La violenza maschile sulle donne è un fenomeno ampio, complesso, trasversale e diffuso che rappresenta un’emergenza a livello nazionale. In questi anni le istituzioni, insieme ad una fitta rete di servizi sociosanitari, si sono mosse per arginarla e contrastarla. Nonostante questi interventi, però, la strada da fare è ancora lunga.
La dimensione che ha tuttora questo fenomeno sociale a livello nazionale e le numerose e profonde conseguenze che esso comporta, oltre alla violazione di un diritto umano, invitano sia le istituzioni sia gli Enti di Terzo Settore ad accelerare e migliorare le strategie di contrasto e di prevenzione, oltre ai servizi offerti alle donne che affrontano queste problematiche.
A partire da questa considerazione appare utile osservare nuove forme di politiche e interventi che offrono risposte innovative orientate a contrastare l’ulteriore diffusione del fenomeno e a sostenere le donne che ne affrontano le pesanti conseguenze, approfondendo in particolare il contributo offerto dal secondo welfare. Nel mio lavoro di tesi magistrale ho deciso di studiare in particolare l’impiego dello strumento dei gruppi di auto mutuo aiuto nel contesto di un servizio territoriale torinese, approfondendone punti di forza e criticità.
I Centri Antiviolenza
Uscire dal ciclo della violenza maschile è possibile, grazie ad una serie di servizi gratuiti istituiti per accogliere, ascoltare, sostenere, tutelare e orientare le donne nelle azioni da intraprendere per poter distaccarsi dalla grave e pericolosa situazione che affrontano.
Caposaldo di questa fitta rete di servizi sono i Centri antiviolenza (CAV), i quali rappresentano la risposta più coordinata ed efficace al problema. I CAV sono luoghi costituiti da donne che, con professionalità ed esperienza, supportano altre donne che affrontano la violenza da parte di uomini nel loro percorso di uscita dal ciclo della violenza e nel raggiungimento di una totale emancipazione e realizzazione personale. Rappresentano un luogo dove affrontare ed elaborare il trauma della violenza e le conseguenze che essa comporta e sono frutto del movimento femminista e di liberazione delle donne degli anni Settanta del secolo scorso.
I Centri Antiviolenza accolgono gratuitamente tutte le donne che affrontano situazioni di violenza maschile nelle sue varie forme (fisica, sessuale, economica, psicologica) e offrono una serie di servizi, di cui principali sono: accoglienza telefonica, colloqui personali, consulenze psicologiche, consulenze legali, mediazione culturale, ospitalità nelle Case Rifugio e talvolta ulteriori sostegni a scelta.
Lo Stato stanzia apposite risorse destinate ai Centri Antiviolenza e alle Case Rifugio, ma in quei luoghi una notevole mole di lavoro è ancora legata al prezioso e silenzioso sostegno fornito dal volontariato. Un gran numero di aiuti è infatti promosso dal mondo del secondo welfare, le cui azioni si accostano a quelle coperte dal Pubblico.
A Torino un esempio del prezioso apporto del secondo welfare è rappresentato dalla Casa delle Donne, da sempre riferimento sia per il movimento femminista torinese sia per le istituzioni cittadine. Questo centro ha iniziato a sperimentare lo strumento del gruppo di auto mutuo aiuto, proponendosi di offrire alle donne che affrontano la violenza maschile un’opportunità aggiuntiva rispetto ai tradizionali percorsi offerti dal Centro Antiviolenza.
I gruppi di auto mutuo aiuto
Lo strumento del gruppo di auto mutuo aiuto (AMA) permette attraverso l’aiuto reciproco e l’ascolto attivo di sviluppare numerose risorse, fra cui l’aumento dell’empowerment individuale e collettivo e il rafforzamento di integrazione, coesione, capitale sociale e delle reti fra le persone che vi partecipano. Si tratta inoltre di uno stimolo alla promozione sociale della cittadinanza attiva, alla partecipazione e alla responsabilità individuale, caratteristiche fondamentali della nuova visione del sociale e dei suoi servizi, peculiarità che si sposano perfettamente con il principio di sussidiarietà orizzontale auspicato dalla Carta costituzionale.
A questo si aggiunge anche il protagonismo della persona. Chi affronta un disagio sociale ha l’opportunità di abbandonare una visione assistenzialistica e passiva dell’aiuto offerto dai servizi sociosanitari istituzionali, con la creazione di un servizio “dal basso” dove le persone portatrici della problematica diventano loro stesse strumento di risoluzione per sé stesse e per le altre. Il gruppo permette, infatti, di diffondere meccanismi di creazione di forme di integrazione e coesione sociale, fondamentali per contrastare i numerosi bisogni e problematiche sia all’interno dell’ambito dei servizi sociali sia in generale della società.
Lo strumento del gruppo AMA, come emerge dalle stesse donne che vi partecipano, risulta essere un importante supporto. Per questo sarebbe auspicabile l’estensione dell’offerta del servizio con l’obiettivo di raggiungere un ampio bacino di utenza, soprattutto in ottica di prevenzione della violenza. La metodologia AMA permette di fornire un sostegno aggiuntivo e complementare rispetto al supporto professionale fornito dalla tradizionale rete di servizi contro la violenza, costituita dai CAV, dai servizi sociali, dai consultori e dalle Forze dell’Ordine.
Lo strumento funziona? Alcune criticità
Lo strumento dei gruppi AMA mostra tuttavia alcuni punti critici. Uno tra questi è il rischio di creare sistemi chiusi, poco aperti a nuovi ingressi e stimoli esterni. Questo comporta sia una problematica relativa al pericolo di una scarsa inclusione sia la possibilità che si verifichi una nuova dipendenza. In questo caso, secondo alcuni studi, si passerebbe da una soggiogazione verso colui che attua i maltrattamenti ad una verso il gruppo a cui si partecipa.
La criticità più grande è però rappresentata dagli stessi punti di forza e opportunità menzionati. Se bisogna considerare positivamente l’attivazione della cittadinanza e l’affermazione del principio di sussidiarietà, è importante ricordare la centralità dell’intervento pubblico nel sostegno alle donne vittime di violenza. Se così non fosse si correrebbe il rischio che, in risposta a situazioni di bisogno, intervengano tempestivamente solo le realtà appartenenti al Terzo Settore, i gruppi, le associazioni o le persone stesse.
Questa dinamica comporta innanzitutto il rischio di una disomogeneità territoriale, di qualità e in tema di offerte. Contribuisce inoltre a diffondere l’idea secondo cui ogni persona è l’unica responsabile della propria condizione e delle soluzioni da attuare per contrastare le problematiche che è costretta ad affrontare.
Per questo se è auspicabile una maggior diffusione dello strumento dei gruppi AMA è e resta importante che lo Stato assuma pienamente la responsabilità sociale e politica di sostenere le donne vittime di violenza e i servizi che le supportano.