Nel corso dell’ultimo quarto di secolo che la questione dei beni comuni è letteralmente esplosa a livello mondiale. I nodi sono giunti al pettine nell’ultimo ventennio, quando si è preso finalmente atto che la questione di beni quali aria, acqua, clima, sementi e fertilità della terra, conoscenza, biodiversità, cultura, fiducia sta ponendo una sfida inedita per il futuro dell’umanità.
Oggi sappiamo che il benessere (well-being) dipende non tanto dalla dotazione di ricchezza economica, ma da tre categorie di beni: privati, pubblici e comuni. Il bene comune e il bene pubblico però non sono la stessa cosa. La differenza consiste nel fatto che la fruizione di un bene pubblico non richiede forme di aggregazione, ossia viene fruito in maniera individuale, mentre il bene comune non solo è di tutti, ma per poterne godere è indispensabile una certa convergenza d’intenti e una dimensione plurale e comunitaria.
A riguardo, secondo Paolo Venturi, ciò che manca alle soluzioni privatistiche o pubblicistiche è proprio l’idea di comunità, appunto. L’idea vincente allora – rigorosamente esplorata da Elenor Ostrom premio Nobel per Economia nel 2009 – è quella di mettere all’opera le energie della società civile organizzata per inventarsi forme inedite di gestione comunitaria. Dentro questa visione diventa centrale l’attivazione dei cittadini spesso protagonisti di forme innovative di cura e gestione degli spazi urbani, di rigenerazione di beni abbandonati, di beni culturali inutilizzati.
Aria, acqua, terra e clima la salvezza dei beni comuni in mano alla società civile
Paolo Venturi, La Repubblica, 11 ottobre 2017