Il prologo di molta innovazione sociale risiede nell’ascolto e nella conversazione. Ne abbiamo avuto conferma nell’interessante webinar che si è svolto nella prima settima di luglio con gli ex alumni del Corso di Alta Formazione in Welfare Community Management dell’Università di Bologna – a cui hanno partecipato una trentina di rappresentanti di organizzazioni di Terzo Settore, della pubblica amministrazione e delle aziende for profit – dove sono emerse numerosi idee e desiderata per il ritorno settembrino alla cosiddetta “nuova normalità”, di cui però nessuno sa immaginare le forme.
È convinzione di molti che, per un tempo ancora imprecisato, la situazione sarà incerta e che ogni ritorno alla normalità sia rimandato a “data da stabilire”. Una navigazione a vista che apre ad un vero e proprio processo di scoperta, di esplorazione. Dopo un breve periodo di sospensione dei servizi, molti dei protagonisti del welfare territoriale si sono rimessi in moto cercando di rispondere alle drammatiche sfide della pandemia. Pochi son rimasti fermi: molti hanno cominciato a modificare le loro “barche” e l’organizzazione "dell’equipaggio", mentre in mare era in corso una tempesta.
Crediamo che questo stato di “certa incertezza” sia una condizione sociale del tutto nuova che, pur accelerando una serie di processi già in atto prima delle pandemia, stia generando anche una sorta di “esperimento sociale” su scala globale da cui occorre apprendere velocemente per capire come adattarsi creativamente all’imperscrutabile futuro che verrà. In questo senso sono due i diversi registri – sociali e temporali – che sembrano scorrere in parallelo senza incrociarsi mai. Anzi, per certi versi, sembrano affrontarsi in una aperta contraddizione.
Innovazione e New Normal: alla ricerca di una stabilità
Il primo registro narra di un futuro dei servizi di welfare che, confrontandosi con la crisi pandemica, è alla ricerca di una nuova “stabilità”. Tutti gli interventi hanno raccontato di un enorme e quotidiano sforzo di risposta ai problemi che ha innescato processi di innovazione, costruito nuovi rapporti sul territorio con attori sociali diversi, “rimescolato” vecchie procedure e modi di fare.
Questa distruzione creativa di abitudini previe, da tutti valutata positivamente, deve però trovare in futuro una sua stabilizzazione. Le parole d’ordine sono quelle del “creare continuità assistenziale”, “dare sicurezza ai cittadini”, “contrastare la solitudine” che per molti è arrivata con il distanziamento fisico e anche sociale. Molto importante è stata considerata la dimensione dell’ascolto-strutturato, soprattutto per fare coprogettazione, una modalità di lavoro che da tempo – attanagliati come le organizzazione erano tra gli standard dei servizi da garantire e la necessità di rispondere alla richieste del territorio – non era più veramente praticata.
Un altro tema sollevato da molti è stata l’esigenza di “ri-familiarizzare i servizi” – per esempio passando dallo smart working all’home working. In altri termini, il primo registro di senso ritorna sull’enorme sforzo messo in atto nei mesi scorsi – sforzo che ha attivato nuovi attori, logiche, servizi, etc. – per cercarne una stabilizzazione anche (e questo ci pare interessante) per contrastare processi in atto da tempo di accelerazione, virtualizzazione , smaterializzazione, disembodiment dei servizi di cura.
Il digitale come fattore abilitante
Il secondo registro di senso, invece, narra di processi e logiche molto diverse, ma sempre estremamente rilevanti per la risposta alla crisi. In questo ambito è emersa la dimensione abilitante del digitale, l’unica che — entro la cornice del distanziamento fisico – ha permesso un redesign dei servizi e la continuità di molte cure. In particolare il discorso si è focalizzato sulla moltiplicazione di “piattaforme” che sono servite a comunicare in modo veloce, a erogare servizi che si erano fermati, a fare sintesi delle domande e delle risposte del territorio. Una facilitazione che ha re-intermediato il dialogo fra le organizzazioni e fatto riscoprire nel Terzo Settore alleanze sopite. Nella vita ante-Covid, le routine delle procedure avevano indebolito il desiderio di parlarsi, di co-progettare, di sedersi a un tavolo per innovare.
Le piattaforme hanno sostenuto processi di reticolazione; hanno sorretto la promozione di nuove alleanze; hanno permesso di distribuire beni e servizi che non sarebbero potuto essere erogati in altro modo. Spesso la digitalizzazione si è dimostrata più un problema per i professionisti che per gli utenti che invece ne hanno fatto un uso massiccio.
Questo secondo registro di senso ha perciò sottolineato quanto la tecnologia, la smaterializzazione, la dis-intermediazione, la velocità e anche la standardizzazione, abbiano aiutato a ricostruire legami laddove il lockdown li aveva tagliati.
La necessità di un intreccio creativo
I due registri di senso – lento e denso il primo, veloce e liquido il secondo – venivano spesso contrapposti prima della pandemia e, anche durante, alcuni attori li hanno letti come uno in relazione compensativo all’altro. A noi invece pare che la “storia” sia diversa. In realtà i due registri sono complementari e non possono essere separati, pena una perdita di senso e di efficacia notevole. Più nello specifico e per il futuro occorre riflettere su un loro intreccio creativo. Questo intreccio lo si può declinare in modi molto diversi. Ne sottolineiamo solo alcuni.
Governance plurale e reticolare dei servizi di welfare
Il primo punto riguarda il tipo di attori e le regole di governance del nuovo welfare post-Covid. Dagli interventi risulta chiaro che non si potrà tornare a un welfare né a trazione pubblica né privata. Quel dibattito sembra ormai in “secca”. A emergere è piuttosto un welfare societario regolato da una governance sperimentale e aperta dove il Terzo Settore non sarà più prevalentemente l’esecutore dei decisione prese dalla pubblica amministrazione e dove il privato non sarà solo più incluso nel sistema in termini di riduzione dei costi e ampliamento dell’offerta. Tutti gli attori, compreso un volontariato in crescita, dovranno sedere in “cabine di regia” dove, mediante cicli di comunicazione e di ascolto profondi (includenti anche i rappresentanti degli utenti) si deciderà insieme della innovazione. La coprogettazione, infatti, necessita di conoscenza tra gli attori, di fiducia e di interscambio continuo e stabile (che non si può fare in modo meccanico come nei classici tavoli di lavoro chiamati dalla amministrazione pubblica). In tal senso in due registri della stabilità e della innovazione possono trovare un loro intreccio evitando di procedere in parallelo e rincorrendosi.
Conversazione necessarie
“Conversazione necessaria” è il titolo di un famoso libro di Turkle dove la scienziata americana metteva in allarme dall’utilizzo massiccio di social network, a discapito della relazione interpersonale, perché la “virtualizzazione” avrebbe eroso capacità umane indispensabili quali l’empatia, la vicinanza fisica che agevola l’ascolto non sono delle “informazioni”, ma della persona et. In realtà quello che pare emergere oggi è una conversazione necessaria che passa attraverso registri comunicativi diversi, ma intrecciabili, che possono entrare in sinergia. Che la sempre troppo generica “relazione” tra attori passi per una piattaforma o per un ascolto interpersonale profondo, conta meno di quanto contino i “registri comunicativi” messi in atto. Una piattaforma comunicherà in un certo modo (che non esclude comunque una relazione ben strutturata con gli utenti), mentre i servizi alla persona attiveranno un registro comunicativo diverso (che non esclude però una messa in rete dell’utente, togliendolo da un rapporto troppo stretto con l’operatore). Anche in questo caso i due registri devono trovare una loro composizione sinergica, sottraendosi alla retorica polarizzante del aut aut.
Processi istitutivi
Come tutti gli attori hanno riconosciuto la crisi, oltre a un enorme e drammatico problema, può anche rappresentare una opportunità. Per farlo occorre però che tutte le risorse che si sono attivate nel momento critico, vengano ora messe a sistema. In altri termini occorre “capitalizzare” le sperimentazioni attivate in termini di “investimenti” a medio termine entro la cornice di una governance sperimentale e aperta continuamente alla auto-trasformazione. Di questa vera e propria istituzione di nuove forme di welfare territoriale saranno massimamente responsabili gli attori stessi che dovranno verificare e richiedere continuamente al “sistema” di rimanere aperto e ricettivo delle novità.
Queste tre direttrici non sono appena "segnali deboli" di alcuni territori, ma la domanda di una diversa concezione di welfare. La "nuova normalità" passa, infatti, da una discontinuità nel rapporto con la PA: è urgente una rinnovata convergenza capace di superare le secche di una relazione costruita intorno al modello Principale-Agente. Gli "Agenti" dei servizi, infatti, sono chiamati ad entrare e co-progettare con il "Principale", affinché il sistema possa rimane dinamico, attivo e trasformativo: un Motum Perpetuum.