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In un articolo pubblicato sul numero 3/2021 della rivsta Impresa Sociale Andrea Bernardoni, Massimo Cossignani, Daniele Papi e Antonio Picciotti indagano quale sia il ruolo delle imprese sociali e delle organizzazioni del Terzo Settore all’interno dei processi di rigenerazione urbana. Di seguito vi presentiamo i principali contenuti del loro approfondimento, che potete trovare nella sua versione integrale nel sito di Impresa Sociale.

Da riqualificazione a rigenerazione urbana, un cambio di prospettiva

Gli autori spiegano che “rigenerazione urbana” è un termine nuovo all’interno delle discipline che trattano la questione urbana. La definizione non si presta a fraintendimenti. Essa rappresenta “un’attività di trasformazione che incide sulla struttura e sull’uso della città“. Ma non solo. Perché implica infatti “cambiamenti non solo spaziali e fisici ma anche economici, culturali, sociali e creativi“. Un processo di trasformazione evidentemente non semplice, ma decisamente chiaro negli intenti e nei risultati che ci si aspetta.

In precedenza si parlava di ri-qualificazione urbana per tutti quegli interventi sul territorio finalizzati a contrastare “processi di degrado”, che rendevano per l’appunto queste zone de-qualificate. Una prospettiva che si presta a facili strumentalizzazioni e relativismo. Anche per questo il passaggio da un’espressione all’altra non è stato di natura meramente lessicale, quanto un simbolico passo all’interno di un percorso più complesso.

Il termine urban regeneration ha origine nei paesi anglosassoni: sono esempi di grandi interventi quelli operati a Liverpool, Manchester, Newcastle, Glasgow. La stessa trasformazione è avvenuta a Bilbao e Barcellona in Spagna, a Torino Genova e Milano in Italia, a Marsiglia e Nantes in Francia, a Lipsia e nell’area della Ruhr in Germania, dove il più grande distretto industriale del Centro-Europa è divenuto un famoso distretto culturale, scientifico, tecnologico ed ambientale.

Perché oggi parliamo di rigenerazione urbana

Il processo di dismissione industriale di questi grandi centri urbani è dovuto a una serie di trasformazioni macro-economiche. Si tratta di processi che hanno agito globalmente tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, in particolare in quei settori dell’industria manifatturiera più tradizionale e pesante, al centro dello sviluppo di molti contesti urbani.

L’impatto dell’automazione e delle innovazioni organizzative ha giocato un ruolo fondamentale. Ha limitato l’esigenza di grandi superfici per la produzione e la commercializzazione dei prodotti, influendo sulla domanda di suolo urbano. I grandi e vecchi impianti ottocenteschi sono divenuti così obsoleti e il loro ammodernamento avrebbe richiesto ingenti risorse economiche e tecniche. In tutto ciò si deve poi aggiungere la forte pressione esercitata dalla speculazione edilizia. Gli imprenditori hanno infatti progressivamente “spostato” le proprie aziende in periferia, in attesa di rivendere le aree divenute semicentrali.

Questi fattori hanno prodotto una enorme eredità di edifici abbandonati e spazi degradati. E la città vi è cresciuta intorno, fino a collocarli in posizione centrale o semicentrale. Pertanto, mentre fino agli anni Settanta la città cresceva per addizione, oggi la sua crescita vede il riuso di sé stessa stessa come perno di sviluppo.

Questo, spiegano gli autori, porta con sé due implicazioni: cambio di destinazione, cioè di funzione delle aree, e cambio di popolazione all’interno di essa (attraverso processi di gentrification). Grazie ad investimenti di recupero, le aree dismesse, le caserme, i porti, gli scali diventano zone suscettibili di valorizzazione e rivalutazione. Il riuso funzionale fa sì che una zona cambi destinazione funzionale. La gentrification, invece, mantiene la destinazione di residenza, introducendo un tipo di popolazione differente con livelli di acquisto superiori.

È un processo che incide fortemente sulla fisionomia della città. Mutano le sue funzioni strategiche per garantire l’efficienza del tessuto produttivo locale e l’abilità nell’attrarre ulteriori attività economiche. Allo stesso tempo si arricchiscono di nuovi significati quelle funzioni tradizionali connesse al benessere collettivo, alla qualità dei rapporti sociali, all’efficienza della forma urbana. Quella attuale diventa quindi una città frammentata, luogo di specificità e complessità.

Quale ruolo per le imprese sociali e il Terzo Settore?

Come Secondo Welfare ha raccontato anche nella serie #RigenerAzioni, i progetti di riqualificazione e riconversione rendono perciò necessaria una trasformazione radicale nell’uso quotidiano degli spazi. Un processo condiviso che ha la finalità di reintegrare gli edifici con il territorio, la città, i cittadini, i loro valori e desideri.

È quindi necessario predisporre azioni che prevedano la partecipazione delle comunità locali. Se da un lato un’area dismessa rappresenta un’opportunità, dall’altro lato è una sfida per riassegnare correttamente agli edifici esistenti un riconoscimento identitario, perso nel corso del tempo. Le grandi opere architettoniche ed urbanistiche non sarebbero sufficienti senza un piano di recupero delle periferie. E un miglioramento tangibile di infrastrutture, qualità della vita e, soprattutto, un reale coinvolgimento della popolazione nel ridisegno della città.

In questo scenario, le imprese sociali e le organizzazioni del Terzo Settore assumono un ruolo di rilievo. Queste realtà possono svolgere un ruolo fondamentale nella promozione delle iniziative di rigenerazione urbana e nella gestione di tutte quelle attività necessario allo scopo. E questo grazie alla loro capacità di ascoltare i territori, aggregare persone portatrici di visioni e valori differenti, essere portavoce di istanze provenienti dal basso, connettere realtà pubbliche, imprenditoriali e comunitarie.

Tuttavia, nella letteratura scientifica dedicata a questo tema, è possibile rilevare l’esistenza di un duplice gap. Da un lato, le esperienze di rigenerazione urbana sono indagate come singoli e specifici casi da cui trarre possibili indicazioni di policy. Sotto questo aspetto, appare difficoltoso rinvenire indagini comparate condotte su ampia scala, volte a delineare le caratteristiche comuni, le differenze, i benefici e le criticità presenti in una pluralità di esperienze di rigenerazione urbana.

Dall’altro lato, in questi studi focalizzati su singole iniziative, il ruolo delle organizzazioni del Terzo Settore si delinea spesso come una semplice componente di un processo multidimensionale. Gli aspetti solitamente approfonditi sono quelli di carattere tecnico (urbanistico, tecnologico, finanziario, ecc.). La dimensione della governance e la funzione svolta dalle organizzazioni del terzo settore viene generalmente collocata in una posizione di subalternità.

Traendo spunto da questi gap, l’articolo di Andrea Bernardoni, Massimo Cossignani, Daniele Papi e Antonio Picciotti intende identificare il ruolo di tali organizzazioni nell’ambito dei processi di rigenerazione urbana che si sono sviluppati in Italia nel corso degli ultimi anni e sulla base delle evidenze empiriche elaborare alcune indicazioni di policy che potranno essere adottate dai decisori pubblici sia a livello nazionale che a livello locale a partire dal processo di attuazione del Piano Nazionale Ripresa e Resilienza che attribuisce grande rilevanza alla rigenerazione.


Leggi l’articolo integrale su Impresa Sociale 3/2021