi indagate si basano praticamente quasi sempre su investimenti pubblici adeguati che si collocano in una prospettiva di inserimento strutturale degli interventi nell’ambito delle politiche del welfare locale. In presenza di una disponibilità a finanziare il welfare e non a esercitare pressioni arbitrarie per risparmiare sui costi, anche gli ETS e anche altri attori locali sono incentivati ad attivarsi e a mobilitare risorse per affrontare problemi condivisi. Molte co-progettazioni sono realizzate tuttavia in una logica di risparmio e taglio sui costi. L’obiettivo del risparmio si manifesta in modo diretto e indiretto attraverso la riduzione dei finanziamenti per servizi già esistenti, oppure tramite il mancato riconoscimento dei costi indiretti sostenuti dagli ETS per l’erogazione dei servizi, o attraverso le richieste di compartecipazione economica obbligatoria per essere selezionati come partner della pubblica amministrazione. La co-progettazione rischia di trasformarsi così in un processo di depauperamento delle risorse economiche e, a seguire, della capacità progettuale del Terzo Settore. Inoltre, in assenza di prospettive di medio lungo periodo la collaborazione tende a essere vista come una opportunità strumentale di acquisire finanziamenti, ma appare priva delle motivazioni che dovrebbero indurre il Terzo Settore a investire risorse proprie per il perseguimento di finalità condivise.
Prospettive per il futuro
È evidente che come ogni riforma che introduce elementi di rottura con il passato anche quella della collaborazione è destinata a incontrare ostacoli e resistenze, sia intenzionali che inconsapevoli.
Questo non significa che bisogna abdicare all’obiettivo di costruire una architettura più collaborativa che, anzi, dovrebbe costituire un obiettivo primario della politica del welfare locale. Imparare dalle buone prassi e analizzare al contempo anche quello che non funziona appare piuttosto come un’urgenza istituzionale non rimandabile, pena il dovere assistere a un fallimento delle intenzioni riformatrici dell’art. 55.
Di questi temi si continuerà certamente a parlare nei prossimi mesi e nei prossimi anni. L’occasione più prossima è la tavola rotonda dal titolo Impresa sociale: ancora una terza via tra neoliberismo e mercato secondario del lavoro. Il contributo di Carlo Borzaga allo studio delle nuove forme di welfare. L’incontro, moderato da Patrik Vesan, si terrà il 5 settembre prossimo a Napoli, nel quadro della XVII Conferenza di ESPAnet Italia, e vedrà la partecipazione – oltre che di uno degli autori di questo articolo – di Silvia Sacchetti, Mario Diani, Franca Maino e Luigi Bobba.
I Policy Highlights di Politiche Sociali/Social PoliciesIl presente articolo sintetizza alcuni degli esiti del lavoro scritto da Luca Fazzi e Angela Rosignoli pubblicato sul numero 1/2024 di Politiche Sociali/Social Policies, rivista edita dal Mulino e promossa dalla rete ESPAnet-Italia. Per maggiori dettagli e citazioni: C. Borzaga, L. Fazzi e A. Rosignoli, Co-progettare i servizi sociali: nuove traiettorie del welfare locale in Italia?, in «Politiche Sociali/Social Policies», 1/2024, pp. 1-22. |