Sempre più spesso le cooperative sociali hanno la necessità e la volontà di consolidarsi e crescere al fine di potenziare quantitativamente e qualitativamente l’attività di inserimento lavorativo. In questo senso, le cooperative hanno spesso bisogno di stabilizzare e consolidare le relazioni con imprese private, ancora caratterizzate da occasionalità e basso valore aggiunto e scorso o nullo coinvolgimento delle stesse imprese nel perseguimento dell’obiettivo sociale dell’inserimento lavorativo.
Il Rapporto “Reti di Inserimento Lavorativo” redatto da Euricse (membro del network di Secondo Welfare) nell’ambito dell’accordo quadro con la Provincia autonoma di Trento, indica che uno strumento utile in tal senso può essere il contratto di rete.
Ne abbiamo parlato con Carlo Borzaga, presidente di Euricse,coordinatore scientifico dello studio e professore Senior presso l’Università degli Studi di Trento.
Prima di entrare nel merito dello studio sull’impiego del contratto di rete da parte delle cooperative sociali di inserimento lavorativo può darci un’idea della situazione del settore?
Quello della cooperazione sociale di inserimento lavorativo è un fenomeno diffuso e di dimensioni significative: oltre 5.252 che nel 2018 occupavano 97.394 addetti. Di questi, più di 30.000 sono lavoratori svantaggiati secondo la definizione della 381 cui si aggiungono diverse migliaia di svantaggiati non certificati e di inserimenti attraverso borse lavoro.
Contrariamente all’idea diffusa che esse dipendano da commesse pubbliche, l’attività di queste cooperative deriva per circa il 50% da relazioni commerciali con imprese convenzionali e con consumatori privati. Inoltre buona parte dell’altro 50% derivante da commesse pubbliche è ottenuto dalla partecipazione a gare solo in parte riservate. Nel tempo hanno saputo sviluppare una vera a propria “tecnologia dell’inserimento lavorativo” e dotarsi di figure professionali innovative, dal tutor al responsabile sociale. Da analisi costi-benefici realizzate da più ricercatori e in contesti diversi è risultato che esse determinano un risparmio di spesa pubblica medio annuo per lavoratore svantaggiato di circa 1.500 euro.
Tuttavia il fenomeno è ancora largamente sottovalutato soprattutto dalle politiche del lavoro: i sostegni pubblici all’attività formativa sono limitati alla fiscalizzazione degli oneri sociali e in tutti i documenti sulle politiche del lavoro, incluso il PNRR, non si trova mai alcun riferimento al ruolo e alle potenzialità di queste cooperative.
Quali sono le criticità che il settore sta vivendo?
Innanzitutto il 50% delle cooperative censite ha meno di 50.000 euro di fatturato: sono quindi imprese ancora piuttosto fragili. Inoltre i livelli e i tassi di crescita della domanda sia pubblica che privata sono in molti casi insufficienti, nonostante nel primo caso siano state sbloccate le gare riservate e nel secondo sia possibile per le imprese con più di 15 addetti ottemperare all’obbligo di assunzione di disabili affidando una commessa ad una cooperativa (come previsto dall’articolo 14 del D.lgs. n. 276/2003) Infine gestiscono produzioni a relativamente basso valore.
Tutto ciò crea difficoltà a formare lavoratori con professionalità adeguate e a collocare i lavoratori formati nel mercato del lavoro aperto con conseguente riduzione della capacità di assorbimento di nuovi lavoratori. Per espandere la presenza e l’attività di queste cooperative è necessario che possano contare su una domanda maggior e di qualità più elevata che può venire solo dalle imprese.
Cos’è esattamente un contratto di rete e perché potrebbe aiutare queste cooperative ad affrontare meglio queste criticità?
È un formale contratto, registrato presso la Camera di Commercio che può assumere autonomia giuridica e patrimoniale – e quindi beneficiare del regime di responsabilità limitata al fondo comune – attraverso cui più imprenditori al fine di accrescere la propria capacità innovativa e la propria competitività si obbligano, sulla base di un programma comune di rete, a collaborare in forme e in ambiti predeterminati o a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica, oppure ad esercitare in comune una o più attività.
Con il contratto di rete si instaurano quindi relazioni di media-lunga durata volte a realizzare forme di cooperazione tra due o più attori, per l’attuazione di uno o più progetti di comune interesse mediante la combinazione e la condivisione di competenze e risorse, anche non materiali, preservando ognuno la propria autonomia, giuridica ed economica.
Un simile contratto può aiutare le cooperative di inserimento lavorativo in diversi modi: a superare i limiti della piccola dimensione consentendo loro di assumere impegni maggiori di quelli consentiti ai singoli partecipanti, a realizzare economie di scala sia nella produzione che negli investimenti e nell’utilizzo delle risorse umane, a consolidare e qualificare le relazioni produttive e commerciali già in essere con altre imprese, a favorire la stabilità occupazionale e la formazione dei lavoratori. A rendere lo strumento interessante è anche il fatto che, benché l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate non possa costituire l’unico scopo del contratto di rete, esso può essere contemplato tra gli obiettivi espliciti dello stesso.
Esistono già contratti di questo genere registrati? Come si caratterizzano?
Sì, le cooperative sociali hanno già scoperto e già utilizzano il contratto di rete. La ricerca ha individuato 34 contratti di rete che coinvolgono anche cooperative sociali e o hanno ad oggetto del contratto (anche) l’inserimento lavorativo e/o la formazione di soggetti in condizioni di svantaggio, oppure sono risultati sensibili al tema o volti a potenziare l’offerta di servizi a soggetti svantaggiati, quasi tutti sottoscritti negli ultimi cinque anni (ben 19 negli ultimi due). Di questi la grande maggioranza (27) include solo cooperative sociali e prevede (in 23 casi) esplicitamente l’obiettivo di favorire l’inserimento lavorativo. Sono invece 11 i contratti che vedono anche la presenza di imprese diverse dalle cooperative: di questi 8 prevedono espressamente anche l’inserimento lavorativo. La gran parte di questi contratti (23 di quelli tra sole cooperative sociali e 8 degli altri) è priva di soggettività giuridica anche se in larga parte sono destinati ad avere lunga durata. Essi includono un buon numero di imprese: 24 coinvolgono tra le 3 e le 9 retiste e 8 più di 10. Dalla ricerca emerge quindi che – almeno per il momento – le cooperative sociali tendono a privilegiare la cooperazione con altre cooperative sociali e nella forma del contratto di rete più semplice, quella senza soggettività.
Come ha ricordato i rapporti tra cooperative sociali e imprese sono da sempre diffusi: il contratto di rete può essere un modo per potenziarli e qualificarli?
Questa è proprio la domanda che si siamo posti all’inizio della ricerca, anche su sollecitazione delle stesse cooperative. Per capire la diffusione e lo stato delle relazioni tra cooperative di inserimento lavorativo e imprese sono stati così intervistati 45 osservatori privilegiati – dirigenti, coordinatori dei servizi o delle risorse umane, responsabili delle relazioni esterne e marketing – 38 appartenenti a cooperative sociali e sette ad altre imprese. L’intervista è stata affiancata da un questionario per raccogliere le informazioni più quantitative, in particolare sul livello di coinvolgimento di altre cooperative e imprese nella governance e sulle attività commerciali e di inserimento lavorativo.
Sono stati inoltre realizzati due focus group con presenza di rappresentanti sia di cooperative che di altre imprese. Ne è risultato un quadro di relazioni molto articolato che va da rapporti in cui prevalgono finalità commerciali, produttive e/o strategiche a rapporti che si prefiggono anche obiettivi sociali e nello specifico finalità formative ed occupazionali a favore delle persone con svantaggio.
Le relazioni con finalità produttive si articolano poi tra quelle che si sostanziano nel conferimento di commesse, quelle che implicano la partecipazione a una filiera orizzontale – in cui le parti collaborano alla realizzazione di una stessa fase – o a una filiera verticale – quando sono finalizzati alla conduzione delle diverse fasi produttive ad opera di imprese diverse. I rapporti in cui è presente anche l’obiettivo dell’inserimento lavorativo si articolano tra quelli in cui la relazione punta ad incrementare il numero e la qualità dell’occupazione di soggetti svantaggiati e quelli in cui si punta invece soprattutto a creare opportunità occupazionali nel mercato del lavoro aperto.
Di interesse sono anche le relazioni tra cooperative sociali e aziende agricole finalizzate a portare sul mercato finale prodotti che uniscono sostenibilità economico-ambientale e solidarietà. Nel complesso tuttavia risultano ancora rare le relazioni che prevedono esplicitamente l’impegno a favorire l’inserimento lavorativo, nonostante esso possa rientrare a pieno titolo nella responsabilità sociale di impresa. Tutto considerato è possibile affermare che il contratto di rete rappresenta dal punto di vista dell’inserimento lavorativo uno strumento di sicuro interesse perché in grado di consolidare le relazioni già in essere tra cooperative e tra queste e le imprese, di avviare nuove relazioni e di stimolare le imprese a includere tra le proprie finalità anche quella dell’inserimento lavorativo.
Tra le novità introdotte dal contratto di rete sono particolarmente interessanti alcune nuove modalità di gestione dei rapporti di lavoro: dalla vostra ricerca risulta che le cooperative li stanno utilizzando? Emergono indicazioni su come utilizzarli?
Alla luce di quanto previsto all’art. 30, co. 4 ter del D.Lgs. 276/2003, due sono gli istituiti che la legge rinvia alla disciplina del contratto di rete, e ad essa soltanto, senza coinvolgere le parti sociali: il distacco (cd. agevolato) e la codatorialità.
L’istituto del distacco consente ad un’impresa di distaccare per un periodo limitato un proprio lavoratore presso un’altra impesa se dimostra che ne trae un vantaggio. Se utilizzato nell’ambito del contratto di rete il distacco si dice “agevolato” perché l’impresa distaccante non deve dimostrare che ne trae un vantaggio. Esso è dato per scontato.
La codatorialità è invece uno strumento del tutto nuovo – e per questo non ancora sostenuto da una adeguata giurisprudenza – con cui si riconosce la possibilità, in capo a due o più imprenditori solo se appartenenti ad una rete di imprese, di utilizzare, in forma cumulativa e promiscua, la prestazione di uno o più lavoratori, condividendo il potere direttivo, secondo le forme stabilite nel contratto di rete e in funzione del relativo programma.
Tra i contratti di rete analizzati nel corso della ricerca sono ancora pochi quelli che prevedono e disciplinano il ricorso a questi strumenti, anche se dai focus group emerge un interesse crescente per il loro utilizzo. In particolare il distacco potrebbe esse di interesse sia per stabilizzare lavoratori in presenza di attività caratterizzate da stagionalità che per fare loro esperienze professionali diverse, mentre con la codatorialità le cooperative potrebbero condividere lavoratori con specializzazioni sia produttive e commerciali che funzionali alla formazione e all’inserimento lavorativo che da sole non potrebbero pienamente impiegare. È però necessario che vengano definite e individuate con molta precisione le modalità di regolamentazione di questi strumenti all’interno degli stessi contratti, come abbiamo cercato di illustrare nel rapporto di ricerca e nelle linee guida.
Per approfondire
Il Rapporto e Le Linee Guida si possono scaricare dal sito di Euricse a questo link.