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L’Italia è la nazione con la più alta densità di beni culturali per chilometro quadrato, tanto da essere normalmente definita un museo a cielo aperto. La spesa del nostro Paese per la “tutela e valorizzazione beni e attività culturali e beni paesaggistici” è però inferiore rispetto a quella di altri Paesi come Francia (0,75%) o Spagna (0,67%) e rappresenta solo lo 0.37% del Pil. Nel Mezzogiorno la spesa dei Comuni per la cultura è in media 4,8 euro per abitante, contro i 14,3 euro nel Nord e i 12,3 del Centro. Un divario che si riflette anche sullo stato di conservazione degli edifici storici, con le regioni meridionali agli ultimi posti. Questi beni comuni rappresentano da una parte uno “spreco” inaccettabile e dall’altra una grande opportunità per i giovani e un’occasione di sviluppo per le comunità locali. La riappropriazione e la valorizzazione degli spazi pubblici al Sud, soprattutto dei beni culturali, può quindi rappresentare una opportunità di coesione sociale, sviluppo e occupazione. Infatti, non possiamo parlare di sviluppo economico senza lo sviluppo sociale.

Per questi motivi, vicino a tante altre buone prassi sviluppate negli ulitmi anni nel Mezzogiorno, la Fondazione con il Sud ha lanciato l’iniziativa sperimentale “Il Bene torna comune” (se ricordate ve ne avevamo già parlato qui) per promuovere l’uso “comune” dei beni culturali delle regioni meridionali e permetterne una più ampia fruibilità da parte della collettività, come strumento di coesione sociale. L’iniziativa è nata nell’ambito della terza edizione del “Bando Cultura” rivolto alle organizzazioni del terzo settore di Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sardegna, Sicilia. L’obiettivo principale è portare all’attenzione dei decisori e dell’opinione pubblica il tema dell’utilizzo comunitario del patrimonio culturale attraverso innovazioni sociali, con la collaborazione di pubblico e privato sociale e la partecipazione dei cittadini, perché dalla comunità possono nascere le idee migliori per rendere i luoghi del passato vivi e fruibili anche nel futuro.

“Lasciare in stato di abbandono questo patrimonio è un indice di cecità verso il futuro, un limite inaccettabile allo sviluppo – ha affermato Carlo Borgomeo, Presidente della Fondazione con il Sud durante la manifestazione “Nuove Pratiche Con il Sud” svoltasi lo scorso ottobre a Palermo. "E’ necessario superare l’idea che ci si possa occupare di cultura soltanto una volta risolti i problemi economici e superata la crisi, come se si trattasse di un lusso. Ma anche l’idea che a farlo debba essere solo lo Stato. Noi proponiamo un modello diverso, che coniuga pubblico e privato sociale con la partecipazione diretta delle comunità locali, nell’ottica di una responsabilità diffusa. "Gli esempi dei progetti sostenuti in questi anni dalla Fondazione con il Sud" ha sottolineato Borgomeo "dimostrano che la valorizzazione e promozione del patrimonio storico, artistico e culturale, di cui il nostro Mezzogiorno è ricco, è un efficace strumento di coesione sociale e crea occasioni di riscatto per le comunità, può essere un importante volano di sviluppo locale capace di generare perfino occupazione, soprattutto giovanile”.

Il rapporto tra sociale, economia e cultura si gioca quindi attorno a quello più ampio dei beni comuni, degli “spazi” di una comunità, intesi sia come luoghi fisici ma anche come spazi d’incontro e di partecipazione, da recuperare e valorizzare. In questo senso, gli spazi rigenerati da comunità di persone attive, sono occasioni di cambiamento e lavoro, sono gli spazi che pubblico e privato possono abitare insieme per il benessere comune. Sul tema della costruzione di senso dei beni comuni, e quindi sulla loro valorizzazione, abbiamo chiesto a Marco Imperiale, direttore generale della Fondazione con il Sud, di spiegarci le strategie e gli obiettivi dei programmi sviluppati dall’ente filantropico, in particolare in relazione all’iniziativa sperimentale “Il Bene torna comune”.


Il modello ibrido di "Il Bene torna comune" e il più ampio orizzonte di innovazione
Nel corso del 2014, sulla scorta delle pregresse esperienze (nel 2008 e nel 2011 sono stati sostenuti 21 progetti, per un’erogazione complessiva di 8 milioni di euro), la Fondazione ha deciso di pubblicare una terza edizione del bando per la valorizzazione del patrimonio storico-artistico e culturale nelle regioni meridionali, con l’obiettivo di promuovere e valorizzare l’uso “comune” dei beni culturali, e permetterne un’ampia fruibilità da parte della collettività. Rispetto alle precedenti edizioni, la Fondazione ha deciso di adottare una procedura inedita che svincola la proprietà dell’immobile con la partnership progettuale che in esso svilupperà le attività, prevedendo due fasi distinte.

Nel corso della prima fase gli enti pubblici e privati proprietari di immobili di rilevanza storico-artistica e culturale sono stati invitati a proporre i propri beni inutilizzati come luoghi da valorizzare attraverso le modalità che il territorio stesso sarà in grado di identificare. Complessivamente i beni proposti sono stati 221: 15 in Basilicata, 33 in Calabria, 40 in Campania, 53 in Puglia, 12 in Sardegna, 68 in Sicilia. Le province con il maggior numero di candidature sono state Palermo (28), Bari (22), Cosenza (16), Lecce (15). Si tratta di beni per l’80% di proprietà di Enti Pubblici (76% Comuni), un 10% appartiene ad Enti Ecclesiastici, il restante 10 % è di proprietà di Enti Privati (terzo settore e imprese). Gran parte degli immobili candidati rientra nella categoria Ville e palazzi storici (37%), seguono luoghi di culto (29%), castelli e fortezze (12%), beni archeologici (11%), beni di archeologia industriale (7%) e spazi di altra natura (4%). Dei beni proposti la Fondazione ne ha selezionati 14: 5 beni in Sicilia: Villa Manganelli a Zafferana Etnea (CT), Chiesa della Madonna della Raccomandata a Sciacca (AG), Castello di Federico II a Giuliana (PA), Padiglione 10 e Padiglione 20 dei Cantieri culturali alla Zisa di Palermo; 7 in Puglia: Castello di Sannicandro di Bari, Chiesa e convento delle Olivetane a Bitonto (BA), Bastione di San Giacomo a Brindisi, Palazzo Amati a Taranto, Convento dei Francescani Neri a Specchia (LE), Palazzo Marchesale Belmonte Pignatelli a Galatone (LE), Distilleria Nicola De Giorgi a San Cesario di Lecce (LE); 2 in Campania: Palazzo Macchiarelli a Montoro (AV), Palazzo di Paolo V a Benevento.

Nel corso della seconda fase dell’iniziativa, gli immobili selezionati hanno partecipato al bando vero e proprio rivolto alle organizzazioni non profit del territorio, per identificare le migliori proposte di interventi socio-culturali, economicamente sostenibili e capaci di favorirne la piena fruizione da parte della collettività. Il processo di selezione che mette a disposizione 4 milioni di euro è in corso e si concluderà entro la fine del 2015.

L’iniziativa "Il Bene torna comune" a tutela del patrimonio storico, artistico e culturale rientra in un più ampio obiettivo assunto dalla Fondazione con il Sud: la tutela e valorizzazione dei beni comuni. Vanno in questa direzione diverse iniziative sostenute in questi 9 anni di attività oltre che per la cultura per l’ambiente e i beni confiscati. Recentemente sono stati resi noti gli esiti del “Bando Ambiente”, attraverso cui sono stati selezionati 19 progetti per tutelare le aree naturali protette del Mezzogiorno, con interventi per contrastare la perdita di biodiversità, il rischio incendi e il dissesto idrogeologico nei parchi, nelle aree marine e nelle riserve naturali di Basilicata, Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia. I progetti saranno sostenuti complessivamente con 4,2 milioni di euro. Con le precedenti edizioni del Bando Ambiente la Fondazione con il Sud ha sostenuto 31 progetti (10 nel 2008 contro il rischio incendi nei Parchi meridionali e 21 nel 2012 finalizzati alla riduzione della produzione dei rifiuti), erogando complessivamente oltre 5,2 milioni di euro.

Per quanto riguarda il riutilizzo in chiave sociale di beni confiscati alle mafie, la Fondazione con il Sud ha promosso 2 bandi (2010 e 2013), sostenendo 22 progetti con quasi 7 milioni di euro. Sui beni confiscati ai vari Provenzano, Lo Iacono, Schiavone e ad altre famiglie e boss mafiosi di Campania, Puglia, Sicilia e Calabria sono nate imprese sociali per la produzione di latte biologico, di olio d’oliva, nuove mense, ristoranti, pizzerie e caffè solidali, botteghe artigianali e servizi turistici, con il coinvolgimento di minori, giovani, donne, immigrati e l’occupazione di persone svantaggiate.


L’intervista a Marco Imperiale

Direttore, questa iniziativa della Fondazione con il Sud come contribuirà a cambiare il Mezzogiorno?
I nostri progetti hanno una natura esemplare, quindi servono a dare un esempio, a mostrare la strada per moltiplicare i casi positivi di trasformazione della realtà locale. Molti di questi progetti incidono in maniera significativa nel contesto di riferimento nella misura in cui riescono ad attivare meccanismi di partecipazione attiva per il recupero di questi beni da parte della comunità. Queste iniziative, inoltre, devono garantire la tutela del bene in un’ottica di effettivo utilizzo da parte della comunità, quindi, il modo in cui questi beni sono effettivamente utilizzati deve rispondere ai bisogni espressi dal territorio, che possono essere di natura culturale, sociale, o ambientale.

La spesa per la “tutela e valorizzazione di beni e attività culturali e beni paesaggistici” in Italia è inferiore a quella di altri paesi europei, e si riflette anche sullo stato di conservazione degli edifici storici, con le regioni meridionali agli ultimi posti. Con questa iniziativa volete riproporre un modello europeo di tutela e valorizzazione, o volete costruire il “modello italiano”?
Non ci ispiriamo a nessun modello europeo, ma vogliamo applicare in questo ambito un modello che noi cerchiamo di portare avanti in tutte le iniziative che sosteniamo. Il Bando Cultura, infatti, fa parte di una linea d’intervento che più in generale è rivolta alla tutela e alla valorizzazione dei beni comuni. La Fondazione con il Sud ha sviluppato tre linee d’intervento in questo settore: una sui beni culturali, una sui beni ambientali, ed un’altra sui beni confiscati. In tutte queste linee gli obiettivi sono molto simili tra di loro e riguardano, prioritariamente, una attivazione del territorio e degli stakeholder. E’ importante che sia la comunità, attraverso la mediazione del terzo settore, ad esprimere i propri bisogni e le risposte operative e concrete per rispondervi. Quindi, nessun modello calato dall’alto, nessuna soluzione che sia identica per tutti.
Naturalmente ci sono territori che questa risposta riescono a darla e altri che invece non ci riescono. La Fondazione con il Sud lavora proprio per stimolare e per cercare di fornire alle comunità locali gli strumenti utili per elaborare e realizzare in maniera autonoma degli interventi che rispondono ai bisogni individuati dal territorio.

Questa iniziativa tende a sviluppare percorsi di secondo welfare e di innovazione sociale?
In molti casi i progetti proposti prevedono l’utilizzo del bene per svolgere attività e servizi di assistenza di varia natura non necessariamente sanitaria ma più in generale sociale, oppure per realizzare progetti di inclusione sociale particolarmente rivolti verso gli immigrati, i disabili, i bambini che vivono in condizioni sociali difficili. Questa iniziativa sicuramente si integra in un percorso più generale e grande che va a rafforzare il welfare di comunità e la capacità di innovazione sociale dei territori.I progetti, inoltre, devono garantire una certa continuità nel tempo: la Fondazione con il Sud, infatti, non finanzia mai progetti che seppur interessanti non diano garanzie, anche minime, di riuscire a proseguire la propria vita dopo la fine del finanziamento.

Quali sono stati i criteri per selezionare gli immobili tra gli oltre 220 beni inutilizzati messi a disposizione dagli enti pubblici e privati?
I criteri sono stati diversi. I principali sono stati la centralità del bene rispetto al tessuto comunitario nel quale questi beni sono inseriti, la loro adattabilità a progetti e processi di natura sociale, e poi un criterio di selezione molto importante è stato quello della quantificazione delle risorse necessarie per rendere fruibile il bene. Infatti, molti beni, anche qualitativamente pregevoli, sono stati esclusi perché la quantità di risorse necessarie per realizzarne la ristrutturazione ed il restauro erano troppo al di sopra del budget disponibile.
Con le risorse disponibili la Fondazione non può certo candidarsi a risolvere i tanti problemi della tutela dei beni culturali, questo può farlo solo lo Stato. La Fondazione può però, attraverso il sostegno ad esperienze concrete e rigorosamente monitorate, indicare un percorso che, se generalizzato, potrebbe davvero cambiare il nostro Sud.

Perché il proprietario del bene e il proponente del progetto non possono coincidere?
Il proprietario del bene non sarà mai parte della partnership progettuale. Abbiamo voluto introdurre questa innovazione, che è anche una provocazione, a volte molto difficile da ottenere, per rafforzare l’autonomia del sociale rispetto alla politica, perché la maggior parte di questi beni sono di proprietà delle amministrazioni comunali. Quindi, abbiamo sfidato le stesse chiedendo loro di mettere a disposizione i beni senza sapere prima né chi né come li avrebbe utilizzato. Questa scelta va nella direzione del rafforzamento dell’autonomia della società civile e della comunità rispetto alla politica.

Quale contributo le imprese culturali e creative possono dare allo sviluppo territoriale?
Il contributo che le imprese di natura culturale possono dare al territorio è certamente molto grande. Gli esempi più belli di progetti finanziati nel passato dalla Fondazione con il Sud dimostrano che proprio l’associazionismo di natura culturale è quello in grado di partorire le idee più fertili, brillanti e più solide, per dare origine ad iniziative che poi hanno anche una loro sostenibilità finanziaria. Solitamente, il percorso prevede che queste associazioni culturali, grazie al fatto che riescono ad avere una solidità sul piano economico e finanziario, si trasformano intraprendendo un percorso che le porta ad adottare una forma imprenditoriale che di solito è quella cooperativa o quella dell’impresa sociale più in generale.

Vi aspettate qualcosa di specifico in relazione alla governance tra pubblico/privato ed il coinvolgimento delle comunità locali?
Ci aspettiamo che la governance sia assolutamente autonoma per le organizzazioni del terzo settore. Sappiamo che questo è un ideale difficile da realizzare in alcuni contesti, però è quello che abbiamo voluto promuovere, facendo sottoscrivere un impegno contrattuale da parte delle amministrazioni comunali a concedere un comodato d’uso gratuito della durata minima di 10 anni dei beni. Quindi, per 10 anni il bene sarà sottratto dalla disponibilità delle amministrazioni comunali ed affidato ai soggetti che vinceranno il nostro bando. Le organizzazioni del terzo settore saranno così assolutamente autonome dalla politica. Questo modello è in linea con il nostro principale obiettivo che è quello dell’infrastrutturazione sociale del Sud che significa concretamente favorire le capacità delle organizzazioni presenti sul territorio di collaborare tra di loro e di realizzare in maniera efficace dei progetti condivisi.

Per questa iniziativa avete avviato delle sinergie con il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali?
Recentemente ci sono stati dei contatti e degli scambi molto interessanti con il Ministero e con il Ministro Dario Franceschini che ha manifestato grande interesse per le nostre iniziative, per cui è possibile che in futuro ci sia una qualche forma di collaborazione. Tuttavia, vorrei sottolineare i due grandi nodi sui beni comuni. Il primo è quello delle risorse finanziare per ristrutturare, restaurare e rendere fruibili i beni di valore storico-artistico presenti in Italia che difficilmente possono essere ricavate dal sociale, soprattutto dal no profit. In questo senso è utile distinguere la tutela del bene dalla sua valorizzazione socio-economica, due temi ben diversi. Il secondo tema è quello dell’autonomia del sociale e qui la Fondazione con il Sud può dare un contributo grande in termini di esperienze e di successi. È fondamentale salvaguardare l’autonomia del sociale, ovvero la sua capacità di esprimere progettualità che vengono dal basso e che rispondano a bisogni e soluzioni. Soluzioni che devono venire proprio dalla comunità che vive attorno al bene.