Nei giorni scorsi si è tenuta a Sant’Anastasia, in provincia di Napoli, la seconda edizione di “Fuori è dentro” (della prima vi parlammo qui), un evento che riporta al centro la dimensione laboratoriale nella Rete CGM – Consorzio Gino Mattarelli e in particolare la sua comunità di pratica in ambito educativo. Un sistema di competenze che si forma e aggiorna lungo una filiera in espansione guardando alle fasce di età (sempre più orientate a coinvolgere ragazzi e giovani adulti), ai modelli di servizio (in questo caso imperniati sulle attività sportive) e ai contesti (la periferia di una grande città).
Agenti di cambiamento
Il laboratorio ha coinvolto soprattutto i livelli operativi e intermedi delle imprese sociali – pedagogisti, educatori, coordinatori di servizi – cioè persone impegnate nell’erogazione e nella gestione di sistemi di servizio complessi per tipologia delle attività e attori coinvolti. Questi professionisti, quindi, sono sempre più sollecitati a generare e a condividere apprendimenti che scaturiscono da ambienti di riferimento di per sé generativi, in particolare per la distanza sempre più ravvicinata ai beneficiari e alle loro comunità. Ed è proprio questa prossimità che svolgono un ruolo rilevante di agenti di cambiamento e in questa veste possono rappresentare, se adeguatamente sostenuti, la “next generation” dell’imprenditoria e del management sociale.
Dimensione outdoor ed ecologia integrale
Un ulteriore elemento di interesse che è scaturito dal workshop consiste nella sfida lanciata dalla dimensione outdoor ai diversi approcci e modelli pedagogici che si sono via via affermati in questi anni e che sempre più da vicino ispirano e determinano il contenuto dei servizi (avevamo approfondito il tema qui). Questi modelli di azione e soprattutto le loro matrici culturali sono sempre più “costrette” a misurarsi fuori dalla comfort zone delle strutture canoniche (scuole, nidi di infanzia, ecc.) guardando a uno spazio esterno che, come ricordato alle recenti Giornate di Bertinoro per l’economia civile, consiste in una “ecologia integrale” del territorio.
Un nuovo equilibrio necessario
Un nuovo equilibrio, dunque, intenzionalmente ricercato, tra dimensione antropologica, sociale e tecnologica e che rappresenta sempre più la principale istanza di cambiamento dalle pratiche quotidiane alle politiche di sviluppo. In questo senso il carattere di apertura che connota la dimensione outdoor consente d’incrociare attività sportive, culturali, ambientali, ricreative che magari non sono progettate secondo i crismi di modelli pedagogici “certificati” ma che, a ben guardare, sono comunque portatrici di una pedagogia emergente e situata, anche da parte di non addetti ai lavori, che aspetta “solo” di essere colto per arricchire conoscenze e competenze che alimentano nuovi progetti e politiche educative.
Il valore delle infrastrutture (sociali)
Da questo punto di vista le infrastrutture sociali, intese sia nella loro dimensione di luogo fisico che di processo di formazione e di gestione di comunità educanti, rappresentano un vero e proprio valore aggiunto come abbiamo avuto modo di verificare presso il centro sportivo e hub comunitario di Santa Anastasia gestito dalla Società Santa Anastasia Calcio e dal consorzio Proodos. Un caso studio davvero rilevante perché dimostra come la gestione della componente strutturale hard (campi da gioco, spogliatori, bar, ecc.) non è disgiunta da quella soft (attività sportive e di aggregazione rivolte a bambini, ragazzi e loro famiglia). Anzi se le due dimensioni non interagiscono in modo efficace è davvero complicato generare un impatto sociale per territori dove sempre più coesione sociale, valore economico, creazione di occupazione non sono risorse disgiunte ma devono piuttosto autogenerarsi in sinergia.
Scalabilità possibile, se adattiva e coprogettata
Infine tutto quello che abbiamo osservato e agito nel corso del workshop ci restituisce un riscontro generale in modo molto chiaro e, ancora una volta, sfidante, ovvero che tutte queste esperienze sono scalabili. Non si tratta naturalmente di mera replicabilità, ma di sviluppo per adattamento ai contesti e ai territori attraverso meccanismi di coprogettazione. Un processo che, grazie anche alla capacità di attrarre e combinare risorse di diversa provenienza, si può, anzi si deve fare. Non tanto per assumere poco rilevanti leadership in determinati settori di attività e mercati, ma per meglio rispondere, in quanto imprese sociali, alla missione di perseguire “l’interesse generale” delle nostre comunità.