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Cosa vuol dire “welfare sussidiario”?

Nelle scorse settimane abbiamo iniziato a trattare dei nuovi modelli di welfare che, come il secondo welfare, propongono di affiancare alle azioni tradizionalmente garantite da soggetti istituzionali quelle svolte da realtà non appartenenti al settore pubblico. Dopo l’analisi del cosiddetto welfare 2.0 lanciato dall’Ufficio Pio di Torino, cercheremo di capire meglio le peculiarità del modello impostatato dalla Fondazione per la sussidiarietà con il nome di “welfare sussidiario”.

La Fondazione per la Sussidiarietà

La Fondazione per la Sussidiarietà, nata nel 2002 su iniziativa di Giorgio Vittadini, rappresenta un importante luogo di ricerca, formazione e divulgazione delle tematiche legate al principio di sussidiarietà, cui partecipano accademici e rappresentanti del panorama culturale italiano ed estero. Nel corso degli anni, attraverso master, corsi di formazione, incontri pubblici, mostre e pubblicazioni editoriali – in particolare la rivista Atlantide e il quotidiano online Il Sussidiario – la Fondazione ha analizzato come il principio di sussidiarietà possa rappresentare un’importante leva di sviluppo in ambito economico, sociale e culturale, sia in chiave nazionale che internazionale. Dal 2006 ogni anno viene pubblicato un rapporto che indaga come un maggior grado di sussidiarietà garantisca o possa garantire avanzamenti in diversi ambiti quali l’educazione (rapporto del 2006), le riforme istituzionali (2007), il mondo delle piccole e medie imprese (2008), la pubblica amministrazione locale (2009), l’istruzione e la formazione professionale (2010) e lo sviluppo urbano (2011).

Recentemente la Fondazione ha affrontato anche il problema della crisi del welfare attraverso la pubblicazione del volume La sfida del cambiamento, Superare la crisi senza sacrificare nessuno (a cura di, L. Violini e G. Vittadini, Ed. Rizzoli, 2012), una raccolta di saggi – che sarà presentata il prossimo 20 novembre alla facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Milano – che analizza l’attuale situazione dei welfare state occidentali e individua la necessità di una ricalibratura degli stessi verso quello che i curatori indicano come, appunto, welfare sussidiario. Il raggiungimento di tale obiettivo è possibile, secondo i curatori, attraverso un cambiamento che riaffermi la priorità delle iniziative sorte dal basso, in grado di porre nuovamente al centro della vita civile la persona, la famiglia e tutti quei soggetti sociali dei quali, per troppi anni, non è stata pienamente riconosciuta la funzione pubblica. I contributi del volume indicano come i corpi intermedi e i cittadini possano divenire, se non ostacolati dallo Stato, motore della crescita attraverso iniziative sociali in grado di fornire risposte concrete ai bisogni della collettività e dei singoli individui.

Le caratteristiche del welfare sussidiario

Il welfare sussidiario secondo i suoi teorizzatori può dar vita a forme di governance capaci di superare la dualità tra Stato e Privato e rispondere positivamente alla complessità propria delle società moderne grazie al coinvolgimento dei soggetti intermedi appartenenti alla società civile. Poiché fondato su nuove forme di collaborazione e cooperazione tra erogatori dei servizi (sia pubblici che privati), corpi sociali e cittadini che, attraverso una rinnovata relazionalità, collaborano attivamente per lo sviluppo delle politiche sociali, il welfare sussidiario deve essere intesto anzitutto come “welfare della responsabilità”. Per comprendere correttamente i caratteri del welfare sussidiario, che più avanti saranno indicati con più precisione, si deve quindi tener conto del presupposto che sta alla sua base: un’antropologia positiva che consideri l’uomo come soggetto in grado di perseguire la propria utilità individuale senza soffocare i “desideri socializzanti” propri e di chi gli sta attorno. Solo partendo dal presupposto che l’uomo agisce nella realtà mosso dal desiderio, almeno parziale, di contribuire, oltre che al proprio interesse, al bene comune si può comprendere la portata del welfare sussidiario.

Nonostante gli attuali sistemi di welfare si caratterizzino per schemi, approcci e strumenti fra loro diversi esistono alcune linee guida in grado di indicare come in generale le politiche sociali possano modificarsi seguendo criteri di sussidiarietà. Queste direttrici, brevemente analizzate di seguito, riguardano i beni prodotti, i soggetti che li producono, quelli che ne godono e gli strumenti necessari per la loro realizzazione.

1. Beni prodotti – al fine di impostare un nuovo approccio alle tematiche sociali bisogna anzitutto comprendere che i servizi tipici del welfare non possono essere considerati alla stregua di qualsiasi altro bene o servizio presente sul mercato. I servizi di welfare, infatti, non sono classificabili come semplici search goods, ma devono essere considerati come experience goods, cioè servizi che per essere prodotti necessitano della collaborazione diretta dell’utente che li riceve. Perché producano effetti positivi la maggior parte dei prodotti legati al welfare devono prevedere il diretto coinvolgimento di chi ne gode, in modo che la risposta al bisogno e le modalità attraverso cui vi si risponde risultino adeguate. La capacità tecnica di rispondere alle necessità dei cittadini attraverso beni e servizi deve essere dunque accompagnata da strumenti che forniscano informazioni complete, adeguate, affidabili e fruibili dai cittadini stessi, in modo che questi possano conoscere a fondo i servizi di cui godono e collaborare attivamente alla loro realizzazione. Al maggior coinvolgimento dei cittadini nella produzioni degli experience goods devono essere affiancati un soggetti erogatori che necessariamente abbiano coscienza delle particolari caratteristiche dei beni che producono, e che siano conseguentemente capaci di coinvolgere l’utente a cui quegli stessi beni sono offerti. Solo attraverso la consapevolezza che i servizi di welfare possiedono caratteristiche particolari, che richiedono un’attenta valutazione dell’outcome – ovvero dei bisogni, delle necessità e delle prospettive dei soggetti che ne godono – è possibile sviluppare misure in grado di rispondere in maniera qualitativamente apprezzabile alle esigenze degli utenti.

2. Dimensioni strutturali e soggetti coinvolti – per comprendere le dimensioni entro cui si articola il welfare sussidiario, che in parte riprende i principi su cui si sviluppa la teoria dei quasi mercati, appare interessante capire il ruolo che certi soggetti ricoprono o potrebbero ricoprire in tale sistema. Comprendendo il ruolo di alcuni attori, e le relazioni esistenti fra gli stessi, è infatti possibile intuire meglio quale siano gli elementi strutturali su cui si fonda il welfare sussidiario: pluralismo dell’offerta, libertà di scelta e solidarietà.

  • A) Pluralismo dell’offerta – l’articolazione dell’offerta non può limitarsi verso la mera pluralità, ma deve anzitutto valorizzare la qualità dell’erogazione attraverso, come detto, un coinvolgimento dei soggetti che ne usufruiscono. Così come gli erogatori devono modificare il proprio approccio alla produzione di beni e servizi a carattere sociale, gli utenti sono chiamati a modificare il proprio approccio al sistema del welfare attraverso un maggior grado di libertà e responsabilità, che permetta loro di partecipare attivamente alla creazione dei servizi stessi. Solo attraverso un simile nuovo modus operandi è possibile sviluppare un sistema dei servizi veramente plurale, qualitativamente apprezzabile ed efficiente. Ma quali sono questi soggetti “liberi e responsabili” che possono collaborare allo sviluppo del welfare sussidiario? 
    Innanzitutto la famiglia, che nel nostro sistema svolge contemporaneamente le importantissime funzioni di mediatore e ammortizzatore sociale, in quanto capace di formare, educare e finanziare il “capitale umano” fondamentale per lo sviluppo.
    Un ruolo fondamentale in chiave sussidiaria è quello svolto dal terzo settore, ed in particolare dalle organizzazioni non profit. Questi soggetti si sono infatti dimostrati capaci di interpretare ruoli di pubblica utilità grazie alla legittimazione, al consenso e alla corresponsabilizzazione derivanti dalle realtà sociali in cui hanno avuto origine. Le associazioni di volontariato, ad esempio, grazie alla loro forte integrazione col tessuto sociale, si sono spesso rivelate capaci di generare innovazione in ambiti particolari, anticipando temi di frontiera (come immigrazione, discriminazione, sviluppo sostenibile, ecc.) e interpretando prima di altri nuovi rischi e bisogni emergenti. Inoltre, nel caso forniscano servizi di welfare, le organizzazioni del terzo settore meglio interpretano le esigenze degli utenti poiché il loro agire, prima che economicamente, risulta essere socialmente finalizzato. Per queste ragioni, nonostante alcuni limiti da cui possono essere connotate, le realtà appartenenti al terzo settore rappresentano attori importantissimi in ottica sussidiaria.
    Altri attori di primaria importanza sono le imprese profit. Soprattutto negli ultimi anni lo sviluppo di forme di welfare aziendale ha comportato un nuovo ruolo per questi soggetti, che stanno sempre più spesso assumendo comportamenti che vanno oltre i normali interessi economici. Specialmente nel campo della conciliazione famiglia-lavoro le aziende private possono svolgere un ruolo interessante per lo sviluppo di nuove politiche sociali integrabili con quelle tradizionali.

    B) Libertà di scelta – Un’altra caratteristica del welfare sussidiario è la creazione di un’effettiva libertà di scelta per l’utente relativamente all’erogatore del servizio. Per superare alcune problematiche proprie dell’esperienza dei quasi-mercati (legate principalmente a ragioni di ordine qualitativo ed economico) tre sono le linee direttrici proposte dal welfare sussidiario per favorire lo sviluppo sia della domanda che dell’offerta.
    In primo luogo l’accentuazione della responsabilità dei destinatari dei servizi, in modo che questi acquisiscano gradualmente coscienza delle possibilità offerte dal sistema che, progressivamente, avrà sempre più difficoltà a mantenere gli attuali schemi di protezione.
    Secondariamente, spingere gli utenti e gli erogatori a un maggiore relazionalità (di cui si è parlato anche più sopra) che favorisca la cooperazione tra chi offre il servizio e chi ne usufruisce.
    In terzo luogo la personalizzazione del servizio, realizzabile attraverso lo sviluppo di reti già esistenti (famiglia, corpi intermedi, imprese, ecc.) che tuttavia sono state raramente sfruttate assecondandone le potenzialità.
    In un simile contesto particolarmente importante appare il ruolo della Pubblica amministrazione, che non può più essere intesa dagli utenti come un nemico, ma come un partner con il quale collaborare. Affinché questo avvenga, la PA deve creare le condizioni per sviluppare la collaborazione reciproca necessaria a creare innovazioni durature nell’ambito dei servizi di welfare.

  • C) Solidarietà – Questo fattore più di ogni altro delinea la specificità del welfare sussidiario rispetto ad altre concezioni e modelli. La coniugazione tra sussidiarietà e solidarietà è infatti la base per lo sviluppo di un approccio innovativo al welfare. Senza solidarietà la sussidiarietà rischia infatti di scadere nel particolarismo sociale, di essere cioè risposta a bisogni di nicchia e non soluzione ad una più vasta serie di problematiche di carattere sociale. Parimenti la solidarietà senza sussidiarietà rischia di restare assistenzialismo, non determinando dunque passi in avanti rispetto a molti degli attuali sistemi di protezione che si trovano in crisi. Il momento storico contingente fa percepire con chiarezza quale importanza assuma lo sviluppo di un sistema che continui a tenere in conto il principio solidaristico, poiché proprio coloro che si trovano in condizione di maggior disagio rischiano di vedere peggiorare la propria condizione a causa della contrazione della spesa pubblica relativamente ai servizi sociali. La solidarietà garantisce il mantenimento di realtà, specialmente nel settore non profit, in grado di rispondere a bisogni cui il settore pubblico fatica a trovare soluzioni, così come permette lo sviluppo di relazioni capaci di non lasciare soli i più poveri ed emarginati. L’educazione del povero alla ricostruzione dei legami rappresenta un’importante strumento per il reinserimento di questi soggetti nel contesto sociale da cui, proprio a per l’assenza di relazioni, si sono trovati drammaticamente esclusi.

3. Metodi di finanziamento – più che sull’aumento delle risorse finanziarie pubbliche, strada quanto mai impercorribile nell’attuale momento storico, il welfare sussidiario mira all’assunzione di scelte coraggiose in tema di allocazione delle risorse statali. In questo senso il welfare sussidiario punta, in particolare, a cambiare il ruolo degli enti pubblici, chiamati a lasciare una maggiore libertà ai privati coinvolti nella gestione dei sistemi di welfare. L’ente pubblico in questo senso dovrà assumere sempre di più il ruolo di garante della qualità dei servizi, nonché di soggetto preposto alla valutazione dei risultati degli stessi, e sempre meno quello di gestore diretto del servizio. Le tappe di questo cambiamento possono essere così riassunte:

– dalla mera esternalizzazione dei compiti e funzioni alla sussidiarietà per progetti;
– dalla sussidiarietà per progetti alla valorizzazione di enti e/o esperienze riconosciute meritorie per la propria storia e per le funzioni svolte;
– dalla valorizzazione del ruolo dei privati ad un ente pubblico che svolga unicamente il ruolo di gestore e valutatore di un mercato dei servizi a cui possano partecipare liberamente soggetti pubblici e privati, sia profit che non profit.

Gli strumenti per rendere possibili parte di questi passaggi sono già stati sperimentati con successo in alcune realtà pubbliche del Paese. In particolare si ricorda l’esperienza “buono servizio”, ovvero un finanziamento diretto all’utente allo scopo di accrescerne la capacità di spesa e quindi di accesso a determinati servizi, quella del “voucher”, che permette di accedere ad alcuni servizi che l’ente pubblico ha preventivamente individuato in base a quantità, qualità e tariffe, e la “dote”, cioè l’erogazione di servizio e/o denaro su base annua per particolari platee di utenti dei quali è così sostenuta direttamente la domanda.

4. Sostenibilità finanziaria – per sostenere un sistema come quello indicato indubbiamente sarà necessario un ricorso a risorse non ricavabili dalla fiscalità generale, già provata dall’attuale situazione economica-finanziaria, che richiederà pertanto l’apporto di fondi provenienti da privati attraverso diverse modalità. Si potrebbe così pensare all’apporto di donazioni favoribili attraverso agevolazioni fiscali, così come potrebbero essere concepiti sistemi di defiscalizzazione attuabili sia come deduzioni che come detrazioni per chi offre servizi di welfare integrativi. Si potrebbero così garantire interventi che – a differenza di buoni, voucher o doti – non comporterebbero alcun costo amministrativo connesso all’intermediazione del pubblico. Similmente la detassazione nei confronti di organizzazioni non profit che svolgono attività di pubblica utilità potrebbe aumentare l’efficienza delle stesse, sia in termini quantitativi che qualitativi. L’immissione di risorse private nel sistema potrebbe altresì avvenire attraverso una maggiore diffusione di specifici strumenti, come schemi pensionistici privati, fondi integrativi aziendali, forme mutualistiche sia a livello territoriale che categoriale. Un ruolo importante inoltre è attualmente svolto da realtà come le fondazioni di origine bancaria e le fondazioni di comunità, che a livello territoriale garantiscono più di molti altri attori il sostegno adeguato alla realizzazione di nuovi modelli di governance in materie sociali. In un’ottica veramente sussidiaria, caratterizzata cioè da un forte grado di solidarietà, bisognerà inoltre pensare ad una progressiva compartecipazione ai costi del servizio da parte degli utenti. Solo attraverso questa strada, seppur difficoltosa, sarà infatti possibile sviluppare un sistema che garantisca a chi non ha nulla, attraverso il contributo di chi invece si trova in buone condizione economico-sociali, di godere di servizi qualitativamente soddisfacenti nonostante la propria situazione sociale.

“La sfida del cambiamento”: il contenuto del volume

Gran parte delle peculiarità del welfare sussidiario raccontate più sopra sono ampliamente approfondite all’interno del volume precedentemente citato, La sfida del cambiamento, superare la crisi senza sacrificare nessuno, a cui dunque si rimanda per meglio comprendere le varie tematiche descritte in precedenza. Il testo in questione, che ha appunto cercato di mappare i caratteri e le possibili applicazioni di questo nuovo modello, si divide in due macrosezioni. Nella prima si indica il quadro teorico su cui si fonda il welfare sussidiario, mentre nella seconda si cerca di dimostrare come esso è stato o potrebbe essere implementato all’interno del contesto italiano.

Prima parte – Per un welfare sussidiario

Ivo Colozzi, docente di Sociologia generale presso l’Università di Bologna, introduce il tema del volume spiegando le ragioni che hanno condotto alla crisi gran parte dei welfare state occidentali, e analizzando alcuni dei tentativi di riforma che sono stati attuati nel corso degli anni per superare le problematiche progressivamente emerse. Tuttavia gran parte di questi tentativi hanno perseguito risultati modesti e, afferma Colozzi, solo attraverso l’applicazione di un adeguato “principio architettonico”, individuato appunto nel concetto di sussidiarietà, sarà possibile sviluppare un sistema in grado di far fronte all’attuale crisi del welfare.

Nel secondo saggio Chantal Delsol, professoressa di Filosofia politica pressa l’Università Di Paris-Est Marnè-la-Vallée, delinea invece i fondamenti antropologici del principio di sussidiarietà assunti a paradigma di un nuovo welfare, indicando come essi siano in grado di cambiare tanto le relazioni tra gli individui che la concezione dello Stato in cui essi vivono. Le riflessioni di Delsol sono riprese nel saggio Sussidiarietà e solidarietà. Un nuovo modello di welfare curato da Massimo Borghesi, ordinario di Filosofia morale presso l’Università degli Studi di Perugia, che indica come il connubio tra sussidiarietà e solidarietà risulti fondamentale per lo sviluppo di un nuovo sistema di welfare. Borghesi indica come tale binomio sia anzitutto presente all’interno della Dottrina sociale della Chiesa (viene ricordata l’enciclica di Benedetto XVI Caritas in Veritate), e come alcuni Paesi, in particolare il Regno Unito con il progetto Big Society, stiano sperimentando modelli che tengano conto contemporaneamente di tali elementi per lo sviluppo delle proprie politiche sociali.

Il contributo di Margherita Scarlato, professoressa di Politica economica presso l’Università di Roma Tre, e Ugo Gentilini, Social Protection Policy Specilist presso la Policy, Planning and Strategy Division del Worl Food Program dell’ONU, mostra come un nuovo approccio al welfare in senso sussidiario sia in atto in molti Paesi in via di sviluppo. Paradossalmente proprio in questi contesti si stanno sviluppando misure – come ad esempio il Conditional Cash Transfer o lo schema Cash On Delivery – che vedono un forte coinvolgimento del terzo settore, sia come Ong internazionali che come realtà associative del luogo, alla costruzione di sistemi sociali basati sulle esigenze dei territori e sulla collaborazione con le comunità locali. Tali esperienze positive, secondo gli autori, dovrebbero essere tenute maggiormente in conto anche nei Paesi avanzati, come già accaduto ad esempio a New York, col programma Opportunity New York City.

Giorgio Vittadini e Tommaso Agasisti, ricercatore presso il dipartimento di Ingegneria gestionale del Politecnico di Milano, tratteggiano le caratteristiche del welfare sussidiario. Dopo aver descritto alcune delle dinamiche che hanno portato all’attuale crisi del welfare, gli autori indicano alcuni tentativi di riforma messi in atto per superare questa condizione negativa, come l’utilizzo dei modelli command and control, voice o choice and competition. Particolare attenzione è posta al modello dei quasi-mercati, individuato come tentativo di riforma le cui premesse fondamentali tuttavia non sono state realizzate pienamente, e alle esperienze innovative di welfare, tra cui tra l’altro si ricorda ampliamente il tema del secondo welfare.

Gli ultimi due saggi della prima parte delineano più specificamente alcuni meccanismi virtuosi che possono interessare soggetti profit, non profit e pubblica amministrazione. Clara Caselli, professoressa di Economia e gestione delle imprese presso l’Università di Genova, in Sistema del valore e sussidiarietà aziendale tra profit e non profit, indica in particolare le similitudini esistenti tra settore profit e non profit nell’applicazione del principio di sussidiarietà, ponendo specificamente attenzione ai confini esistenti tra queste due realtà in tema di welfare aziendale. Il secondo saggio, curato da Luca Bartocci, docente di Economia all’Università di Perugia, e Francesca Piacciaia, ricercatrice di Economia nello stesso ateneo, spiegano come i processi di sviluppo di un welfare sussidiario debbano necessariamente coinvolgere la pubblica amministrazione, chiamata a rinnovarsi profondamente per quel che riguarda la gestione dei servizi pubblici. Due sono le linee guida che il settore pubblico dovrà seguire per riformarsi in senso sussidiario: l’apertura alle logiche della concorrenza e lo sviluppo di strumenti che possano permettere una maggiore democraticità delle scelte assunte dagli enti. Gli autori in questo senso indicano nel maggior coinvolgimento del settore non profit uno strumento interessante per il raggiungimento di tali scopi. Alcune esperienze internazionali descritte nel saggio avvallano questa ipotesi, anche se la normativa italiana rende attualmente difficoltoso adottare simili misure.

Secondo parte – Il caso italiano

Nella seconda parte del volume si analizza come paradigmi precedentemente descritti si siano declinati, o potrebbero essere declinati, nei diversi settori del welfare italiano. Lorenza Violini, docente di Diritto costituzionale all’Università di Milano, ripercorre la parabola del nostro sistema di welfare attraverso le lenti del diritto costituzionale a partire dai dettami contenuti nel testo del 1948. Fin dall’inizio il nostro sistema ha cercato di garantire eguaglianza e uniformità formali ai cittadini, non prevedendo tuttavia adeguate misure in grado di realizzare questi propositi evitando l’insorgere del nostro stratosferico debito pubblico. Violini indica come la riforma del titolo V del 2001, che ha avuto il merito di introdurre nella nostra Costituzione il principio di sussidiarietà, abbia permesso lo sviluppo di un sistema votato alla decentramento e all’efficienza, il quale tuttavia presenta tutt’oggi svariate problematiche. Nonostante sul piano della legislazione si siano fatti passi avanti in senso sussidiario, a livello culturale ed organizzativo molte sono ancora le cose da fare. In particolare a livello amministrativo appare ancora necessario determinare esplicitamente le competenze dei vari livelli di governo, al fine di garantire lo sviluppo di sistemi di governance realmente efficienti e capaci di attivare meccanismi e iniziative di vera sussidiarietà.

Fabio Ferrucci, docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso l’Università del Molise, nel saggio Famiglia e politiche sociali in Italia, indaga il rapporto problematico esistente tra l’apparato pubblico e le famiglie italiane. Nonostante il nucleo familiare rappresenti ancora oggi il principale, e in diversi casi l’unico, ammortizzatore sociale su cui poter fare affidamento, l’apparato pubblico stenta a sostenerlo adeguatamente. Certo l’attuale condizione economica e i relativi tagli imposti dalla crisi incidono negativamente sull’erogazione di risorse, ma i dati forniti da Ferrucci dimostrano come anche prima della crisi la situazione non potesse essere considerata positiva. Ripensare le politiche per la famiglia in prospettiva sussidiaria, attraverso un maggiore supporto proveniente dagli enti più vicini ai cittadini, secondo l’autore potrebbe essere una via per risolvere parte di questi problemi. In diverse zone del Paese già esistono esempi di politiche e servizi family friendly sviluppatesi grazie all’autonomia degli enti regionali, che garantiscono forme di sostegno innovativo alle famiglie. L’adozione di strategie specifiche basate su queste esperienze potrebbe essere l’occasione di promuovere il benessere familiare e conseguentemente del Paese.

Gli attori dei servizi sociali è il titolo del contributo di Giuseppe Cappiello, ricercatore presso il dipartimento di Scienze Aziendali dell’Università di Bologna, che ha studiato le diverse forme giuridiche assunte dai soggetti erogatori di servizi di assistenza – IPAB, cooperative sociali, imprese sociali e fondazioni di comunità – nel nostro Paese. Dalla loro costituzione ai giorni nostri, con particolare attenzione alle novità introdotte dalla legge quadro 328/2000, il saggio indaga struttura, importanza e ruolo assunto dalle realtà che tutt’ora affiancano l’ente pubblico nella fornitura di misure di welfare.

Mario Mezzanzanica, docente di Sistemi informativi presso l’Università Milano-Bicocca, e Mattia Martini, dottore di ricerca in Società dell’informazione nel medesimo ateneo, mostrano le modificazioni a cui i sistemi di servizi per il lavoro potranno andare incontro in un’ottica maggiormente sussidiaria. In particolare si analizza il possibile passaggio da un sistema “sussidiario verticale”, parzialmente ereditato dalla società pre-industriale e fondato prevalentemente sulla programmazione ex-ante delle attività destinate ai servizi per il lavoro, a un modello “sussidiario orizzontale”. Quest’ultimo, che contempla diversi principi propri dei quasi-mercati, si fonda sulla valorizzazione delle esperienze e competenze di soggetti pubblici, privati e non profit operanti sul territorio e dimostratisi in grado di rispondere puntualmente alle mutevoli esigenze sia delle persone che delle imprese.

Il saggio Salute e sussidiarietà nel sistema sanitario italiano, curato da Michele Castelli, ricercatore presso il Centro di ricerca interuniversitario per i servizi di pubblica utilità, e Americo Cicchetti, professore di Organizzazione Aziendale presso l’Università Cattolica di Milano, analizza l’applicazione del principio di sussidiarietà in ambito sanitario. Dopo aver brevemente indicato lo sviluppo storico del sistema sanitario, gli autori analizzano più nel dettaglio le modificazioni introdotte a livello nazionale e regionale dopo la riforma del 2001. In particolare l’attenzione è concentrata intorno al sistema sanitario della Regione Lombardia, – giudicato attraverso l’analisi dei dati relativi alle attività e comparato con l’esperienza del NHS britannico – quale esempio positivo di sussidiarietà applicata in un ambito, quello sanitario, che negli anni a venire richiederà molte risorse che al momento non è chiaro dove potranno essere reperite.

Al tema delle risorse finanziarie è dedicato specificatamente il contributo di Luca Antonini, ordinario di Diritto costituzionale presso l’università di Padova, e Monica Bergo, assegnista di ricerca presso la medesima istituzione. Appare infatti di primaria importanza capire quale sia il legame esistente tra riforme fiscali, molte delle quali ancora in corso, e sviluppo del welfare sussidiario. Il cambiamento del criterio di finanziamento – che dalla spesa storica passerà al fabbisogno standard – potrebbe infatti rappresentare un’occasione per i comuni, chiamati a formulare proposte attuative di sussidiarietà fiscale in grado di favorire il settore non profit, attualmente miglior alleato degli enti locali nella produzione di beni e servizi sociali in questo difficile frangente storico. La facoltà per gli enti locali di modificare l’entità e la destinazione di alcune delle proprie imposte potrebbe rappresentare, concludono gli autori, un’importante occasione per il welfare locale italiano.

Mauro Marè, docente di Scienza delle finanze all’Università della Tuscia, e Luca Spataro, professore di Economia politica all’Università di Pisa, trattano invece di un settore che, specialmente in Italia, rappresenta e rappresenterà sempre di più un’importante voce di spesa per i welfare state occidentali: il sistema previdenziale. Gli autori del saggio analizzano l’effetto delle riforme adottate in tale ambito concludendo come, nonostante sulla carta siano stati fatti diversi tentativi volti a rafforzare il secondo pilastro, molto ci sia ancora da fare per garantire un sistema che possa mantenere buoni standard di generosità. Il passaggio dal criterio universalistico-assistenziale a quello assicurativo-previdenziale rappresenta indubbiamente l’applicazione del principio di sussidiarietà che, tuttavia, rischia di rimanere incompiuto in assenza di ulteriori interventi che modifichino il modus operandi di lavoratori, datori di lavoro e istituzioni chiamati, con modalità differenti, a un maggior grado di responsabilità.

Conclude il volume il contributo di Alberto Brugnoli, docente di Economia presso l’Università di Bergamo, e Roberta Bonini, consulente di Eupolis, incentrato su quello che gli autori ritengono essere l’ente territoriale italiano che maggiormente fa riferimento al principio di sussidiarietà per lo sviluppo delle proprie politiche sociali: la Regione Lombardia. Brugnoli e Bonini cercano di dimostrare tale convinzione analizzando come e quanto la Lombardia, tra il 1995 e il 2010, si sia applicata per implementare misure legislative e amministrative che favorissero quanto più possibile la libertà di scelta dei propri cittadini in tema di servizi di welfare. Il saggio ripercorre così lo sviluppo degli interventi regolativi, degli strumenti e delle modalità operative che maggiormente hanno contraddistinto l’operato dell’apparato regionale negli ultimi quindici anni.

Conclusione

Il volume La sfida del cambiamento, oltre a dare una definizione molto precisa di cosa significhi welfare sussidiario, fornisce svariati esempi concreti di come l’applicazione del principio di sussidiarietà abbia determinato l’emergere di esperienze positive, sia a livello nazionale che internazionale, che dovrebbero essere prese in considerazione per lo sviluppo del modello proposto e teorizzato. Il welfare sussidiario non prevede “semplicemente” di cambiare le modalità operative attraverso cui vengono fornite, finanziate e valutate le misure del welfare attualmente in vigore nel nostro Paese, ma mira a modificare profondamente la cultura delle relazioni tra i diversi attori del welfare, introducendo paradigmi che valorizzino tutti i soggetti che potrebbero contribuire alla costruzione del sistema. Vista la portata di tale sfida, e la complessitià di alcuni degli elementi presenti nel volume, nelle prossime settimane contiamo di approfondire l’argomento attraverso un confronto diretto con chi ha impostato il modello, in modo da comprendere meglio quali siano le reali possibilità di strutturare quanto descritto all’interno del volume.

 

Riferimenti

Fondazione per la Sussudiarietà

Il Sussidiario

Il libro sul sito dell’editore

Invito all’incontro di presentazione

Il welfare 2.0 dell’Ufficio Pio di Torino

 

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