"Il valore dell’intangibile" è un’esperienza di valutazione d’impatto dei servizi domiciliari di assistenza socio-sanitaria per malati oncologici in stato avanzato. Nata dalla collaborazione tra Human Foundation e Fondazione ANT Italia Onlus, la valutazione ha avuto l’obiettivo di comprendere e misurare l’impatto dei servizi di assistenza domiciliare erogati da Fondazione ANT Italia Onlus. L’articolo intende ricostruire il processo valutativo di coinvolgimento degli stakeholder ed evidenziare gli effetti più rilevanti e significativi del modello di assistenza domiciliare di Fondazione ANT per malati oncologici. La valutazione ha utilizzato la metodologia SROI prendendo in considerazione esclusivamente gli impatti di tipo psicologico e sociale. A fronte di un investimento di 5.580.315,50 euro, il valore netto totale del beneficio sociale creato dal servizio è pari a 10.581.390,64 Euro, con un ratio SROI di 1,90.
Il progetto Eubiosia
Ogni anno, in Italia, ad oltre 350.000 persone viene diagnosticata una patologia oncologica; in base agli ultimi dati ISTAT, i decessi attribuibili al tumore sono 177.000. Alla luce di questi numeri, da tempo ci si interroga su obiettivi e modalità di erogazione dei servizi di assistenza per malati oncologici. Dal 2001 le cure palliative sono incluse entro i Livelli Essenziali di Assistenza a garanzia della qualità di vita e dignità di cura per le persone che vivono in situazioni di forte sofferenza, e nel 2010 la legge 38/2010 ha sancito il diritto all’accesso alle cure palliative e alla cura del dolore considerato in tutte le sue forme.
In questo contesto si colloca il modello d’intervento di Fondazione ANT Italia Onlus. A partire da un approccio olistico e globale di cura, Fondazione ANT offre gratuitamente servizi di assistenza socio-sanitaria domiciliare a persone affette da tumore in fase avanzata. Con sede a Bologna, la Fondazione opera a livello nazionale: assiste annualmente 10.344 persone, garantendo cure domiciliari attraverso il lavoro di circa 383 professionisti e il prezioso contributo di 2.002 volontari (per approfondire si veda il Bilancio Sociale 2015 di Fondazione ANT).
L’assistenza domiciliare, erogata attraverso il progetto Eubiosia, ha l’obiettivo di promuovere e mantenere la dignità delle persone in fine vita, fornendo un prezioso supporto alle famiglie. Il modello proposto da Fondazione ANT è dunque un intervento di cure palliative di tipo domiciliare, che assume una concezione della malattia e della salute comprendente non solo il senso biologico della malattia (disease), ma anche il vissuto della malattia da parte del paziente (illness), nonché le dimensioni sociali e culturali che condizionano l’esperienza della malattia.
Secondo la definizione data dal WHO, si tratta di “un approccio che migliora la qualità della vita dei malati e delle loro famiglie che si trovano ad affrontare le problematiche associate a malattie inguaribili, attraverso la prevenzione e il sollievo della sofferenza, per mezzo di un’identificazione precoce e di un ottimale trattamento del dolore e delle altre problematiche di natura fisica, psicosociale e spirituale” (WHO, 2009). Questi cambiamenti implicano un passaggio “dal guarire al prendersi cura” (Cafaro 2011), in cui l’obiettivo del servizio non è più quello di curare la malattia, ma di migliorare la qualità della vita del malato e della sua famiglia. Pertanto, i pilastri dei servizi erogati da Fondazione ANT si basano su domiciliarità e personalizzazione delle cure, lavoro in equipe e attenzione per la famiglia.
La valutazione: approcci e metodologie
La valutazione ha utilizzato la metodologia del Social Return on Investment (SROI) che permette di individuare, quantificare e monetizzare l’impatto sociale generato da un progetto. Per ciascun stakeholder, l’approccio valutativo si è mosso nell’individuare i cambiamenti vissuti più significativi. Attraverso la costruzione di una batteria di indicatori e di relative proxy (un’approssimazione del valore monetario di beni che non hanno un valore di mercato) si è proceduto alla rilevazione dei cambiamenti e alla monetizzazione, arrivando così a stabilire un ratio che indica quanti “Euro” di valore sociale sono stati creati per ogni “Euro” investito.
Grazie alla flessibilità del metodo SROI, che consente di integrare strumenti e approcci diversi, si è costruita una ricerca valutativa complessa e interdisciplinare, con l’obiettivo di cogliere la complessità delle situazioni vissute dai beneficiari dell’intervento. Per comprendere le storie di cambiamento è stato infatti fondamentale consultare in maniera diretta gli stakeholder interessati attraverso la somministrazione di un questionario strutturato di intervista semi-strutturate e l’osservazione dell’erogazione del servizio stesso (nel complesso sono stati somministrati 310 questionari agli assistiti, 270 ai caregiver, 33 allo staff e 20 ai volontari). La raccolta dei dati ha utilizzato sia fonti primarie e secondarie (mentre le prime forniscono evidenza diretta o di prima mano rispetto a un evento, oggetto, persona, fenomeno, etc. – e.g. interviste, osservazione -, le seconde descrivono, interpretano, analizzano, riassumono le fonti primarie – e.g. libri, articoli scientifici).
I dati raccolti sono stati analizzati tramite un’analisi qualitativa, utile a interpretare gli aspetti maggiormente rilevanti per gli stakeholder e la complessità dell’impatto generato, e quantitativa, che ha permesso di misurare i cambiamenti e l’impatto generato dal progetto. In particolare si è utilizzata la tecnica delle regressioni, con cui si è costruito un modello capace di spiegare i cambiamenti generati dal modello di intervento e i rapporti di causalità esistenti tra le variabili prese in esame.
Applicando un metodo quasi-sperimentale (così definitio in quanto non c’è stata la possibilità di creare i gruppi – gruppo di trattamento e gruppo di controllo – secondo un piano di campionamento e assegnazione preordinato, ma è costretto ad operare su gruppi già esistenti e precostituiti) si è inoltre studiata le probabilità di miglioramento delle variabili al variare del tempo nel servizio ANT, tecnica che ha permesso di evidenziare la portata dell’impatto generato.
La delicatezza dei momenti di vita vissuti dagli stakeholder ha posto dei limiti etici e metodologici alla ricerca. In primis, la somministrazione dei questionari e delle interviste non ha coinvolto direttamente gli assistiti in gravissime condizioni di salute e i loro familiari. Inoltre non si è potuto applicare un metodo sperimentale controfattuale di tipo randomico per questioni di carattere etico che non consentivano l’individuazione di un gruppo di trattamento e uno di controllo. Per isolare l’effetto del servizio erogato da Fondazione ANT, mutuando il disegno di un’analisi controfattuale, si sono creati due gruppi: uno di trattamento, rappresentato da coloro che usufruiscono dell’intervento da più di 30 giorni, e un gruppo di controllo, rappresentato da coloro che sono appena entrati nel servizio, ipotizzando che dopo i 30 giorni si possano manifestare i risultati del servizio. Questo approccio ha posto, tuttavia, un ulteriore problema rispetto alla possibilità di cogliere la naturale degenerazione della condizione medica dell’assistito, che sarebbe stata meglio compresa attraverso un’analisi controfattuale randomica, con il rischio di sottostimare l’effetto positivo dell’intervento.
Riguardo gli assistiti, l’obiettivo dell’intervento di Fondazione ANT è quello del mantenimento della dignità. La malattia segna infatti uno spartiacque che cambia profondamente la vita e che mina profondamente l’identità e la qualità della vita della persona. La ricerca di un “senso” e l’organizzazione delle cure organizzano una nuova quotidianità, in cui spesso le persone non si riconoscono più, vivendo un profondo senso di instabilità rispetto al futuro. Le cure e la patologia stessa comportano forti dolori, una condizione che depersonalizza, inducendo una parziale rinuncia del sé, delle proprie abitudini sociali e relazionali (Le Breton 2007). Il dolore appare incomunicabile e non condivisibile, compromettendo la capacità di dialogo e scambio con il mondo esterno.
“Prima della malattia ero molto attiva, prendevo le decisioni per conto mio. Oggi non posso più fare niente da sola e sono un peso per i familiari.”
“Dopo lo shock iniziale, mi sono ripreso e ho iniziato a costruirmi delle nuove giornate. È difficile, sono passato da lavorare 10 ore al giorno, ad avere tanto tempo libero. Ora ho delle nuove passioni. La mattina leggo i giornali, faccio le parole crociate, aggiusto gli orologi, cerco di tenermi impegnato.”
“Cerco di vivere la mia quotidianità. In alcuni momenti è difficile perché proprio fisicamente non ce la faccio, ma non mentalmente. Cerco di tenermi attiva, esco e vado a fare le passeggiate, perché questo è importante.”
Per i caregiver occuparsi della cura di un familiare con patologie oncologiche terminali è una sfida complessa che ha un notevole impatto sul benessere fisico, psicologico, sociale e spirituale della persona (Zavagli, Varani et al 2012). Il nuovo ruolo necessita di competenze tecniche, organizzative ed emozionali. Spesso i caregiver debbono cambiare la loro vita e quotidianità abituale per dedicarsi completamente alla cura e all’assistenza della persona, aumentando livelli di ansia ed incidendo in maniera negativa sulle relazioni sociali, con situazioni di solitudine e stati depressivi (Grov 2005). Per essi l’obiettivo dell’intervento è quello della promozione di atteggiamenti resilienti, lavorando in particolare sulla compatibilità tra ruolo di cura e quotidianità, sull’elaborazione dell’esperienza che si sta vivendo e sulla riduzione del senso di solitudine.
“E’ stato difficile assisterlo. Quando lui non era a casa ero sempre angosciata. Ero angosciata prima delle visite. Era l’angoscia di sapere il responso delle visite […] Quando siamo venuti a casa, da una parte è stato pesante per me, però comunque eravamo a casa e potevo sempre controllare come stava. Poi quelli di ANT mi hanno anche insegnato a fare delle cose, per esempio come cambiare la sacchetta per la pipì. Io non lo sapevo fare prima, ora invece con loro ho imparato.”
“Io vorrei uscire con mio marito, ma ho troppa paura che si faccia male e che io non riesca a proteggerlo abbastanza.”
Le storie dei beneficiari: un’analisi quali-quantitativa
L’evidenza empirica raccolta attraverso metodi misti quali-quantitativi ha consentito di misurare il cambiamento vissuto da quattro categorie di stakeholder: gli assistiti, i caregiver, lo staff e i volontari che sono coinvolti nelle attività di assistenza domiciliare. Inoltre, le tecniche econometriche hanno dimostrato un impatto sociale significativo dell’intervento di Fondazione ANT, in particolare per gli assistiti e i caregiver.
Gli assistiti
Riguardo gli assistiti, l’analisi ha evidenziato il contributo importante dell’intervento nel preservare e promuovere la dignità della persona. Agendo positivamente sulla gestione attiva della malattia e della quotidianità e sulla riduzione del senso di solitudine, l’intervento aiuta l’assistito ad affrontare il cambiamento profondo che la malattia comporta rispetto alla propria identità e qualità della vita. Difatti per gli assistiti, l’indicatore di qualità della vita migliora in maniera sensibile al trascorrere dei 30 giorni di assistenza. Il modello di regressione indica con evidenza che per gli assistiti vi è un sensibile miglioramento al trascorrere dei 30 giorni di assistenza nel servizio, con una probabilità statistica di rispondere più positivamente all’indicatore di qualità della vita fino al 21,5%.
La valutazione mette in luce l’efficacia del servizio nel migliorare la gestione del dolore rispondere ai problemi complessi da questi vissuti, in particolare per la gestione della malattia e del dolore fisico, la conciliazione della malattia con la propria quotidianità, il rispetto della privacy e dell’intimità, e la relazione con il caregiver. Si è rilevato un sensibile margine di intervento rispetto alla protezione e promozione del capitale sociale dell’assistito, variabili significative, ma che rispondono con meno forza all’intervento del servizio. A partire da un’analisi dei bisogni sociali degli assistiti, il lavoro di equipe e il lavoro di rete con altri servizi e organizzazioni sembra rilevante per migliorare la qualità della vita dell’assistito.
“Sono seguita da diversi medici, ma ognuno cura una parte. I medici che mi assistono ad ANT invece mi fanno un quadro generale e mi aiutano a capire i diversi medici e le diverse cure che devo seguire. Sono una guida generale. Inoltre questo mi “deresponsabilizza”, posso affidarmi a qualcuno senza la responsabilità di dover capire tutto da sola o con i miei familiari.”
“Dopo lo shock iniziale, mi sono ripreso e ho iniziato a costruirmi delle nuove giornate. È difficile, sono passato da lavorare 10 ore al giorno, ad avere tanto tempo libero. Ora ho delle nuove passioni. La mattina leggo i giornali, faccio le parole crociate, aggiusto gli orologi, cerco di tenermi impegnato.”
“L’ANT mi ha dato un percorso, una strada da seguire. Non sapevo cosa dovevo fare e come. ANT mi ha preso e ha disegnato un percorso per me. E così è più semplice capire come affrontare la malattia e cosa devi fare.”
I caregiver
Per i caregiver occuparsi della cura di un familiare con patologie oncologiche terminali, come detto, rappresenta una sfida ardua che ha un notevole impatto sul benessere fisico, psicologico, sociale e spirituale della persona (Zavagli, Varani et al, 2012). Il nuovo ruolo necessita di competenze tecniche, organizzative ed emozionali. Il servizio di Fondazione ANT aiuta i caregiver nell’affrontare i cambiamenti nella loro vita e quotidianità abituale, supportandoli nelle attività di cura e assistenza dell’ammalato.
Le analisi mostrano che, grazie all’intervento di Fondazione ANT, la percezione di efficacia del proprio ruolo e la possibilità di confrontarsi riguardo la propria esperienza migliorano sensibilmente, incrementando del 16,9% la probabilità di miglioramento per i caregiver che usufruiscono del servizio da più di 30 giorni. La percezione di efficacia del proprio ruolo e la comunicazione dell’esperienza riducono i livelli di ansia e stress, avendo di conseguenza effetti positivi sulle relazioni sociali sulla riduzione del senso di solitudine.
“E’ stato difficile assisterlo. Quando lui non era a casa ero sempre angosciata. Ero angosciata prima delle visite. Era l’angoscia di sapere il responso delle visite […] Quando siamo venuti a casa, da una parte è stato pesante per me, però comunque eravamo a casa e potevo sempre controllare come stava. Poi quelli di ANT mi hanno anche insegnato a fare delle cose, per esempio come cambiare la sacchetta per la pipì. Io non lo sapevo fare prima, ora invece con loro ho imparato.”
Lo staff
Per quanto riguarda lo staff, che si confronta quotidianamente con la sofferenza del paziente e della sua famiglia, in un setting non convenzionale per le professioni mediche, il modello di intervento incide sulla relazione con gli assistiti e la gestione dello stress. L’assistenza domiciliare, infatti, cambiando il setting “tipico” in cui si sperimentano le relazioni medico–paziente e famiglia, muta il rapporto che non è più unilaterale, ma di condivisione e partecipazione dell’assistito e della famiglia al percorso terapeutico.
D’altronde, non è più l’assistito e la famiglia che si dirigono verso il medico, ma è il medico che entra nella casa delle famiglie. Di grande rilevanza è il senso di appartenenza dello staff, che condivide la mission e i valori che animano i servizi erogati. Questo forte senso di appartenenza ha un impatto anche sulla gestione dello stress, diminuendo l’incidenza di burn-out tra lo staff. Il modello di intervento del servizio prevede momenti di supervisione che facilitino la gestione dello stress e una migliore comunicazione e relazione con i pazienti e le famiglie.
I volontari
Anche i volontari coinvolti vivono cambiamenti rilevanti. Per il 71,4% dei volontari l’esperienza contribuisce in maniera molto positiva al proprio benessere, contribuendo all’apprendimento di competenze sociali e alla realizzazione e soddisfazione personale. Confrontandosi con le complesse storie di vita degli assistiti, i volontari possono anche riflettere su stessi e sul proprio percorso di crescita personale e spirituale.
Il ratio SROI, una sintesi del valore sociale generato
L’analisi ha permesso di identificare il numero di beneficiari che hanno vissuto i cambiamenti identificati, quantificando e monetizzando così l’impatto generato dal servizio.
La valutazione SROI mostra che l’intervento di Fondazione ANT genera un significativo impatto positivo, in particolare su assistiti e caregiver, con un rilevante ritorno in termini di valore sociale. Considerando esclusivamente gli impatti di tipo psicologico e sociale, senza indagare dimensioni specificatamente sanitarie ed economiche, di grande rilevanza per la tipologia di intervento erogato, il valore netto totale del beneficio sociale creato dal servizio è pari a 10.581.390,64 euro. A fronte di un investimento di 5.580.315,50 euro, il ratio SROI è di 1,90.
Nella composizione del ratio il peso maggiore è quello degli assistiti, con 6.215.434,41 euro di valore generato, e dei caregiver, con un valore di 2.587.383,65 euro. In misura minore il valore generato per lo staff, 1.598.428,15 euro, e per i volontari, 180.144,43 euro, data la minore numerosità.
Conclusioni
La valutazione evidenzia il valore aggiunto del progetto Eubiosia erogato da Fondazione ANT Italia Onlus e in generale di un servizio di assistenza domiciliare integrata. Integrazione è una delle parole chiave su cui i risultati della valutazione invitano a riflettere. L’integrazione dei servizi è da riferirsi a due dimensioni importanti, diverse, ma speculari.
Da una parte vi è la necessaria integrazione tra servizi sanitari e servizi socio-assistenziali, tema non nuovo alla riflessione, ma che ancora oggi rimane uno dei punti su cui occorre lavorare per il miglioramento dei servizi. La valutazione evidenzia i benefici di un approccio che non consideri la malattia esclusivamente in senso biologico, ma in tutte le sue dimensioni, con una personalizzazione delle cure. Il percorso di cura diventa così un processo narrativo in cui l’assistito ricostruisce la sua storia e la sua esperienza, fattori determinanti per la promozione della qualità della vita degli assistiti.
Dall’altra, l’integrazione è anche quella dell’assistito con l’ambiente, ovvero i servizi, la famiglia e il capitale sociale della persona. Questo passaggio è di fondamentale importanza nell’ottica in cui il servizio non abbia esclusivamente l’obiettivo di curare i sintomi della patologia, ma di favorire il benessere degli assisti, mantenendo autonomia e indipendenza compatibilmente con il decorso della patologia.
Per comprendere queste dimensioni è indispensabile disegnare valutazioni interdisciplinari capaci di comprendere sia il particolare delle storie vissute dai beneficiari che di generalizzare i dati. Questa pluralità di strumenti e metodi di analisi permette di costruire modelli e tendenze in grado di cogliere la complessità dei contesti studiati e dunque fornire dati utili per il miglioramento e l’innovazione dei servizi.
Riferimenti
Cafaro B. (2011), La psicoterapia come intervento sulle relazioni: Hospice e cure palliative, Rivista di psicologia clinica, n°1;
Fondazione ANT Italia Onlus (2015), Bilancio Sociale;
Grov E. (2005), Anxiety, depression, and quality of life in caregivers of patients with cancer in late palliative phase, Annals of Oncology, n°16;
Le Breton D. (2007), Antropologia del dolore, Meltemi Editore, Roma;
WHO, (2009), Palliative care for older people: better practice;
Zavagli V., Varani S., Samolsky-Dekel A.R., Brighetti G., Pannuti F. (2012), Valutazione dello stato di salute psicofisico dei caregiver di pazienti oncologici in assistenza domiciliare, La rivista italiana di cure palliative vol. 14, n. 3;