Questo articolo è stato pubblicato all’interno del numero 3/2020 della Rivista Impresa Sociale, rivista scientifica dove studiosi di diverse discipline, accomunati dall’interesse per l’impresa sociale, danno vita ad un costante confronto.
Il polo dell’interesse generale
Il Terzo Settore contribuisce in due modi all’attuazione del principio di sussidiarietà. Il primo ha a che fare con l’art. 55 del Codice del Terzo Settore (CTS), mentre il secondo è molto meno evidente.
Il Terzo Settore comprende tutti i soggetti privati che, anziché perseguire interessi privati, perseguono “finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento, in via esclusiva o principale, di una o più attività di interesse generale” (CTS, art. 4, comma 1). Questo complesso di soggetti è dunque “terzo” sia rispetto ai soggetti pubblici, che perseguono interessi pubblici individuati dalle leggi, sia rispetto ai soggetti privati, che perseguono interessi privati da essi stessi liberamente individuati.
In origine il termine Terzo Settore (TS) derivava da un’individuazione di carattere residuale, per cui Terzo Settore era tutto ciò che non apparteneva né allo Stato, né al mercato. Oggi, grazie alla legge di riforma, la situazione si è ribaltata ed il Terzo Settore è definito non tanto per esclusione, bensì in positivo grazie al riferimento all’interesse che esso persegue, l’interesse generale (CTS, art. 1).
Si potrebbe dunque dire che oggi, nella società italiana, esistono tre grandi poli, composti ognuno da una pluralità di soggetti anche molto diversi fra loro per funzioni, dimensioni, organizzazione, risorse, etc., ma accomunati dal perseguimento del medesimo interesse: il polo degli interessi pubblici, rappresentato dai soggetti di cui all’art.1, comma 2 del d.lgs. n. 165/2001, cioè le amministrazioni dello Stato (ivi comprese le scuole, le Università, gli Istituti Autonomi Case Popolari, gli enti strumentali, le Camere di commercio, ecc.), le Regioni ed i Comuni; il polo degli interessi privati, rappresentato da tutti i soggetti di carattere privato che perseguono fini diversi da quelli degli enti del TS; ed infine il polo dell’interesse generale, rappresentato dagli enti del TS così come definiti dall’art. 4, comma 1 del CTS.
In questa prospettiva il Titolo VII del Codice, intitolato “Dei rapporti con gli enti pubblici” e composto dagli artt. 55, 56 e 57, acquista allora un significato particolare, perché le disposizioni in esso contenute possono essere considerate il punto di incontro e di snodo fra il polo degli interessi pubblici e quello dell’interesse generale. Ciò è ancora più significativo se si tiene presente che le disposizioni di cui al Titolo VII sono esempi di entrambi i paradigmi del Diritto amministrativo su cui oggi si fonda il nostro sistema amministrativo: il paradigma sussidiario all’art. 55 ed il paradigma bipolare tradizionale agli artt. 56 e 57.
Negli artt. 56 e 57 il rapporto fra amministrazioni ed enti del TS è fondato infatti su istituti tradizionali come la convenzione e l’affidamento, in cui è l’amministrazione stessa ad assumere l’iniziativa di sottoscrivere con enti del TS convenzioni per lo svolgimento di attività o servizi sociali (art. 56), oppure ad affidare in convenzione ad enti del TS i servizi di trasporto sanitario di emergenza e urgenza.
“Coinvolgimento attivo” degli enti del Terzo Settore
Del tutto diversa è la modalità del rapporto fra amministrazioni pubbliche (tutte le amministrazioni pubbliche, grazie al riferimento all’art.1, comma 2 del d.lgs. n. 165/2001) ed enti del TS disciplinata dall’art. 55 che, non a caso, si intitola “Coinvolgimento degli enti del Terzo Settore”.
Fin dal titolo, l’art. 55 dà infatti il senso di un cambiamento radicale nel rapporto fra polo degli interessi pubblici e polo dell’interesse generale, fra amministrazioni ed enti del Terzo Settore, confermando l’osservazione di Felice Scalvini in un suo saggio recente su questo tema, in cui afferma che “è in attuazione del principio di sussidiarietà che risulta costruito sia l’impianto complessivo del Codice, sia la regolamentazione dei rapporti tra pubblica amministrazione ed enti del TS. Ed è questo riferimento che deve guidare la lettura, l’interpretazione e l’attuazione di quanto disposto in particolare dall’art. 55 in combinazione con gli altri articoli, in particolare quelli del Titolo 1”.1
Coinvolgere è un termine che, già nella sua etimologia, prevede una partecipazione. Co-involgere viene infatti da involgere, un verbo oggi desueto che significa avvolgere, avviluppare, con l’aggiunta di quel semplice prefisso co- che ritroviamo poi nel testo dell’art. 55 laddove si prevede che “… le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nell’esercizio delle proprie funzioni di programmazione e organizzazione a livello territoriale degli interventi e dei servizi nei settori di attività di cui all’articolo 5, assicurano il coinvolgimento attivo degli enti del Terzo Settore, attraverso forme di co-programmazione e co-progettazione e accreditamento…”.
Le “funzioni di programmazione e organizzazione a livello territoriale”, grazie al coinvolgimento attivo degli enti del Terzo Settore, diventano così funzioni di co-programmazione e co-progettazione. Sono funzioni pubbliche la cui titolarità rimane ovviamente in capo alla pubblica amministrazione procedente ma il cui svolgimento viene condiviso con enti del TS, applicando il modello dell’amministrazione condivisa.
Tutto l’articolo è costruito in modo da garantire la collaborazione (da cum-laborare, lavorare insieme) e la condivisione (con-dividere) fra polo degli interessi pubblici e polo dell’interesse generale, in attuazione di un lungo elenco di princìpi di cui il primo è appunto il principio di sussidiarietà, quello su cui si fonda il nuovo paradigma sussidiario.
Da notare che le amministrazioni devono assicurare “il coinvolgimento attivo degli enti del Terzo Settore”. L’aggiunta dell’aggettivo “attivo” a “coinvolgimento” può sembrare ridondante, ma in realtà ha invece un significato anche pratico notevole, perché normalmente la partecipazione che si realizza attraverso il coinvolgimento di qualcuno nelle attività del soggetto agente non è una partecipazione attiva, autodeterminata, in quanto si viene coinvolti da qualcuno, non ci si coinvolge in qualcosa.
La disposizione in esame prevede pertanto che gli enti del TS coinvolti lo siano in maniera tale da poter partecipare attivamente e fattivamente alle attività di co-programmazione e co-progettazione, consentendo loro in tal modo da un lato di realizzare le loro finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale e, dall’altro, di dare quel contributo di esperienze, competenze, idee che rappresenta il motivo stesso del loro coinvolgimento.
Si vede qui, con chiarezza maggiore che non in altri casi, una caratteristica tipica dell’amministrazione condivisa, cioè la sua circolarità. Attraverso la co-programmazione, la co-progettazione e gli accreditamenti le amministrazioni “favoriscono”, come dispone l’art. 118, u.c. gli enti del TS nello svolgimento delle loro attività di interesse generale. Ma a sua volta il coinvolgimento attivo degli enti di TS è vantaggioso per le amministrazioni. In sostanza l’art. 55, applicando il principio di sussidiarietà nel punto di incontro fra polo degli interessi pubblici e polo dell’interesse generale crea una circolarità di rapporti, di esperienze, di competenze ed una condivisione di responsabilità che sono vantaggiose per entrambi i poli.
La circolarità che emerge applicando l’art. 55 è confermata fra l’altro dall’esperienza derivante da migliaia di patti di collaborazione stipulati in tutta Italia sulla base del Regolamento per l’amministrazione condivisa promosso da Labsus, che dimostrano come l’utilizzazione dell’amministrazione condivisa porti sempre vantaggi sia ai cittadini, sia alle amministrazioni.
I princìpi della legge sul procedimento
Rispetto all’applicazione del principio di sussidiarietà mediante il Regolamento per l’amministrazione condivisa promosso da Labsus c’è però un’importante differenza, laddove l’art. 55 prevede che il coinvolgimento attivo degli enti del Terzo Settore, attraverso forme di co-programmazione e co-progettazione e accreditamento, sia posto in essere “nel rispetto dei principi della legge 7 agosto 1990, n. 241”.
Nel 2013, nel redigere insieme con il Comune di Bologna il Regolamento per l’amministrazione condivisa dei beni comuni, avevamo escluso di applicare al nuovo Regolamento gli istituti di partecipazione della legge sul procedimento perché ritenevamo che, per quanto avanzati essi fossero all’epoca in cui erano stati introdotti, essendo inevitabilmente fondati sul paradigma bipolare tradizionale (che è agli antipodi rispetto al paradigma sussidiario su cui si fonda il Regolamento), avrebbero rischiato di introdurre nella nuova normativa elementi di contraddizione.
L’esperienza nell’applicazione del Regolamento in centinaia di Comuni nel corso degli ultimi sei anni ha dimostrato però che, come tutte le funzioni pubbliche, anche quella preposta alla co-progettazione ed all’attuazione dei patti di collaborazione è una funzione procedimentalizzata, che quindi rispetta nel suo svolgersi, sia pure senza affermarlo esplicitamente, i princìpi della legge sul procedimento.
È dunque comprensibile e condivisibile il richiamo nell’art. 55 al “rispetto dei principi della legge 7 agosto 1990, n. 241”. Ma è un richiamo che va meglio specificato.
Come nota Fabio Giglioni in un bel libro appena uscito su Gli accordi delle pubbliche amministrazioni di cui è coautore insieme con Andrea Nervi2, il “richiamo dei princìpi della legge generale sul procedimento è piuttosto indefinito, tanto da poter ricomprendere tutti i principi nella legge contenuti”, ma “sembra ragionevole concludere che… il rinvio è ai principi che orientano l’attività procedimentale”. In particolare, Giglioni ricorda che “nella relazione di accompagnamento al Codice del Terzo Settore veniva fatto riferimento esplicito all’art. 12, legge n. 241 del 19903, che appunto conforma un sistema di pubblicità e trasparenza nella predeterminazione del rilascio di vantaggi alternativo a quello predisposto dal Codice dei contratti”.
Che il riferimento sia ai princìpi che orientano l’attività procedimentale e in particolare all’art. 12 della legge sul procedimento sembra inoltre confermato dalle disposizioni di cui al comma 4 dell’art. 55, secondo cui “l’individuazione degli enti del Terzo Settore con cui attivare il partenariato avviene anche mediante forme di accreditamento nel rispetto dei principi di trasparenza, imparzialità, partecipazione e parità di trattamento, previa definizione, da parte della pubblica amministrazione procedente, degli obiettivi generali e specifici dell’intervento, della durata e delle caratteristiche essenziali dello stesso nonché dei criteri e delle modalità per l’individuazione degli enti partner”.
Per quanto importante, tuttavia, il richiamo al rispetto dei princìpi della legge sul procedimento non è sufficiente per regolare la complessità dei rapporti di collaborazione e di condivisione di responsabilità fra amministrazioni ed enti del TS che nascono dall’applicazione del principio di sussidiarietà. Qui entra in gioco il riferimento contenuto nel comma 1 dell’art. 55 ai princìpi di autonomia organizzativa e regolamentare, che consentono alle amministrazioni di disciplinare dettagliatamente tali rapporti mediante un regolamento deliberato dagli organi competenti, contenente gli indirizzi generali, i criteri ed i principi direttivi.
Ricordo, perché ne avevamo discusso in una delle riunioni del Gruppo degli Amici dell’art. 55, il tentativo che in tal senso era stato fatto nel 2018 da un gruppo di lavoro istituito presso l’Assessorato al welfare del Comune di Brescia, che aveva predisposto una “bozza di regolamento” per regolare i rapporti del Comune con gli enti del TS e successivamente, nel 2019, sulla base anche di quel documento, gli ulteriori materiali molto utili elaborati dal gruppo welfare ANCI Emilia Romagna. Potrebbe essere interessante, partendo da quei documenti, creare un piccolo gruppo di lavoro che predisponga, sulla falsariga del Regolamento per la cura dei beni comuni, un regolamento-tipo per l’attuazione dell’art. 55 del CTS, vista anche la scarsa propensione di molti Comuni a valorizzare la propria autonomia regolamentare in questo settore.
Enti del Terzo Settore e cittadini attivi
Il cenno al Regolamento per l’amministrazione condivisa dei beni comuni mi consente di passare all’esame del secondo modo con cui il Terzo Settore può contribuire all’attuazione del principio di sussidiarietà.
Bisogna tenere presente che nel polo dell’interesse generale non ci sono soltanto gli enti del TS, ma ci sono anche i cittadini attivi non iscritti ad enti del TS, comitati di quartiere, associazioni di cittadini, formazioni sociali informali, etc.
Sono volontari, esattamente come quelli che operano all’interno degli enti del TS, tant’è vero che l’art. 17, comma 2 del CTS afferma che “Il volontario è una persona che, per sua libera scelta, svolge attività in favore della comunità e del bene comune, anche per il tramite di un ente del Terzo settore, mettendo a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità per promuovere risposte ai bisogni delle persone e delle comunità beneficiarie della sua azione, in modo personale, spontaneo e gratuito, senza fini di lucro, neanche indiretti, ed esclusivamente per fini di solidarietà”.
La definizione di volontario data dal CTS è molto centrata sulle attività di volontariato tradizionali e non tiene conto dei circa 800mila cittadini attivi che per loro libera scelta si prendono cura dei beni comuni. Lo fanno in primo luogo per vivere meglio essi stessi, tuttavia sono anche molto solidali, perché i loro interventi di cura dei beni comuni producono effetti positivi sulla qualità della vita di tutti, anche di coloro che, del tutto legittimamente, non si sono attivati.
Ma ciò che rileva, qui, è la presenza all’interno del polo dell’interesse generale di due sottoinsiemi con cui le amministrazioni possono collaborare nel perseguimento dell’interesse generale. Il primo è costituito dal complesso degli enti del TS, con cui la collaborazione è disciplinata, come abbiamo visto, dall’art. 55 del CTS. Il secondo sottoinsieme è molto più fluido ed è rappresentato dalle centinaia di migliaia di cittadini attivi, singoli e associati, con cui la collaborazione è disciplinata dai Regolamenti per l’amministrazione condivisa dei beni comuni e dai relativi patti di collaborazione.
Mentre per quanto riguarda gli enti del TS la loro collocazione nel polo dell’interesse generale dipende ovviamente dalla loro storia e tradizione, oltre che attualmente dal Codice del TS, per quanto riguarda invece i cittadini è la Costituzione stessa che, qualora essi svolgano attività di interesse generale, prevede la loro collocazione all’interno del polo dell’interesse generale (art. 118, u.c.).
Questa previsione è doppiamente importante. Da un lato, perché in tal modo la Costituzione smentisce uno degli assunti principali su cui si fonda la visione dicotomica del mondo (diviso in portatori di interessi pubblici e portatori di interessi privati) secondo la quale i portatori di interessi privati sono per definizione egoisti e incompetenti. Egoisti perché preoccupati solo ed unicamente dei propri interessi personali ed incompetenti perché comunque non in grado, anche volendolo, di occuparsi di interessi diversi dai propri.
Dall’altro lato la Costituzione, prendendo atto che migliaia di cittadini, in vari modi, perseguono quotidianamente l’interesse generale, riconosce implicitamente la possibilità che soggetti appartenenti al polo del “Mercato”, portatori perciò di interessi privati, possano temporaneamente “migrare”, per così dire, nel polo dell’interesse generale.
In questo (ma non solo in questo) i cittadini attivi sono diversi dagli enti del TS che sono gli unici, per legge e per vocazione, stabilmente collocati all’interno del polo dell’interesse generale, mentre i cittadini possono appunto essere in certi momenti portatori di interessi privati e in altri perseguire l’interesse generale.
Ma in realtà anche gli enti del TS devono stare attenti, perché la loro collocazione nel polo dell’interesse generale non è scontata, c’è sempre in agguato il rischio di cadere nell’autoreferenzialità, anteponendo i propri interessi (in quanto tali, interessi privati dell’ente) all’interesse generale. Mentre per i cittadini attivi è perfettamente legittimo il “ritorno”, per così dire, nel polo degli interessi privati, perché quella è la loro collocazione fisiologica e normale, per gli enti del TS l’autoreferenzialità è inaccettabile, perché vuol dire venir meno alla propria vocazione originaria al servizio, appunto, dell’interesse generale.
Enti del Terzo Settore come soggetti bifronti
Leggendo in sequenza gli artt. 114, primo comma e 118, ultimo comma della Costituzione comincia ad apparire il secondo modo con cui gli enti del TS contribuiscono all’attuazione del principio di sussidiarietà.
L’art. 114, primo comma dispone infatti che “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”.
Mentre l’art. 118, ultimo comma, com’è noto, dispone che “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”.
L’elenco dei soggetti pubblici che nell’art. 118, ultimo comma costituisce il soggetto del verbo favoriscono coincide con l’elenco di cui all’art. 114, primo comma (che individua i soggetti che costituiscono la Repubblica italiana) e quindi può essere sostituito con un unico termine: Repubblica.
Di conseguenza l’art. 118, ultimo comma si può leggere così: “La Repubblica favorisce l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”.
Questa sostituzione di termini, che può apparire un mero escamotage semantico, ha invece il merito di rendere evidente l’importanza che la Costituzione attribuisce all’autonoma iniziativa dei cittadini per lo svolgimento di attività di interesse generale. Nei primi articoli della Costituzione è infatti ricorrente il riferimento alla Repubblica come soggetto cui i nostri Padri e Madri Costituenti hanno voluto attribuire compiti considerati di fondamentale importanza per l’intera comunità nazionale.
L’art. 2, innanzitutto, in cui si afferma che “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo…”. L’art. 5, secondo cui “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali…”. L’art. 9, che afferma che “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.
Ma soprattutto l’art. 3, secondo comma, che attribuisce alla Repubblica il compito fondamentale di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
In questi (così come negli altri) articoli della Costituzione in cui il soggetto della disposizione costituzionale è la Repubblica, questo termine deve intendersi sempre come riferito non solo ai poteri pubblici che compongono l’apparato istituzionale (Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato), ma anche all’insieme dei soggetti pubblici e privati che compongono la comunità nazionale.
Sono dunque Repubblica, in senso materiale e non formale, in questa prospettiva, tutti i corpi intermedi, cioè le autonomie funzionali (Università, Scuole, Camere di commercio); le organizzazioni di rappresentanza degli interessi economici degli associati (organizzazioni sindacali, associazioni datoriali, ordini professionali); le cooperative di produzione e lavoro, le cooperative sociali e quelle di consumo; le fondazioni originate da atti di legge e infine, tutti i soggetti che perseguono scopi di natura sociale, culturale e religiosa attraverso attività di interesse generale.
Ne deriva che gli enti del Terzo Settore quando svolgono attività di interesse generale sono “cittadini associati”, quindi destinatari del sostegno dei soggetti pubblici ai sensi dell’art. 118, ultimo comma e dell’art. 55 del CTS.
Dall’altro lato, però, essendo Repubblica, in quanto corpi intermedi di fondamentale importanza nella composizione della comunità nazionale spetta anche ad essi, sempre ai sensi dell’art. 118, ultimo comma, il compito di “favorire” le autonome iniziative dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale.
In un certo senso, è come se gli enti del Terzo Settore fossero bifronti. Da un lato sono cittadini associati che la Repubblica (intesa come apparato istituzionale) deve sostenere quando svolgono attività di interesse generale. Dall’altro lato, cioè dal punto di vista dei cittadini attivi, sono “Repubblica” in senso materiale e quindi devono essi stessi “favorire” le autonome iniziative dei cittadini per lo svolgimento di attività di interesse generale. In questa prospettiva pertanto gli enti del TS si assumono una responsabilità pubblica, alla pari con i soggetti pubblici, per l’attuazione del principio costituzionale di sussidiarietà.
Ne deriva che il sostegno che i soggetti pubblici forniscono agli enti del Terzo Settore intesi come Repubblica per consentire loro di adempiere a tale responsabilità nei confronti dei cittadini attivi costituisce per tali soggetti pubblici uno dei modi con cui essi possono dare attuazione al principio di sussidiarietà. Anziché sostenere direttamente i cittadini attivi, sostengono gli enti del Terzo Settore che in vari modi a loro volta “favoriscono” le autonome iniziative dei cittadini attivi per lo svolgimento di attività di interesse generale.
Il cerchio si chiude
Le amministrazioni, il polo dell’interesse pubblico, hanno rapporti fondati sul principio di sussidiarietà con il polo dell’interesse generale, in modo e con strumenti diversi a seconda dei due sottoinsiemi che compongono quest’ultimo.
Con gli enti del TS il coinvolgimento attivo da parte delle amministrazioni, che si estrinseca nella co-programmazione e nella co-progettazione, è disciplinato in primo luogo dal principio di sussidiarietà e poi dall’art. 55 del CTS e, auspicabilmente, da regolamenti comunali in materia.
Con i cittadini attivi il rapporto di collaborazione con le amministrazioni è regolato dal principio di sussidiarietà, dai Regolamenti per l’amministrazione condivisa e dai patti di collaborazione.
Ma all’interno del polo dell’interesse generale gli enti del TS possono a loro volta attuare il principio di sussidiarietà sostenendo in vari modi i cittadini attivi nelle attività di cura dei beni comuni. E questi ultimi, a loro volta, anche grazie a questo sostegno, stipulano patti di collaborazione per la cura dei beni comuni con le amministrazioni.
Note
1 Scalvini F. (2018), “Una nuova stagione. Il Codice del Terzo Settore e le relazioni tra enti del Terzo Settore e le Pubbliche Amministrazioni”, Welfare Oggi, 2/2018, speciale “Verso l’Amministrazione collaborativa”.
2 Giglioni F., Nervi A. (2019), Gli accordi delle pubbliche amministrazioni, Edizioni Scientifiche Italiane.
3 Legge n. 241 del 1990, “Nuove norme sul procedimento amministrativo”, Art. 12, “Provvedimenti attributivi di vantaggi economici”, Comma 1: La concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari e l’attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati sono subordinate alla predeterminazione da parte delle amministrazioni procedenti, nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti, dei criteri e delle modalità cui le amministrazioni stesse devono attenersi.