"Pratiche educative domiciliari. Educatori e famiglie tra case e cimase" è un libro che parla di un lavoro di/sul confine, meravigliosamente complesso, anche solo per tutti i livelli e i contesti formali e informali che incrocia e collega nello stesso istante, nello stesso gesto di cura; un lavoro praticato in prima linea, potremmo dire sempre in prima persona, non delegabile o deferibile, spesso svolto in solitudine da una figura professionale, l’educatore professionale/domiciliare, che ancora fatica ad affermarsi con chiarezza nel suo ruolo e nella sua funzione, nonostante le molteplici possibilità di cura e nonostante la sua efficacia.
Proprio perché racconta di educatori professionali che lavorano in contesti complessi e concentrici, il libro racconta anche di chi li rappresenta, di chi li accompagna nella formazione e nella supervisione, chi co-progetta gli interventi con gli altri attori del territorio – comuni, politici, assistenti sociali, gestori di servizi, psicologi, neuropsichiatri, scuole, tribunali – e che concorre ad intessere la rete del welfare di un territorio: le Cooperative Sociali. In particolare, il libro è nato dall’Area Minori della Cooperativa lecchese Sineresi, che da molti anni gestisce questo tipo di servizio su varie aree della provincia.
Fare ricerca in cerchio
Tra il 2017 e il 2019 Sineresi ha proposto a una cinquantina di educatori impiegati in servizi di Assistenza Domiciliare Minori un percorso di supervisione e formazione pedagogica con Andrea Prandin, consulente e formatore con una lunga e articolata esperienza in quest’ambito di lavoro. Il lavoro, interattivo ed implicante, è stato organizzato in gruppi stabili di 10/15 operatori, con cadenza mensile e incontri della durata di circa due ore, un cerchio di sedie come setting. Il desiderio della cooperativa era quello di allestire una “giostra”, seria e rigorosa, appassionata e scientificamente fondata.
Un’operatrice è stata incaricata di affiancare Andrea Prandin per tutta la durata del percorso e in ogni gruppo di lavoro, prendendo note e appunti dei temi emersi ed emergenti, delle storie raccontate, delle parole ricorrenti, dei contenuti proposti da ciascun gruppo e partecipante. Inoltre, ad ogni incontro un componente, su sua candidatura spontanea, assumeva l’incarico di custodire e rappresentare su un semplice quaderno dedicato quello che abbiamo chiamato “il non verbale” dell’incontro formativo. La richiesta era quella di spaziare, collegare, connettere, evocare, ampliare e ridurre, fare un zoom-in e/o uno zoom-out, biforcare e articolare, cambiare registro narrativo, sovvertirlo anche. La memoria di quanto accaduto durante l’incontro è stata quindi affidata alle varie forme del pensiero e del vedere che si hanno ogni volta a disposizione, scegliendo tra quelle che attirano e che, a volte, addirittura, chiamano: immagini, riflessioni, poesie, canzoni, video aforismi e barzellette, parole… e chissà cos’altro.
Quello che si è creato nell’aula formativa della cooperativa è stato uno «spazio interrogante e aperto all’esplorazione, alla ricerca, guidato dall’epistemologia sistemica e dalle più accreditate teorie della complessità. Incoraggiando e validando la «perpetua domanda» sulle questioni sia della costruzione della propria conoscenza del mondo e dell’altro, sia sulle mappe che utilizziamo per orientarci nell’affascinante mondo delle relazioni; «questo percorso sulle questioni epistemologiche della cura e dell’incontro con l’altro» (p.11 dell’Introduzione) ha lasciato in eredità una ricca e preziosa quantità di idee, di possibilità riflessive e operative, da trattare necessariamente come un tesoro di inestimabile valore: un vero e proprio materiale di ricerca attiva, sul campo, pronto ad essere nutrito e narrato.
Da dentro a fuori, da documento interno a libro
Un altro gruppo di lavoro ha quindi cominciato a lavorare a tutti gli stimoli raccolti. L’idea era quella di produrre un documento che fosse un punto di appoggio, un “corrimano” a cui far riferimento, nell’intento di raccogliere e tratteggiare la forma e l’operatività dell’educatore domiciliare all’interno della cooperativa Sineresi; una raccolta di buone idee – e quindi pratiche e punti interrogativi – da poter condividere con tutti gli educatori di cooperativa, presenti e futuri. Il desiderio era quello di scegliere una mappa, nutrire una cultura di lavoro, rintracciabile in alcune premesse, confini e prassi.
Eppure… eppure ad un certo punto del processo di sistematizzazione del materiale era chiaro che valesse la pena un ulteriore passo, ossia quello di comunicare anche all’esterno della cooperativa la "visione rintracciata", la domanda, ma anche la forma di presenza nello svolgere questo lavoro: un tema trattato nel libro è proprio legato all’invisibilità, indeterminatezza, incomunicabilità del ruolo professionale dell’educatore domiciliare e di un contesto/sistema che spesso fatica a comprendere quello che egli fa o potrebbe fare, ma che altrettanto spesso contemporaneamente indica con decisione quello che "dovrebbe fare". L’esito di questa contraddizione spesso genera perdite di tempo, cortocircuiti e incomprensioni, depotenziando il gesto di cura e confondendo le famiglie.
Decidere di investire in questa pubblicazione fa parte «della possibilità, e quindi anche della scelta, di fare cultura dell’educazione, dentro un territorio, dentro una comunità che ogni giorno la cooperativa abita, toccandone con mano l’irriducibile complessità e ritenendo fondamentale moltiplicare le domande piuttosto che ridurle nella paura di non trovare le risposte. In tal mondo è possibile sentirsi parte del sistema come operatori, ma anche professionisti della cura volti alla ricerca e alla scoperta» (p.12 dell’Introduzione).
Parole, poetica ed estetica
La ricchezza di quello che è avvenuto durante il percorso di supervisione è derivato in grande parte anche dalla scelta consapevole di dare spazio al sapere estetico, alla ricerca di una narrazione polisemica e generativa, sia operativamente con gli educatori, sia nelle righe e tra le carte, nel lungo e intenso lavoro di scrittura e traduzione dei materiali raccolti.
Proprio come nei quaderni del “non-verbale”, il libro di riflesso è animato da racconti, poesie, illustrazioni che cercano di dare voce anche a tutto quello che non può essere raccontato in un modo soltanto, linearmente (la realtà e le relazioni non sono lineari e nemmeno chiare e distinte, facilmente enunciabili e descrivibili solo con la parola!) ma che può essere oggetto di interpretazioni da parte di chi ascolta e osserva, perché «vive di cambiamento, di oscillazioni e variazioni di significato dovute al proprio e all’altrui posizionamento all’interno di una storia» (p.93).
Anche la parola “cimasa” presente sin dal titolo è presa in prestito da una poesia di Eugenio Montale (da "Felicità raggiunta", contenuta in Ossi di seppia, 1925) così come la sua metafora: «per vedere la cimasa – cornicione, bordo, sporgenza, con funzioni estetiche ma anche strutturali, di equilibrio – serve alzare lo sguardo, spostare l’attenzione dalla casa come struttura a un suo particolare, piccolo ma indispensabile. Le cimase sono anche dimora ideale per nidi e altri piccoli-giganteschi dettagli, da poter cercare, immaginare e scoprire insieme» (dalla quarta di copertina).
La spirale della conoscenza
Gli autori hanno attinto a piene mani dalla ricerca di Laura Formenti, che ha proposto (2017) la spirale della conoscenza, ispirata al ciclo della conoscenza elaborato da John Heron. I quattro movimenti – esperienza autentica, rappresentazione estetica, comprensione intelligente e curiosa, azione deliberata – hanno guidato e dato forma alla danza narrativa del libro, ma anche all’intero percorso di supervisione in aula. «Questo significa che, in primo luogo, ogni tema individuato, ogni storia raccontata e ogni dubbio celebrato nel testo nascono da esperienze (vere, sentite, autentiche) che le persone coinvolte in questo percorso di ricerca e scrittura hanno attraversato» (p.62).
Al racconto dell’esperienza e alla sua rappresentazione estetica, segue il tentativo di proporre una “teoria soddisfacente” (Formenti, 2017) che consenta di abitare un determinato aspetto del lavoro educativo, per arrivare infine allo slancio operativo, in cui si cerca di raccogliere tutto ciò che si è compreso per provare a trasformarlo in azioni, posizionamenti relazionali, movimenti e nuove domande.
Claudicare nell’incertezza
Esplorando le narrazioni degli educatori, è emersa con forza la sensazione di incertezza, di precarietà, di spaesamento nel vivere le case altrui insieme ai loro abitanti, insieme senso di pudore e attenzione evocati con forza. Quando varchiamo una soglia straniera «rimaniamo soli con noi stessi, in compagnia della nostra vicenda personale, dell’eco della nostra équipe di appartenenza, di qualche storia che ci hanno raccontato su quella famiglia prima di quello incontro (…) Non è bellissima questa condizione?» (p.25).
È il concetto stesso di incertezza che viene esplorato e celebrato nelle pagine del libro così come nelle sedie in cerchio della formazione da cui il testo nasce, facendo riferimento al sapere claudicante di Chiara Scardicchio (2012) e ribadendo con forza l’importanza di assumere una postura educativa che accolga e sappia lavorare con tutto quello che non è definitivo, che non si sa e non si conosce, che non è definibile chiaramente e che diviene così vacillante, incerto e anche ironico.
Una posizione di questo tipo è votata per sua natura alla ricerca continua, alla curiosità e all’esplorazione sia nei confronti dell’altro che di sé stessi. E chiede la capacità di saper “giocare” con le proprie idee, con le proprie mappe mentali, per imparare l’arte di comporre e scomporre i pensieri (Formenti), in «una postura controintuitiva che cerca sempre quello che non ci si aspetta e non ha mai come obiettivo il confermare e nemmeno il confortare» (p.134).
Il libro sarà presentato nel corso di un evento online giovedì 25 febbraio 2021 alle 17.00; clicca qui per maggiori dettagli.
Bibliografia
Prandin A., Di Nardo, A., (2020), Pratiche educative domiciliari. Educatori e famiglie tra case e cimase, Torino, Associazione Gruppo Abele.
Formenti L. (2017), Formazione e trasformazione. Un modello complesso, Milano, Raffaello Cortina.
Scardicchio A. C. (2012), Il sapere claudicante. Appunti per un’estetica della ricerca e della formazione, Milano, Bruno Mondadori.