Le fondazioni di comunità sono istituzioni filantropiche che si propongono di sostenere e migliorare la qualità della vita delle persone che vivono in un determinato territorio. Si tratta di enti che, attraverso strumenti e attività che incentivano la possibilità e l’opportunità di donare, mirano alla "democratizzazione della filantropia". Il loro obiettivo in questo senso è fungere da "catalizzatori" e "facilitatori" per cittadini, imprese e istituzioni che vorrebbero contribuire al benessere del proprio territorio e della sua società ma che, per ragioni differenti, hanno difficoltà a farlo autonomamente. A questo scopo le Fondazioni comunitarie costituiscono e gestiscono patrimoni formati da plurime donazioni provenienti “dal basso”, che sono usati per sostenere progetti di utilità sociale per il territorio e la sua comunità.
La natura particolare di queste realtà le configura come protagoniste dei cambiamenti in atto nel mondo del welfare e per tale ragione il nostro Laboratorio ne ha trattato sia nel Primo che nel Secondo Rapporto sul secondo welfare in Italia. Con l’intento di continuare questo percorso di conoscenza, in occasione del Terzo Rapporto (che sarà presentato in autunno) il nostro sguardo si è orientato verso le realtà della filantropia comunitaria che operano nel Mezzogiorno.
Attualmente nelle regioni del Sud operano 5 Fondazioni comunitarie costituite grazie all’impegno delle comunità locali e di Fondazione CON IL SUD, che ha svolto e svolge un fondamentale ruolo di sostegno nei confronti di tali istituzioni (come ci ha spiegato il Presidente Carlo Borgomeo). L’obiettivo della nostra ricerca è capire come il modello si sia sviluppato nel Meridione e quale impatto stia avendo nelle aree del Paese che più hanno sofferto gli effetti della crisi economica e sociale.
Dopo avervi raccontato della Fondazione della Comunità Salernitana, di Fondazione Val di Noto e della Fondazione di Comunità San Gennaro, siamo andati a conoscere meglio la Fondazione della Comunità del Centro Storico di Napoli. Nata nel 2010 grazie al bando di Fondazione CON IL SUD per diffondere la filantropia comunitaria nel Mezzogiorno, questa realtà si propone di diffondere la cultura del dono nella II e IV Municipalità del Comune di Napoli, un’area di circa 14 kmq dove risiedono poco meno di 190.000 persone. Abbiamo discusso di genesi, sviluppo e prospettive di questa Fondazione con il suo Segretario Generale, Mario Massa.
Dottor Masa, ci spiega quali sono le ragioni che hanno portato alla costituzione della Fondazione del Centro Storico di Napoli?
La nascita è stata, come per molti eventi della vita, un insieme di casualità. Molto lo dobbiamo alla lungimiranza dell’avvocato Giuseppe Guzzetti (Presidente di ACRI e Fondazione Cariplo, nda) che ritenendo le Fondazioni di Comunità uno strumento utilissimo nello sviluppo di una società ce ne ha sempre parlato con grande entusiasmo. Parimenti è stata importante la volontà del professor Giannola (Presidente Svimez, nda) che vi vedeva uno strumento straordinario di impatto sul territorio.
A partire da queste suggestioni abbiamo scelto di capire meglio di cosa si trattasse, studiando lo strumento e delle best practices sia in Italia che all’estero. Abbiamo intuito come questo potesse essere il miglior strumento per poter raggiungere un obiettivo centrale per Napoli: la ri-costruzione di reti di solidarietà sul territorio che aiutino le persone in situazioni fragili ad avere un supporto.
Ritenevamo, e a sette anni di distanza ne siamo ancora convinti, che la vera risposta alla crisi del welfare potesse passare solo da una ricostruzione di una rete di legami comunitari, grazie alla quale che le difficoltà di ognuno potessero divenire opportunità per la comunità.
Quali attori hanno preso parte alla costituzione della Fondazione? E in che modo?
I soci fondatori sono 16 e abbastanza variegati (Istituto Banco di Napoli – Fondazione, AET, Editoriale Scientifica srl, GenesiULN Sim, Università degli Studi “Orientale”, Università degli Studi “Suor Orsola Benincasa”, Polo delle Scienze Umane e Sociali dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”, Consorzio Promos Ricerche, Consorzio Proodos scarl, Centro Servizi per il Volontariato di Napoli, Associazione CdO Campania, Comitato Provinciale Croce Rossa Italiana, Comitato Unesco Centro Storico, Comitato Giuridico Difesa Ecologico, nda). Un fattore interessante da sottolineare è che nella nostra Fondazione non ci sono legami con organismi o organizzazioni politiche, tanto che nello Statuto esiste un articolo nel quale si prevede l’automatico decadimento nel caso un consigliere dovesse presentarsi ad una elezione politica.
Quale è stato il supporto fornito da Fondazione CON IL SUD per la costituzione della Fondazione comunitaria?
L’apporto è stato legato essenzialmente al raddoppio del capitale di avvio (come previsto dal bando sulla filantropia comunitaria di Fondazione CON IL SUD, nda). Non ci sono stati supporti di natura consulenziale o di indirizzo strategico o operativo, ma probabilmente un diverso approccio in questo senso avrebbe velocizzato e migliorato i processi. Attualmente la relazione con la Fondazione CON IL SUD è di natura essenzialmente economica, con progetti di sostegno alle attività ordinarie. Come d’altronde previsto nel bando. Più volte abbiamo chiesto che Fondazione CON IL SUD svolgesse una differente funzione, ma non ci pare esista al momento tale volontà.
A quanto ammonta attualmente il patrimonio della fondazione?
Attualmente il patrimonio ha una consistenza di 465.746,90 euro ed è costituito essenzialmente grazie a donazioni di privati e il contribuito iniziale di Fondazione CON IL SUD, pari a 160.000 euro (la prima versione del bando prevedeva il raddoppio a partire da un minimo di 100.000 euro; attualmente ne sono necessari almeno 300.000, nda). Al momento abbiamo attivato campagne di fund raising, sia sul territorio che all’estero. Nella mission della Fondazione è previsto che una quota del patrimonio sia collegato ad una raccolta popolare: attualmente la nostra ipotesi di lavoro è che ogni abitante dell’area sia coinvolto con una donazione di 2 euro e in questo senso sono in corso alcune campagne.
Quali modalità erogative privilegia la fondazione?
Sin dall’inizio abbiamo privilegiato una modalità tipica più delle fondazioni americane: nessun bando ma una call sempre aperta. E poi nessun formulario o prestampato, ma la richiesta di ricevere anche solo 3 righe con l’idea sulla quale si chiede l’erogazione. Questo ha comportato alcuni evidenti problemi: a presentare domanda di finanziamento sono state associazioni e gruppi, mentre abbiamo ricevuto solo un paio di domande da cooperative o organizzazioni strutturate: in questo caso ci chiedevano insistentemente formulario, regolamenti, scadenze etc. La mancanza di questi elementi, invece, che incentivarle le ha evidentemente spiazzate!
Abbiamo anche avviato alcune operazioni di gift matching, proponendo il raddoppio della cifra raccolta per la realizzazione di un dato progetto o iniziativa. Col tempo abbiamo però constatato che questa modalità aveva in sé un elemento non “corretto”, sintetizzabile con quanto diceva Don Milani quando sottolineava che la più grande ingiustizia era fare parti eguali tra disuguali. Al momento abbiamo avviato una riflessione su questi temi e stiamo cercando una strada diversa per sostenere chi sul territorio è in grado di raccogliere risorse da destinare alla comunità.
Quante risorse sono state destinate al territorio grazie all’intermediazione della fondazione da quando questa è stata costituita?
Ad oggi, nei suoi sette anni di attività, la Fondazione ha erogato più di un milione di euro. Circa 300.000 sono stati destinati al patrimonio, mentre 700.000 sono andati all’attività erogativa.
Quali sono i rapporti con le organizzazioni della società civile che supportate?
Direi eccezionali. Noi non finanziamo semplicemente una organizzazione ma la seguiamo, la accompagniamo nel suo percorso, stando molto attenti a non sostituirci ad essa: non amiamo né l’idea della “persona sola al comando” né l’idea che noi abbiamo la verità sullo sviluppo del welfare. Questo ci porta ad essere vicini, mai orientando, solo cercando di aiutare l’organizzazione nel suo percorso. A volte è difficile, perché è complesso fare welfare a Napoli, ma quando vedi che le cose alla fine vengono realizzate senti che quella è la strada giusta.
State svolgendo qualche tipo di valutazione d’impatto oltre alla classica rendicontazione economica?
A dire la verità noi non chiediamo mai neanche la rendicontazione economica. È una scelta consapevole: siamo parte e viviamo quotidianamente il territorio, pertanto conosciamo tutte le organizzazioni che vi operano. Quando diamo un’erogazione sappiamo cosa fa quell’organizzazione e sappiamo se realizza quello per cui ci ha chiesto il contributo. Per noi è centrale il risultato più che il modo con cui questo viene raggiunto.
Racconto un episodio che può aiutare a capire meglio questo approccio. Abbiamo sostenuto un gruppo di suore che assiste ogni pomeriggio 90 minori in condizioni disagiate. Il Comune di Napoli riconosce un contributo solo per 4 di questi ragazzi e noi siamo intervenuti a coprire altre spese. Un giorno la madre superiora mi chiama per chiedermi se può usare i soldi per pagare la TARI. Le ho detto di si. Per noi era importante che il doposcuola continuasse: che poi le risorse che mettiamo a disposizione siano usati per la TARI, il personale, le utenze o altro per noi è secondario. Non è una cosa facile da capire. Per noi si tratta un discorso essenzialmente culturale che credo ci contraddistingua rispetto a molte fondazioni erogatrici che, non avendo relazioni con il territorio, si affidano a rendicontazioni economiche che, però, raramente corrispondono alla realtà.
Come giudica questi primi anni di attività della Fondazione?
Entusiasmanti e difficili. È senza dubbio un’esperienza molto bella che spinge alla relazione con soggetti e storie e di grande valore, anche se i problemi finora non sono stati pochi…
Far capire cosa sia la Fondazione di Comunità non è scontato, e anche quando ci riusciamo abbiamo difficoltà a chiedere a chi dona di aiutarci a rafforzare il nostro patrimonio. Ci siamo infatti accorti di come sia difficile incoraggiare le donazioni a questo fine e come, al contrario, i donatori tendano a indirizzare le proprie risorse verso attività operative. Risorse che, comunque, sono molto esigue se confrontate con i grandi bisogni presenti sul territorio. Inoltre se confrontiamo la nostra esperienza con quella americana, dove sono nate le Fondazioni di comunità, ci rendiamo conto della differenza culturale nella quale viviamo e come il concetto “un po’ calvinistico” di “restituzione” sia poco presente nella nostra società.
Quali sono le prospettive di sviluppo della Fondazione?
Vediamo un bel futuro davanti a noi. Sentiamo che abbiamo superato alcuni periodi difficili e che siamo sempre più presenti nei processi di sviluppo della nostra comunità, anche se non in modo “mediatico”. A mio avviso stiamo costruendo le basi per poter sviluppare quel potenziale enorme che in sé porta una Fondazioni di comunità. A livello operativo cerchiamo di continuare ad essere degli “amici” delle organizzazioni, pronti ad essere di aiuto nei loro processi quotidiani, senza voler governare o dirigere gli sviluppi di un territorio.
Da ultimo, può indicarci un’esperienza che secondo lei è esemplificativa dell’impegno profuso dalla Fondazione in questi anni?
Ovviamente riteniamo che ognuna delle erogazioni effettuate rappresenti un’esperienza importante. Credo però che una più delle altre sia paradigmatica del nostro modo di operare.
Quattro anni fa venne da noi un gruppo di mamme i cui figli erano iscritti all’istituto comprensivo Oberdan-Foscolo, uno degli istituti primari più grandi del Centro Storico di Napoli.
Il preside aveva comunicato che non vi erano più fondi per garantire il prolungamento pomeridiano delle attività. Le mamme si erano riunite ed avevano deciso che, invece di fare manifestazioni anche clamorose, poetavano assumersi la responsabilità di essere sussidiari alla scuola. Si sono quindi costituite nell’associazione "Un altro modo" e autotassandosi hanno permesso la riapertura della scuola negli orari pomeridiani. La Fondazione è intervenuta, da un lato, con un’erogazione stabile che permettesse anche alle persone più disagiate di poter accedere al servizio, dall’altro, aiutandole a costruire una rete con gli organismi del Terzo Settore già presenti sul territorio. È un’esperienza che prosegue e che per noi è un vanto aiutare.
Il ruolo della nostra Fondazione, come mostra anche questo piccolo esempio, non consiste nel “costruire” o attivare una risposta ad un bisogno, ma di dare ascolto ad una società civile capace di autorganizzarsi con una visione sussidiaria dell’intervento pubblico, capace quindi di definire autonomamente risposte nuove ai bisogni emergenti. Credo che il ruolo di una Fondazione di comunità debba essere questo: non “sostitutivo di” ma di “chi cammina accanto”.