Abilitare giovani promettenti che vivono in contesti territoriali fragili, offrendo loro l’opportunità di coltivare i propri talenti attraverso un percorso di crescita personale e culturale che permetta di diventare “più consapevoli, più proattivi, più abili”.
È questo, in estrema sintesi, l’obiettivo ambizioso che si è data Fondazione Unipolis con “Bella storia. La tua”, progetto triennale rivolto a 50 studentesse e studenti – di cui almeno 50% ragazze – che nel 2022 inizieranno il terzo anno della scuola secondaria di II grado in Calabria o in Campania. Il bando, che sarà aperto fino al prossimo 20 luglio, intende selezionare ragazze e ragazzi che, grazie al supporto di partner locali e nazionali (tra cui Percorsi di secondo welfare), vogliano partecipare a un percorso generativo di acquisizione incrementale di competenze su alcune tematiche specifiche nel corso dei tre anni: empowerment, positioning e capacity building.
Nella pratica, ogni giovane avrà un contributo economico di 1.500 € annui per formarsi e fruire cultura, verrà seguito in un percorso di mentoring individuale e in momenti collettivi di affinamento delle competenze, anche attraverso creatività e sport, sarà coinvolto in attività di community engagement. A questo scopo sono previsti camp in presenza, workshop online, attività con i territori e supporto motivazionale per valorizzare il potenziale dei partecipanti e per costruire una comunità allargata.
Per capire meglio genesi, sviluppi e prospettive del progetto ci siamo confrontati con Marisa Parmigiani, direttrice di Fondazione Unipolis.
Ci racconta come è nata l’idea di “Bella storia. La tua”?
“Bella storia” nasce da una duplice esigenza. Da un lato, dopo la fine del progetto culturability volevamo dare valore e rilanciare quello che abbiamo scoperto: la cultura può essere uno strumento per rispondere ai bisogni delle comunità attraverso iniziative di innovazione sociale che nascono dal basso da e per i territori. Dall’altro lato, ci siamo resi conto che dopo la pandemia i più giovani, soprattutto gli adolescenti, si trovano in situazioni di povertà culturale ed educativa senza precedenti che le attuali politiche pubbliche non sono in grado di affrontare. O quanto meno non sono capaci di affrontare positivamente nella loro ampiezza e complessità.
L’idea è stata quindi quella di mettere insieme l’eredità di culturability – dove peraltro i giovani erano già stati protagonisti grazie ai progetti di attivazioni realizzati coi centri culturali territoriali – andando incontro alle ragazze e ai ragazzi che oggi si trovano in situazioni di disagio che come dicevo è anzitutto culturale, ma che ovviamente può avere risvolti sul fronte economico e sociale.
Con un’attenzione però.
Abbiamo scelto di rivolgerci non alle situazioni più critiche ma alle situazioni in cui c’è “più speranza”.
Dunque non a chi è già in situazione di grave difficoltà, come i Neet, ma a quei giovani che hanno tanto potenziale inespresso a cui un aiuto aggiuntivo può cambiare il finale.
Perché avete scelto di concentrarvi sui giovani di Calabria e Campania?
La nostra idea è di aiutare ragazze e ragazzi che hanno voglia, energia e entusiasmo ma vivono in situazioni in cui il diritto di apprendere, di formarsi e di coltivare le proprie aspirazioni è meno tutelato.
Abbiamo quindi preso in considerazione alcuni indicatori chiave come la dispersione scolastica, i risultati dei test Invalsi, l’indice di lettura, la percentuale di edifici scolastici con piscine e altre strutture sportive, la presenza di musei con percorsi dedicati ai più giovani. Non ci siamo limitati al tema del diritto allo studio, ma siamo andati a vedere il livello delle opportunità educative a tutto campo, prendendo in considerazione l’offerta in termini di socializzazione, cultura e sport. E così abbiamo visto che Calabria e Campania presentano situazioni dove c’è più urgenza di intervenire.
Tuttavia di progetti rivolti ai giovani, soprattutto del Sud, se ne sono susseguiti molti in questi anni. Con alterne fortune. Cos’ha di diverso “Bella storia”? Quali sono i suoi aspetti innovativi?
In primo luogo c’è la complessità, sia degli strumenti che mettiamo a disposizione e che delle competenze sulle quali vogliamo lavorare insieme ai partecipanti eche andremo a sviluppare lungo un percorso che durerà 3 anni.
Non ci concentreremo su un punto specifico, ma lavoreremo su capabilities di vario genere.
E poi c’è il tema della trasversalità: il percorso si rivolge anzitutto alla persona che lo intraprende, ma non si limita ad accrescere solo le sue potenzialità. L’obiettivo è sì quello di far crescere la persona, ma anche la comunità in cui si colloca, unendo l‘empowerment personale con il community engagement. Lavoreremo quindi con i giovani sui territori, creando le condizioni per evitare che finito il progetto si creino “sindromi da abbandono”.
Vogliamo che i ragazzi si sentano in grado di maturare nel loro habitat e possano usare al meglio quanto impareranno per perseguire la propria crescita personale; ma anche quella del proprio territorio.
Accennava al fatto che il percorso si svilupperà lungo 3 anni. Un periodo lungo, soprattutto per chi ha 15 anni. Come prevedete di mantenere partecipi le ragazze e i ragazzi che prenderanno parte al progetto?
Ci auguriamo che la voglia di partecipare si alimenti da sé. Grazie alle risorse economiche che gli garantiremo di anno in anno, alle “palestre” formative in cui li coinvolgeremo e alle opportunità di accompagnamento che gli daremo speriamo che le ragazze e i ragazzi avranno più di una ragione per restare legati al progetto.
Inoltre penso che a giocare un ruolo fondamentale sarà la curiosità. L’offerta di “Bella storia” cambierà nel tempo, permettendo a chi partecipa di lavorare su capabilities sempre nuove. Offriremo diversità nella continuità, un fatto che credo garantisca un alto livello di appeal al progetto.
Inoltre punteremo molto sui mentor, che saranno a fianco dei partecipanti lungo tutto il percorso. Si tratta di figure di supporto molto importanti, che hanno l’obiettivo di colmare un vuoto che si trovano a vivere molti degli adolescenti a cui ci rivolgiamo. Tutti i giovani hanno bisogno di adulti che siano in grado di cogliere, coltivare e far fiorire il loro talento, ma quelli che vivono in situazioni di fragilità questo bisogno lo hanno di più. Alcuni di essi, nonostante le difficoltà dei contesti in cui vivono, hanno la fortuna di incontrare insegnanti validi che assumono questo ruolo di guida ma, anche a causa della precarietà dei docenti – chiamati spesso a cambiare scuola da un anno all’altro –, rischiano essere di passaggio nelle loro vite. Per questo vogliamo affiancare a chi parteciperà una persona adulta da seguire, un mentor appunto, che sappia sostenerli, valorizzarli e, quindi, anche tenerli legati al progetto.
Il progetto si avvale di supporti sia a livello locale, per la parte più operativa, che nazionale, per la parte più di riflessione strategica. Come avete selezionato questi “compagni di strada”?
Non lo abbiamo fatto preventivamente; ci siamo immaginati che i partner li avremmo trovati progressivamente, a partire dalle dimensioni su cui avremo scelto di lavorare maggiormente.
Così, una volta definiti gli elementi principali del percorso, abbiamo fatto scouting individuando le potenziali organizzazioni attraverso tre driver di selezione. Primo, che fossero abbastanza visionarie da coinvolgersi in un progetto innovativo come “Bella storia”. Secondo, che fossero realtà già solide nel proprio campo di attività, cioè con esperienza nell’ambito specifico in cui intendevamo coinvolgerle. Terzo, che avessero la capacità di mettersi in discussione e la volontà di lavorare con le altre realtà impegnate nel progetto, in un’ottica dunque non da fornitori ma da veri e propri alleati.
Nelle fasi di progettazione abbiamo coinvolto varie organizzazioni con queste caratteristiche. Da loro abbiamo imparato molte cose e, grazie al contributo che ci hanno fornito, abbiamo anche scelto di cambiare alcune delle traiettorie di sviluppo di “Bella storia”.
Immaginiamoci di essere nel giugno del 2025. Il percorso di “Bella storia” si è concluso. La scuola è finita. I giovani coinvolti sono pronti ad affrontare la maturità. Come se li aspetta? Cosa spera che abbiano imparato nel pezzo di strada fatta con voi? Cosa vorrebbe che avessero “in più” rispetto ai loro coetanei?
Li immagino più coraggiosi, più disponibili a mettersi in discussione, con una rinnovata fiducia in sé stessi, negli altri e nella loro comunità.
Alla fine del percorso mi aspetto ragazzi più grandi. Pronti ad affrontare l’età adulta con più consapevolezza.
Ma non mi metterei a fare una comparazione con chi non ha partecipato al progetto; non andrei a capire cosa hanno “in più” rispetto ad altri. Piuttosto chiederei loro di immaginare come sarebbero se non avessero aderito al progetto, cosa avrebbero “in più” rispetto agli ipotetici “loro stessi” che non avessero preso parte a “Bella storia”.
Ed è una cosa che in realtà faremo. Per capire la portata del progetto stiamo immaginando un sistema che ci permetta di misurarne l’impatto. E sicuramente dopo un anno dalla fine del progetto, nel giugno 2026, incontreremo i partecipanti per capire quanto, spero anche grazie a noi, è bella la loro storia.