La gara di solidarietà che in queste settimane sta vedendo tanti di noi impegnati nel contribuire alla soluzione delle problematiche dell’attuale emergenza sanitaria ha fatto emergere alcuni paradossi soprattutto per il mondo del Terzo settore


Le "nuove" agevolazioni fiscali

Il D.L. 17 marzo 2020 n. 18 estende la platea dei soggetti che, a fronte di donazioni, possono garantire delle agevolazioni fiscali, includendo oltre alle associazioni ed alle fondazioni, anche lo Stato, le Regioni, gli enti locali e territoriali, le istituzioni pubbliche. In particolare alle persone fisiche, o agli enti non commerciali, spetta ora una detrazione del 30%, per un importo non superiore a 30.000 euro.

Prendendo spunto dalle previsioni contenute nel codice del Terzo settore, si estende la menzionata agevolazione in favore di tutti i soggetti pubblici e/o privati (limitatamente ad associazioni e fondazioni), impegnati nella gestione dell’attuale emergenza sanitaria. Inoltre, il Dipartimento della protezione civile potrà raccogliere fondi, attraverso l’apertura di conti correnti bancari dedicati e gli enti del Servizio sanitario nazionale potranno utilizzare le donazioni raccolte nel corso dell’attuale periodo emergenziale, mediante affidamento diretto nei limiti per importi non superiori alle soglie di cui all’articolo 35 del D.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (il “Codice dei contratti pubblici”).

Misure assolutamente opportune e, si spera, di grande efficacia che tuttavia stanno generando uno strano paradosso. Guardando alle numerosissime iniziative di raccolta fondi che sono state avviate in queste settimane, in alcuni casi sembra emergere una visione che vede il “pubblico” come virtuoso ed affidabile, mentre il “privato” (sociale) come un ecosistema che deve dimostrare di esserlo. Ci hanno sempre insegnato come gli enti del Terzo settore rappresentino una infrastruttura fondamentale che si posiziona “Dove lo Stato non arriva”, per citare un libro di qualche anno fa, in un’ottica quindi complementare e non concorrenziale.

Tuttavia la situazione in cui ci troviamo, rischia di generare un risvolto paradossale: mentre la riforma del Terzo settore è ferma al palo – non solo a causa della proroga, al 31 ottobre di quest’anno, introdotta dal Decreto Cura Italia per ONLUS, ODV, APS ed imprese sociali – e conseguentemente, tutto l’armamentario giuridico e fiscale che si porta dietro, le stesse agevolazioni previste per gli ETS (di cui oggi possono usufruire solo un limitato numero di soggetti, in attesa dell’istituzione del RUNTS), vengono estese alle istituzioni pubbliche impegnate nella gestione dell’attuale emergenza.

Se a ciò aggiungiamo la presenza di numerose piattaforme che si occupano di “intermediare” la raccolta, abbiamo davanti un quadro che rischia di ridimensionare fortemente il ruolo degli enti del Terzo settore, quanto meno dal punto di vista della raccolta di erogazioni liberali. È evidente che questa partita va giocata, e vinta, anche al tavolo della trasparenza e dell’accountability, cercando di recuperare un ruolo strategico nell’ambito dell’attuale emergenza e della successiva ricostruzione.


Andare oltre le erogazioni liberali

Le agevolazioni sono senza dubbio un tema rilevante, tuttavia occorre sviluppare delle riflessioni più ampie riguardo alla capacità per il Terzo settore di attivare percorsi di crescita, che non siano legati esclusivamente alla raccolta di donazioni. Se da un lato occorre proteggere e valorizzare l’attività degli enti del Terzo settore, e dell’enorme patrimonio culturale ed imprenditoriale accumulato fino ad oggi, dall’altro occorre trovare delle forme di finanziamento che vadano oltre le erogazioni sotto forma di erogazioni liberali.

La tematica assume ancora maggiore rilevanza se si guarda allo scenario attuale, che sta generando una situazione drammatica, non solo per quegli enti che si muovono all’interno di una dimensione produttiva. Occorrerebbe quindi l’adozione di provvedimenti realmente incisivi che guardino oltre l’attuale emergenza.  Misure quali – ad esempio – lo sblocco dei fondi del 5×1000, potrebbero rappresentare iniziative sicuramente utili ma di certo non sufficienti; fra l’altro è abbastanza singolare dover far leva sulla situazione attuale, per ottenere risorse che dovrebbero essere corrisposte a prescindere.

Il sistema costruito dal Terzo settore a sostegno e a servizio dei bisogni sociali dei cittadini, una parte rilevante del nostro welfare, rappresenta oggi un bene prezioso da supportare e magari ampliare, anche per assicurare nella fase di ripresa quei servizi alla collettività che, altrimenti, non sarebbero disponibili, oppure lo sarebbero a costi troppo elevati per una fetta rilevante della popolazione.

Una priorità che il governo dovrebbe prevedere e sostenere fin da questa fase di emergenza e, considerando gli impegni straordinari di spesa pubblica che in questi giorni si stanno pianificando, sarebbe auspicabile che, finalmente, si definissero maggiori aperture verso strumenti finanziari che possano consentire agli enti del Terzo settore di reperire risorse economiche, diverse dalle donazioni.

In attesa che la riforma del Terzo settore sia portata a compimento, si dovrebbe comunque lavorare per dare impulso ad un ambito che è stato trascurato e che, anche alla luce di quanto sta accadendo, dovrebbe invece essere supportato al fine di sostenere la ripresa e l’espansione dell’economia sociale, facilitando allo stesso tempo dinamiche innovative di collaborazione pubblico-privato.

Rendere "ordinaria" la finanzia sociale 

A questo proposito l’analisi del Decreto "Cura Italia" ispira un’ulteriore riflessione, che prescinde dal rispetto all’emergenza finanziaria e dalla necessità di sostenere e facilitare l’attrazione di risorse economiche per supportare la fase di ricostruzione che ci aspetterà. Una riflessione che non vuole aggiungersi a quelle che già si stanno conducendo rispetto all’intero sistema economico nazionale, ma è piuttosto finalizzata a porre in rilievo gli strumenti ed i meccanismi di finanza ad impatto sociale che oggi, a causa di questa emergenza, diventerebbero, quasi, strumenti di finanza ordinaria.

Ed è questo il secondo paradosso a cui assistiamo in questi giorni perché, fino ad ora, le dinamiche ad impatto sociale sono state considerate come una nicchia per innovatori, sostenute da un manipolo di pionieri con l’intento di avvicinarle al mercato mainstream; adesso non è più una questione di nicchia, è il sistema imprenditoriale stesso – pressoché nella sua interezza, e a causa dell’emergenza e della necessità di riorganizzarsi – ad essere fortemente caratterizzato da connotati di impatto sociale che riguardano la nostra intera collettività.

Detto diversamente, le sperimentazioni fatte negli ultimi anni cercando di avvicinare generazione di impatto sociale e dinamiche finanziarie, nel contesto in cui ci troviamo, potrebbero diventare meccanismi virtuosi di investimento per fronteggiare la crisi economica e anche per supportare le esigenze della collettività, il welfare, i servizi a sostegno dei più deboli e delle fragilità sociali

La necessità primaria sarà quella di supportare il bisogno di liquidità degli imprenditori, la necessità di ricorrere al credito, in un contesto di estrema fragilità, con conseguente difficoltà a fornire adeguate garanzie, la necessità, in alcuni casi, di supportare investimenti nel capitale con una visione di lungo termine. Uno scenario ben conosciuto nell’ambito della finanza ad impatto, avvezza a fronteggiare esigenze e dinamiche con rischio elevato, con prospettive di investimento a lungo termine, costruire modelli operativi innovativi e capaci di misurare l’impatto sociale generato. Ecco perché l’esperienza dell’impact investing può essere un ottimo supporto, fornendo idee ed ispirazione per gli interventi a sostegno della ripresa economica.

Da dove partire, quindi

Qualche esempio? Partendo dalle esigenze primarie ed immediate dei cittadini più in difficoltà, occorre supportare e facilitare la diffusione di interventi di microfinanza e microcredito, in modo da raggiungere più facilmente i soggetti più colpiti e deboli, il tessuto delle microimprese e degli artigiani.

Un’altra priorità riguarda l’accesso facilitato al credito, con strumenti di garanzia forti, erogati dalla Pubblica Amministrazione, in modo da facilitare fin da subito una adeguata circolazione di liquidità, allo stesso tempo verificare la possibilità di sviluppare sistemi di garanzia simili nell’ambito degli investimenti in equity, come il programma InvestEU, messo a punto dall’UE ed in procinto di essere lanciato per sostenere interventi in infrastrutture sostenibili, investimenti a sostegno della ricerca, innovazione e digitalizzazione delle piccole e medie imprese, investimenti sociali.

O ancora, supportare la diffusione dei social impact bond in grado di garantire supporto finanziario alle imprese colpite dalla crisi economica e impegnate in progetti di carattere sociale in ambito sanitario, assistenziale, educativo ed in generale dei servizi alle categorie più deboli e svantaggiate, attraendo e rendendo disponibili, in questo modo, capitali privati che, grazie alla leva pubblica, possono essere canalizzati verso interventi coordinati e complementari a quelli della Pubblica Amministrazione.

Bisogna, poi, garantire ed incentivare le forme più strutturate di investimenti con impatto sociale, quelle che incidono direttamente sul capitale delle imprese che producono beni o erogano servizi con elevato valore per la collettività, dalle infrastrutture allo sviluppo di tecnologie, dalla ricerca all’assistenza delle persone.

È un passaggio necessario che deve diventare, fin da subito, uno degli assi portanti della politica del governo per la ricostruzione e che non può prescindere da una visione innovativa della collaborazione fra pubblico e privato, facendo in modo di creare incentivi capaci di attrarre gli investitori privati, dai risparmiatori agli investitori istituzionali, e di scardinare le tradizionali rigidità ed impedimenti che caratterizzano le regole della Pubblica Amministrazione, come abbiamo visto fare in piena emergenza con gli interventi normativi di queste settimane. La strada è segnata, occorre proseguire per proteggere la collettività e rilanciare il sistema imprenditoriale, con il coraggio dei veri innovatori.