Quest’estate l’Anac, l’Autorità Nazionale Anti Corruzione, ha chiesto al Consiglio di Stato di dirimere alcuni "dubbi interpretativi" sulla legittimità degli strumenti amministrativi basati sul principio di collaborazione. Il massimo organo della Giustizia Amministrativa ha così espresso un parere che rischia di depotenziare il ruolo della coprogettazione tra ente locale e terzo settore, indicando gli appalti come la via privilegiata attraverso cui pubblico e privato possono intrattenere rapporti. Gianfranco Marocchi, direttore di Welfare Oggi (che ha recentemente dedicato un focus agli strumenti amministrativi collaborativi – con interventi di Pellizzari, Borzaga, Scalvini e Gallo -, scaricabile qui tramite registrazione sul sito della rivista) ci offre alcuni spunti di riflessione sul tema.
Corresponsabilità per affrontare i problemi sociali
Queste esperienze esprimono una profonda cultura di corresponsabilità tra istituzioni e terzo settore. Ad esempio, come raccontavo in una analisi apparsa su Welforum.it relativa a quanto avvenuto a Lecco, uno dei casi di coprogettazione più noti: «La coprogettazione non è stata intesa come una forma di “delega potenziata”, quindi di conquista di spazi di autonomia e autodeterminazione dei soggetti di terzo settore rispetto all’istituzione, ma al contrario da una comune responsabilità sulla funzione pubblica, con tutto ciò che tale affermazione comporta. Esemplificando, un fornitore di servizi aggiudicatario di un appalto non si pone il problema della mancanza di risorse: fa quello per cui è pagato, collocando sull’ente committente l’eventuale mancanza di risorse per realizzare servizi ulteriori di cui si avverta la necessità […]. Il sistema della coprogettazione ha invece implicato un costante impegno dei soggetti privati nel reperire risorse aggiuntive e nel far evolvere via via i servizi sulla base della lettura comune dei bisogni. Per riprendere l’espressione spesso utilizzata dai partner di terzo settore, “ci siamo sentiti richiamati pienamente alla responsabilità di perseguire l’interesse generale della nostra comunità≫.
E in tal senso «Il soggetto gestore ha contribuito […] ad individuare risorse ulteriori a quelle messe a disposizione dal comune per un importo di quasi un milione di euro annui, pari a circa il 15% delle risorse complessive necessarie, prevalentemente intercettando fondi banditi da fondazioni cui il partner di terzo settore ha acceduto presentandosi come capofila di un partenariato che comprende anche il comune e utilizzando poi le risorse così conseguite per la gestione dei servizi oggetto di coprogettazione≫.
Tutto ciò è bene tenerlo in considerazione per comprendere come la sostanza dell’amministrazione collaborativa non si sostanzi in procedure per attribuire risorse pubbliche, ma risieda nel farsi carico congiuntamente di problemi sociali, al fine di individuare una risposta migliore rispetto a quella ottenibile in uno scenario diverso, basato sul principio di competizione.
Dalla 328 al Codice del Terzo Settore
Da un punto di vista giuridico, in alcuni casi si tratta di iniziative fondate sulla coprogettazione basata sulla legge 328/2000, in altri dei primi casi di applicazione dell’art. 55 del Codice del Terzo settore, che indubbiamente amplia in modo significativo questo tipo di pratiche, slegandole dalle circostanze specifiche (l’ambito dei servizi sociali, i progetti sperimentali e innovativi) tipiche della legge 328/2000 e ampliando la possibilità di utilizzo, in adempimento al principio costituzionale di sussidiarietà, a tutti i settori di interesse generale individuati dal Codice del Terzo settore. Di fronte a questi sviluppi e quelli potenziali futuri, la reazione dei soggetti che, in modo più retrivo e conservativo, ancora identificano nella competizione e negli appalti l’unica procedura ammissibile, non si è fatta attendere.
Il parere del Consiglio di Stato su richiesta dell’ANAC
Il 6 luglio, travisando in modo evidentemente artificioso e malevolo il senso dell’amministrazione collaborativa, l’ANAC si rivolge al Consiglio di Stato per chiedere se fosse corretta l’interpretazione di “vari stakeholder e del Ministero del lavoro, che teorizzano l’esclusione dall’applicazione del Codice dei contratti pubblici di ampi settori di attività affidati agli organismi del terzo settore”. Non è ovviamente nemmeno necessario più di tanto evidenziare come la domanda costituisca una enfatizzazione e banalizzazione di tesi avverse per “chiamare” una risposta rassicurante; molto diverso (e assai più corretto) sarebbe invece stato interrogarsi su “quali siano gli strumenti amministrativi da attivare nel caso in cui gli enti istituzionalmente preposti ritengano rispondente all’interesse generale promuovere un ampio concorso di idee e di risorse operative di una pluralità di soggetti, da integrare e combinare per conseguire il migliore livello di servizi al cittadino”. Ma tant’è.
Il 26 luglio, appena 20 giorni dopo malgrado il periodo estivo e senza che i diversi stakeholder citati – compresi quelli istituzionali – fossero in alcun modo coinvolti, il Consiglio di Stato risponde con un parere che, al di là di una prosa particolarmente fiorita, è di una banalità sconcertante: il welfare è (quasi sempre) un settore economico e dunque, coerentemente con la lettura parziale che viene proposta degli indirizzi comunitari (ben criticata da Santuari sul sito di AICCON), va sottoposto ai procedimenti di mercato; e, conseguentemente, quando si tratta di coinvolgere soggetti terzi, di ricorrere ad appalti.
Per una ricostruzione più accurata di quanto avvenuto consiglio la lettura di questo mio articolo e di questo di Ugo De Ambrogio, entrambi pubblicati Welforum.it.
Cosa succede ora?
Tecnicamente, nulla. Si tratta di un parere reso tra amministrazioni, non di una legge, non di una sentenza. Le leggi sulle quali si basano gli strumenti collaborativi – la 328/2000 e una decina di leggi regionali conseguenti, il parere della stessa ANAC sulla coprogettazione contenuto nella Deliberazione 32/2016, così come il Codice del Terzo settore – erano e sono vigenti. Insomma, un evento da non sottovalutare, ma nemmeno da enfatizzare oltre misura.
Ma, come è ragionevole attendersi, questo parere ha determinato nel giro di pochi giorni una notevole agitazione in tanti enti pubblici che avevano abbracciato o stavano abbracciando modalità di amministrazione collaborativa. Non è difficile immaginare che più di un funzionario pubblico si senta intimorito per l’autorevolezza del soggetto che ha emesso il parere e preferisca ritornare sulla via più nota e rassicurante – anche se meno favorevole all’interesse pubblico – costituita dall’affidamento di servizi tramite appalti.
Rispetto alle conseguenze del parere, segnalo il contributo “Che cosa dire ad un amministratore locale che si chiede se la coprogettazione sia ancora possibile”.
Come procedere, quindi, a questo punto?
Da una parte è importante, a livello culturale, in vista del dibattito che necessariamente si svilupperà su questi temi nei prossimi mesi, consolidare e diffondere la consapevolezza rispetto ad alcuni punti, che si prova a riassumere di seguito; l’amministrazione collaborativa è:
- maggiormente in grado di realizzare un interesse pubblico rispetto agli strumenti basati sulla competizione come l’appalto, perché mette a sistema tutte le risorse utili anziché sceglierne una a discapito di altre;
- non meno rispettosa dei principi di trasparenza ed evidenza pubblica rispetto agli appalti, dal momento che tutti i soggetti interessati possono prendervi parte; proceduralmente, come ricorda l’art. 55 del Codice del Terzo settore, fa riferimento alla legge 241/1990, quotidianamente usata dai funzionari pubblici;
- coerente, per quanto riguarda l’ambito dei servizi di welfare, con gli scopi della 328/2000 di “costruire un sistema integrato di interventi e servizi”, cosa difficilmente perseguibile in un contesto di competizione;
- coerente, come ricorda il Codice del Terzo settore, con l’art. 118 della Costituzione, di cui costituisce una delle prime e più rilevanti applicazioni.
Ma, accanto agli aspetti culturali, è importante l’aspetto dell’azione politica. Per quanto giuridicamente (per ora) marginale, questo parere segna chiaramente la volontà di portare un attacco duro e diretto alle pratiche più avanzate di amministrazione locale, oltre a mirare ad erodere importanti leggi dello Stato come la 328/2000 e il 117/2017 e una decina di leggi regionali. Motivo per cui è importante che in primo luogo Enti locali – possibilmente in forma associata – e Regioni non si limitino a diffondere in modo burocratico i contenuti del parere del Consiglio di Stato, ma conducano la propria battaglia, nella consapevolezza che ciò che si sta salvaguardando non è certo una prerogativa del Terzo settore, ma una modalità di amministrazione che tutela l’interesse generale.
E poi, sicuramente, è necessario che i diversi soggetti della società civile, co-protagonisti insieme agli enti locali delle esperienze di amministrazione collaborativa – cooperative, associazioni, organizzazioni di volontariato, ecc. -, acquisiscano piena coscienza che la battaglia che si sta aprendo non è affatto marginale, ma riguarda alcuni degli aspetti fondamentali e centrali del proprio ruolo sociale, motivo per cui su questo tema vale la pena di spendersi a fondo.
Per approfondire
Il testo del parere del Consiglio di Stato alla domanda di Anac
Riflessioni sul parere del Consiglio di Stato del 26/7/2018 sul Codice del Terzo settore
Alceste Santuari, Aiccon
Che cosa dire ad un amministratore locale che si chiede se la coprogettazione sia ancora possibile
Gianfranco Marocchi, Welforum, 10 settembre 2018
Coprogettazione: ed ora? Osservazioni a seguito dell’intervento del Consiglio di Stato in risposta alla richiesta ANAC
Ugo De Ambrogio, Welforum, 6 settembre 2018
Coprogrammazione, coprogettazione e gli anticorpi della conservazione
Gianfranco Marocchi, Welforum, 31 agosto 2018
Una versione ridotta di questo articolo è stata pubblicata su Vita il 17 settembre 2018.