Abbiamo chiesto a Sebastiano Citroni di raccontarci i contenuti principali del suo ultimo libro, L’associarsi quotidiano. Terzo settore in cambiamento e società civile, dedicato ai cambiamenti e alle funzioni del Terzo Settore in Italia. Ecco una sua sintesi sui contenuti del volume. |
Gli studi sul Terzo Settore italiano hanno tra le loro chiavi interpretative principali quella dell’istituzionalizzazione, intendendo questa categoria in almeno due modi:
- in termini più concreti, come inserimento del Terzo Settore nell’apparato istituzionale del welfare locale;
- in senso più teorico, come consolidamento e stabilizzazione dei suoi modelli d’intervento e forme organizzative, spesso in relazione sia alla precedente accezione di istituzionalizzazione sia al suo accresciuto peso economico e imprenditoriale.
Per entrambe queste accezioni la centralità del tema dell’istituzionalizzazione per il Terzo Settore rimanda a precise ragioni storiche, relative ad esempio ad un inserimento e ruolo attivo nel welfare locale così precoce ed avanzato da non avere uguali a livello europeo (Ranci 2015). Inoltre, per quanto datato il suo avvio, il processo d’istituzionalizzazione del Terzo Settore è tuttora in corso, sostenuto dalla riforma legislativa avviatasi nel 2016 e dei nuovi istituti della coprogrammazione e coprogettazione.
I limiti dell’istituzionalizzazione
Più delle sue origini, rileva in questa sede segnalare le implicazioni derivanti dall’istituzionalizzazione del Terzo Settore, a partire dall’evidenziare che per gruppi e attori interessati questo processo si manifesta con la necessità di adeguarsi a criteri che semplificano, rendono leggibile e standardizzato un mondo plurale ed eterogeneo come quello del Terzo Settore. Secondo quanto mostrato da Scott (2019), le leve di questa leggibilità semplificata risiedono sia nello Stato sia nel Mercato: ad esempio, l’accesso a fondi privati richiede trasparenza e misure d’impatto sociale standard, così come l’iscrizione al registro unico del Terzo Settore prevede di ricondurre l’attività svolta ad almeno uno dei 26 ambiti definiti dal legislatore.
Il punto è che dall’adozione di simili criteri deriva non solo una lettura semplificata di cosa il Terzo Settore sia, ma anche l’implicazione più sottile di assumere che la sua identità e il suo ruolo si esauriscano nelle rappresentazioni ed istituzioni ufficiali per mezzo delle quali gli è chiesto di operare e definirsi. In altri termini, per gli enti di Terzo Settore (ETS) l’istituzionalizzazione sarebbe diventata così preminente da dare l’impressione – tanto ai suoi operatori quanto ai suoi osservatori esterni – che questa dimensione esaurisca il quadro di ciò che è il Terzo Settore oggi è e realizza con il proprio operato.
Invece, chi scrive ritiene che in genere l’istituzionalizzazione sia solo un aspetto di un Terzo Settore che rimane fenomeno molto più sfaccettato e complesso se osservato da vicino e nel suo farsi quotidiano.
Guardare alle istituzioni e vedere le pratiche
La semplificazione del Terzo Settore legata alla sua istituzionalizzazione non è una rappresentazione neutra, ma invece incide profondamente sulla sua identità, a partire dal fatto che i nuovi enti spesso nascono già semplificati adottando i criteri standard richiesti per fini amministrativi o esigenze di mercato.
Invece, gli ETS con una propria storia precedente faticano ad adattare i codici impliciti e locali delle proprie pratiche a criteri espliciti di trasparenza a beneficio di soggetti esterni e a tradurre logiche d’azione situate in valutazioni standard generalizzabili. Si tratta di difficoltà importanti nel segnalare come, oltre l’istituzionalizzazione ufficiale, vi sia molto altro nel Terzo Settore contemporaneo, relativo in particolare alla dimensione più sfuggente delle sue pratiche quotidiane. Sebbene in genere considerate irrilevanti dopo la fase iniziale di strutturazione dei gruppi, tali pratiche invece permangono nel tempo, si stabilizzano in routine e manifestano anch’esse una dimensione istituzionale nell’inerzia che oppongono ai cambiamenti dell’istituzionalizzazione ufficiale.
Nella prospettiva dell’associarsi quotidiano pratiche e istituzioni non sono poli tra loro opposti, come generalmente si assume, ma intrattengono una relazione complessa che richiede di specificare ciascuno di questi poli: ad esempio, distinguendo le istituzioni ufficiali da quelle che silenziosamente puntellano la vita quotidiana dei gruppi e le loro pratiche. Cogliere l’identità del Terzo Settore oggi, i cambiamenti che lo attraversano, le funzioni che esso realizza con le proprie attività significa occuparsi tanto della dimensione istituzionale ufficiale quanto di quella delle pratiche informali che avvolgono, derivano e sostengono la prima.
Oltre alla già citata difficoltà degli ETS nel rendersi leggibili in base a criteri amministrativi o a quelli della trasparenza richiesti dall’acceso al Mercato, vi sono almeno altri due sintomi della rilevanza delle pratiche quotidiane dell’associarsi e della loro dimensione istituzionale. Innanzitutto istituzioni e rappresentazioni ufficiali imposte al Terzo Settore rilevano negli usi che gruppi e attori ne fanno, usi che inevitabilmente differiscono da quelli formalmente previsti (de Certeau 1990).
Ad esempio, il bando è un’istituzione del Terzo Settore, dato che ne incanala l’azione, limitandola e sostenendola al contempo: di fatto, esso è spesso usato anche per scopi diversi da quelli formalmente previsti – come il finanziamento di attività ordinarie piuttosto che la loro innovazione – e così facendo quest’istituzione si consolida sul piano formale mentre, a livello informale viene mutata dall’interno, negli usi situati che di essa vengono fatti. Nella prospettiva proposta gli usi non sono del tutto casuali ma rispondono ad una propria logica di funzionamento, diversa da quella delle istituzioni ufficiali ma anch’essa istituzionale nel suo carattere collettivo e routinario.
Ulteriore conferma del fatto che le istituzioni ufficiali non esauriscono il perimetro rilevante del Terzo Settore e del fatto che tale dimensione non si opponga a quella delle pratiche la si può trovare guardando da vicino un contesto locale tradizionalmente ricco dal punto di vista della sua società civile quale quello milanese. Qui, infatti, non solo ad un Terzo Settore imprenditoriale e caratterizzato da una storica tradizione collaborativa con l’amministrazione pubblica si accompagna un diffuso associazionismo informale (di comitati, volontari e cittadini che si auto-organizzano) spesso del tutto autonomo dal governo locale.
Queste due componenti del Terzo Settore non si oppongono ma spesso si annidano l’una nell’altra, ad esempio nelle cooperative sociali che alimentano gruppi di volontari o nelle iniziative della cittadinza che si fanno imprese sociali. Infatti, dal punto di vista delle sue pratiche quotidiane un’associazione ne ha dentro molte altre, a seconda delle circostanze di volta in volta osservate: ad esempio, nello studio condotto talvolta gli stessi appartenenti ad un’associazione di promozione sociale agivano come gruppo di advocacy, in altre occasioni si comportavano come membri di un’impresa sociale, in altre ancora come militanti di un’organizzazione di movimento (Biorcio, Vitale). Si tratta di diversi modi di fare gruppo che rinviano ad una dimensione istituzionale dato che non sono inventati ex novo ogni volta, ma sono invece praticati attingendo da un repertorio di modelli d’interazione condivisi in un dato contesto culturale.
Un associarsi quotidiano in cambiamento
La pluralità di forme relazionali praticate nel Terzo Settore è assente dalle sue rappresentazioni semplificate imposte dalle esigenze di leggibilità legate all’istituzionalizzazione, ma essa costituisce il focus principale dello studio svolto sull’associarsi quotidiano. Attraverso l’approccio etnografico questa prospettiva ha mappato nelle iniziative civiche attivate in un quartiere periferico milanese cinque stili associativi (la comunità di interesse, la comunità di identità, la militanza, il volontariato occasionale e la cittadinanza attiva), definiti come “stili di scena” (Lichterman e Eliasoph 2014) in quanto in genere compresenti nella stessa organizzazione e praticati a seconda delle diverse occasioni (o scene) della sua vita quotidiana e del senso di appropriatezza di volta in volta vigente.
Nell’analisi proposta gli stili di scena dell’associarsi quotidiano rilevano non solo in quanto offrono una rappresentazione del Terzo Settore fedele ai vissuti dei suoi protagonisti ma soprattutto perché gli stili praticati costituiscono un osservatorio privilegiato su due dimensioni generali altrimenti difficilmente accessibili. La prima riguarda il significato per i singoli gruppi e le implicazioni per la loro vita quotidiana di alcuni cambiamenti generali in corso nel Terzo Settore, mentre la seconda dimensione attiene al ruolo sociale di fatto svolto dagli ETS attraverso il proprio operato.
Rinviando allo studio svolto per i risultati di ricerca emersi su entrambe queste dimensioni, qui si sottolinea come lo studio dell’associarsi quotidiano condotto ha evidenziato come questa dimensione stia attraversando in questo momento storico un profondo cambiamento, articolabile su due distinti livelli.
In primo luogo, c’è una trasformazione interna al repertorio di stili di scena più immediatamente disponibili per l’impegno civico e di Terzo Settore, con l’ingresso e la legittimazione nel nostro contesto di modelli d’interazione relativamente nuovi (per esempio il volontariato occasionale o la comunità di interesse delle molte coalizioni del Terzo Settore contemporaneo) e il declino di precedenti forme dell’associarsi (come la militanza), in relazione soprattutto al mutare del contesto istituzionale ufficiale.
In secondo luogo, vi sono le avvisaglie di un cambiamento più generale e preoccupante che, in sintesi, riguarda la delegittimazione dell’associarsi quotidiano in quanto dimensione per definizione plurale, nella quale convivono diversi modi di fare gruppo ugualmente legittimi. Invece, l’associarsi quotidiano appare sempre più minacciato sia dall’interno del Terzo Settore, quando i suoi protagonisti non sanno accogliere nuovi stili come un arricchimento, sia dall’esterno da parte di chi professa ricette uniche che prevedono come ci si deve organizzare per avere successo nel perseguire la mission associativa. Affermare che all’interno di un ETS vi sia un solo modo giusto di associarsi cui bisogna conformarsi può forse andare bene per la parte professionalizzata del Terzo Settore ma inevitabilmente accentua la fuga della sua componente volontaria segnalata dagli ultimi dati Istat sul non profit.
Riferimenti bibliografici
- de Certeau M. (1990) [1980], L’invenzione del quotidiano, Roma, Edizioni Lavoro.
- Lichterman P. e Eliasoph N. (2014), Civic Action, in “American Journal of Sociology”, vol. 120, n. 3, pp. 798-863.
- Ranci C. (2015), The long-term evolution of the government third sec¬tor partnership in Italy: Old wine in new bottle?, in “Voluntas”, n. 26, pp. 2311-2329.
- Scott J. (2019) [1998], Lo sguardo dello stato, Milano, Eleuthera.