I dati sugli asili nido sintetizzati e commentati dai ricercatori di Secondo Welfare nell’inserto Buone Notizie del Corriere della Sera di qualche settimana fa consentono di proporre alcune riflessioni che riguardano non solo questo specifico ambito, ma più in generale un particolare modello di welfare e, al suo interno, il ruolo esercitato da un altrettanto particolare attore ovvero il Terzo Settore e ancor di più l’impresa sociale.
Tra i vari dati sintetizzati in una bella ed efficace infografica uno colpisce più di altri: si tratta del rapporto tra il tasso di occupazione femminile (per di più in una fascia “giovanile” tra i 25 e i 34 anni) e i posti negli asili nido ogni 100 bambini tra i 0 e i 2 anni.
Quel che si osserva è un andamento non lineare tra le due variabili, in particolare al crescere della disponibilità di posti negli asili nido non fa sempre seguito un aumento “automatico” dell’occupazione femminile. Questa tendenza è visibile soprattutto in regioni come Emilia-Romagna e Toscana, che sugli asili nido hanno tradizionalmente impostato le loro politiche ma anche la cultura e la narrazione dei loro sistemi di protezione sociale.
Il legame tra welfare e sviluppo
Questa osservazione puntuale consente di sollevare ulteriori interrogativi (ad iniziare dal “peso specifico” esercitato da altre variabili nel determinare l’andamento del mercato del lavoro femminile) riconducibili a una questione di fondo, ovvero alla natura e alla consistenza del rapporto tra sistemi di welfare e sviluppo socio-economico e occupazionale, in particolare a livello locale. Un tema che dagli asili nido si potrebbe estendere ad altri ambiti, ad esempio alla formazione professionale, all’inclusione sociale, al welfare aziendale, ecc.
I dati sui nidi sembrano quindi rimandare a un più ampio problema di efficacia degli interventi e degli attori (che spesso, come si ricordava, sono di Terzo Settore e ancor di più d’impresa sociale) che hanno fatto proprio un approccio al welfare che alcune scuole di pensiero definiscono “produttivista” e altre “generativo“. Terminologie che denotano, anche in campo scientifico, la presenza di sfumature culturali diverse nell’analizzare e modellizzare, in chiave applicata, la protezione sociale.
Ma oltre a una questione di efficacia sembra emergere anche un tema di legittimazione. Oggi infatti paiono aumentare le posizioni critiche verso modelli di welfare che enfatizzano il legame con fattori “hard” dello sviluppo perché potrebbero generare e non curare squilibri e disuguaglianze. Ancora una volta, i dati sui nidi sono esemplificativi: secondo questi i servizi educativi sarebbero fruiti soprattutto da famiglie di livello economico medio alto. Da qui emerge che le famiglie più bisognose rimangono ai margini dell’offerta.
La tenaglia e la tentazione di appiattarsi
Il welfare che accetta la sfida di fare da “motore dello sviluppo” sembra stretto in una tenaglia: da una parte l’efficacia non sempre evidente dei propri interventi nell’alimentare occupazione, crescita economica, coesione sociale; dall’altra la natura selettiva dell’offerta che sembra minare un principio classico del welfare – l’universalismo – che in questa fase storica torna prepotentemente alla ribalta stante la crescita e la differenziazione dei divari in termini di esclusione ben oltre i “livelli di guardia”.
Forte la tentazione quindi di tornare a un welfare “piatto” dove in nome della lotta a disuguaglianze crescenti e diffuse in strati sempre più ampi della popolazione si richiedono interventi basati su prestazioni base in risposta a bisogni primari (ad esempio la povertà alimentare) e trasferimenti economici legati al “semplice” godimento della cittadinanza o di altri criteri molto essenziali (si pensi, ad esempio, ai criteri di assegnazione dei “ristori” durante la pandemia).
Una tendenza che inevitabilmente rimette al centro la redistribuzione, spesso monetaria, dello Stato (anche con l’intento di alimentare l’offerta politica populista) e tende di converso a marginalizzare interventi eccessivamente “tagliati su misura” caratterizzati, al di là dello specifico ambito di azione, da intenti di empowerment di determinate fasce di popolazione o territori. Interventi, questi ultimi, spesso garantiti in forma di servizi da parte di enti di Terzo Settore in partnership con amministrazioni pubbliche locali ed enti filantropici.
Tendenze da considerare
Ma è davvero così? Il welfare produttivista o generativo sarà destinato a esercitare un ruolo marginale, se non ancillare, rispetto a quello redistributivo dello Stato? Forse non del tutto considerando alcune altre tendenze descritte di seguito.
Strumenti responsabilizzanti
La prima, ben evidenziata dall’intervento del professor Ferrera in un recente incontro con i partner di Secondo Welfare, consiste nella reintroduzione su più vasta scala di strumenti di “dote” e “budget” che abilitano l’utente dei servizi di welfare affinché in modo più consapevole “destabilizzi” l’offerta in risposta ai propri bisogni compiendo scelte non basate sul mero godimento di diritti (e servizi) prestabiliti. Tutto ciò può avvenire da una parte grazie a una maggiore apertura dell’offerta, superando i criteri canonici di accreditamento. Dall’altra può avere luogo a seguito di una migliore capacità di accompagnamento nella scelta, come emerge anche dal dibattito sulla riforma del reddito di cittadinanza.
Ibridazioni socio-tecnologiche
La seconda tendenza consiste nell’affermazione di piattaforme socio-tecnologiche “phygital” che intermediano non solo servizi ma anche risorse economiche (dai buoni spesa ai fringe benefit) che possono essere almeno in parte riconvertite in servizi professionali e regolari in termini fiscali grazie all’azione di operatori sociali che operano in veste di welfare manager. Questa tendenza incubata all’interno del welfare aziendale si sta progressivamente affermando anche in ambiti di welfare territoriale consentendo sia di allargare l’offerta, sia di renderla più inclusiva rispetto a fasce della popolazione che non sono in carico ai servizi sociali pubblici come dimostra il recente working paper di Secondo Welfare dedicato all’evoluzione della piattaforma welfarex del Gruppo cooperativo Cgm.
Centralità del benessere
Una terza tendenza, più di tipo politico-culturale, consiste nell’elaborazione e progressiva affermazione di modelli di sviluppo su scala territoriale dove benessere, inclusione, ecc. sono al centro e non solo esternalità e correttivi, come dimostra, ad esempio, la collana di rapporti “Coesione è competizione” della Fondazione Symbola. In questo modo la protezione sociale e gli attori di Terzo Settore possono svolgere un ruolo di mutamento sistemico. Questo contribuisce a ridefinire su nuove basi i meccanismi di generazione e redistribuzione del valore, superando una visione. Tale osservazione riguarda la componente di “socialità” svolge al massimo una funzione riparativa dei fallimenti del mercato (e dello Stato).
Nuove coalizioni di scopo
Questi – e probabilmente altri – fattori di cambiamento attendono “solo” che qualcuno li ricomponga in un nuovo quadro di significato e di azione strategica, magari attraverso nuove coalizioni di scopo autentiche, cioè dotate di capacità coprogettuali, assetti di governance allargata, capacità valutativa orientata all’impatto sociale.
Se è vero che in questa fase storica le coalizioni di scopo si caratterizzano soprattutto per intenti di advocacy, come emerge ad esempio da un recente articolo di Cristiano Gori pubblicato su Vita, rimane comunque aperta la capacità di risposta secondo i già citati modelli “produttivi”, basati cioè su sistemi di offerta all’altezza delle sfide di protezione e sviluppo poste da una società che si avvia lungo una non facile ma ineluttabile transizione verso la “nuova normalità”.
Da questo punto di vista varrebbe la pena guardare anche a realizzazioni del recente passato ma che hanno in sé ancora molto potenziale di futuro. È il caso, ad esempio, del consorzio Pan, una coalizione di scopo tra impresa sociale e sistema finanziario che ormai da dieci anni allarga e qualifica l’offerta di asili nido a livello nazionale. Una rete tematica che visti i dati sui nidi ricordati in apertura meriterebbe un ulteriore rilancio e investimento.