Sul Fatto Quotidiano Vincenzo Manes, consigliere pro bono del Presidente del Consiglio per il terzo settore nonché presidente di Fondazione Dynamo Camp e del gruppo Intek, interviene sulla Riforma del terzo settore e, in particolare, sulla definizione di "impresa sociale". Manes sottolinea che "Due in particolare sono gli interventi necessari: da un lato va superata l’idea, tautologica e quindi inutile, che l’impresa sociale sia quella che produce un impatto sociale; dall’altro occorre smetterla di ricercare soluzioni che permettano alle imprese sociali di distribuire utili in una misura che le renda appetitose per gli investitori".
E ancora: "se mettiamo l’accento sull’impatto non si va molto lontano perché la definizione è talmente generica da risultare inutilizzabile. Quasi tutte le imprese – salvo forse l’industria delle armi, il racket e il sequestro di persona – possono a buon diritto reclamare che il loro impatto è sociale e al tempo stesso positivo. Per questo ogni volta che sento parlare di impact investing mi viene da reagire come il rag. Fantozzi all’ennesima replica della Corazzata Potemkim: il fatto che sia trendy, che venga dalla City e che vada di moda in qualche salotto non significa che sia la priorità su cui concentrarsi".
"Evitiamo il conformismo di formule che suonano sexy e prendiamo piuttosto un’altra strada, più semplice e cristallina. Per qualificare l’impresa come sociale, oltre alla finalità, conta il modo in cui sono organizzate, gestite, governate, e a cosa destinano i propri profitti. Rovesciando l’approccio della finanza tradizionale, da cui l’impact investing non si allontana, è sociale l’impresa che produce benefici sociali, e quindi in cui il ritorno economico è funzionale a questa missione. L’obiettivo dell’impresa sociale non è quindi massimizzare il profitto ma massimizzare il ritorno sociale".
Riforma del terzo settore, gli investimenti sociali sono trendy ma non è priorità
Vincenzo Manes, Il Fatto Quotidiano, 16 maggio 2015